Chiesa Santa Maria della Fede Napoli

La si raggiunge grazie al varco aperto da Via Miraglia individuabile all’angolo di una squisita piazzetta a concentrazione popolare.
La chiesa fonda sulla terra che però un tempo fu detta, Contrada Cutilli, un piccolo borgo a sua volta inglobato nel più grande Borgo Sant’Antonio Abate ed infine insediato dai padri Gesuiti.
La facciata della chiesa è del Settecento anche se in gran parte rivista e restaurata alla maniera dell’Ottocento con un atrio che la precede e dal quale son visibili le due statue nelle nicchie a destra e a sinistra del portale d’ingresso ritraenti i Santi Pietro e Paolo.
Vi sono altre statue in stucco del Settecento napoletano che decorano l’unica navata interna affiancata da due sole cappelle per lato. Di buona fattura sono gli altari della chiesa, in marmo commesso, seconda metà del Settecento, specie per l’altare maggiore datato 1731 e recante i blasoni dei La Penta, i medesimi che si rivedono sull’altare destro del transetto, in quello della prima cappella di sinistra del 1715 e quello della seconda cappella a destra del 1742.
L’altare del transetto a sinistra è datato 1714.
Per impreziosire il complesso meccanismo di decorazione fu reimipiegato anche saggiamente molto del materiale in formato pannelli del Seicento forse recuperati da smembramenti.
- Il complessivo ordine delle tele, seppur tutte del Settecento non sono degne di menzione per il loro scarso valore artistico, appena forse, il quadro che sormonta l’altare nel transetto a sinistra, opera di Agnese La Corcia, del 1710 ritraente Sant’Antonio da Villanova. Di per se stessa questa chiesa festeggia il suo anniversario ogni 11 settembre, poiché, fu in questa data dell’anno 1639, che gli abitanti dell’anzidetto borgo dei Cutilli, decisero di ingrandire la piccola cappellina già presente sul posto ed ormai non più adatta ad accogliere i fedeli cresciuti in gran numero proprio in seguito all’arrivo dei Gesuiti sul posto. Ma ai Gesuiti subentrarono nel 1642 i Coloritani, ovvero, gli Agostiniani Riformati calabresi, che non solo reinsediarono l’ufficio di culto, ma intitolarono la chiesa a Santa Maria di Colloredo costruendovi vicinissimo anche un convento con lo stesso titolo. Fu di quell’epoca, tra l’altro, la lite sorta tra i Padri della Compagnia di Gesù ed i membri di un’Arciconfraternita già attiva sul luogo ancor prima dell’arrivo dei Coloritani; per l’annosa questione della lite, purtroppo, i lavori di riammodernamento del fianco a sinistra della chiesa si protrassero fino al 1716. I Coloritani, per decreto papale, firmato Benedetto XIV, furono mandati via dalla chiesa e dall’omonimo convento, il quale, appresso all’edificio sacro finì sotto le cure della regina Maria Amalia di Sassonia, e le relative provvidenze, anche economiche sopraggiunsero dal vicino palazzo Fuga a piazza Carlo III, col proposito di riutilizzare chiesa e convento per accogliervi, “cento fanciulle vaganti per la città” divenendo quindi, quel che fu noto anche come real ritiro di Santa Maria della Fede, rimasto attivo con questa particolare funzione, fino alla partenza di re Carlo per la Spagna.
A partire dal 1811 venne usata come magazzino per lo stipo delle merci, soprattutto paglia.
Più o meno come accadde alla chiesa di San Carlo all’Arena a via Foria e Santa Maria della Pazienza alla Salute.
- In alcuni casi fu abbandonata al punto tale che vi dimorarono si legge sul testo, “certe donne sciagurate, vittime di celtiche infezioni.” Dall’analisi dei testi e delle piante dell’Ottocento il convento di questa chiesa risulta esser stato occupato sul fianco a destra per lungo tempo da una casa che ospitava donne che avevano contratto il morbo della gente del nord, la cosiddetta “peste gallica”, la Sifilide. Per questo motivo, l’annesso convento fu poi anche conosciuto come il Sifilicomio napoletano; poi col tempo, le ricoverate spesso facevano rientro al vicinissimo ospedale detto delle Prigioni di San Francesco da dov’erano inizialmente venute. E poi, non bisogna dimenticare, che tutto quanto il borgo di Sant’Antonio Abate fu più noto dal Seicento e non poco dopo il 1890, come area dove abbondavano, sempre come scritto sui testi, di “scialacquatissime licenze”, a tal punto, che nel 1851, essendo stati murati tutti gli altri varchi solitamente lasciati liberi da e per il centro storico, tutte le donne di malaffare usavano proprio la stradina accosta alla chiesa di Santa Maria della Fede per raggiungere la zona dei lupanari. Questa stradina di cui si parla, e di cui ne fa cenno anche il Chiarini, si individua oggi nel vicolo Martiri di Otranto. È inoltre importante ricordare la funzione di casa di correzione svolta dallo stesso Sifilicomio, e per qualche tempo anche come casa di cura per donne anziane e ricovero per quelle donne finite in miseria. Nonostante le razze reprobe che frequentavano gli ambienti, tutto quanto il piccolo complesso nosocomiale versava nel verde che lo circondava frondoso e alle sue spalle, all’indomani dell’acquisto da parte del governo inglese di un’area ai piedi della collina cimiteriale della città, venne recintato per la prima volta nel 1824 il piccolo cimitero dei Protestanti, entrato in funzione solo dieci anni più tardi. I servizi dell’edificio che ha espletato per anni la funzione di Sifilicomio furono dismessi definitivamente nel 1888; nel 1900 usato per qualche tempo come edificio scolastico ed infine crollato non venne mai più ricostruito.
Spazio note
(1) Liberamente estratto da: Napoli Sacra 15. itinerario Napoli : Elio De Rosa, ©1993. - P. 65-128 ill; 33 cm. Codice SBN NAP0159853 Autore secondario Di Mauro, Leonardo Luogo pubblicazione Napoli Editori Elio De Rosa Anno pubblicazione 1993; pagine 913-914. Per la chiesa di Santa Maria del Riposo, alle pagina 914.Categorie delle Guide
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