Cappella Maggiore al Gesù Nuovo di Napoli

E’ la Cappella Maggiore1 della chiesa del Gesù Nuovo di Napoli accosta alla cappella Ravaschieri di irresistibile scenografia e grandiosa monumentalità.  

Sta arretrata rispetto all’abside con due secoli di storia alle spalle si presenta da sempre rinnovata ed intessuta di interventi diversificati per epoca e per autori e che di fatto rende assai difficile tracciare un quadro storico lineare attributivo.


Dopo la consacrazione dell’intero impianto del 1620 alla cappella maggiore voluta da Isabella della Rovere che l’aveva scelta come sede religiosa di suo patronato per disposizione testamentaria, richiese d’esser sepolta sotto l’altare maggiore insieme al marito e al figlio cosi come lo testimoniano le due lapidi, una posta sul pavimento del presbiterio e l’altra avanti alla balaustra.

E per la verità il desiderio della Isabella della Rovere di rendere questa cappella la più lustre e più bella di tutta la chiesa coincise perfettamente coi desideri dei Gesuiti napoletani che vi si insediarono vista da loro come prospetticamente la più importante di tutta l’area religiosa anche per la diametria delle liturgie che in questa cappella "divotamente" si son da sempre espletate.


Lo spaventoso incendio del 1639 la distrusse per intero.

Costringendo i Gesuiti a commissionare nuovi affreschi per la volta in sostituzione di quelli che generalmente per le bolle di pagamento rinvenute dagli archivi sacri dell’Ordine si attribuiscono al Corenzio.

  • Probabilmente gli stessi Gesuiti dovettero revisionare per intero il progetto di decorazione della Cappella adeguandola alle trasformazioni già in atto nella chiesa che d’altra parte va detto proprio in quel periodo dal severo carattere tardorinascimentale costituito in massima parte dal piperno grigio intonacato bianco, si andava ricoprendo dei ricchi rivestimenti marmorei in larga misura giunti fino a noi oggi. Progetto grandioso quanto meno anche assai tardivo per la sua effettiva messa in opera: infatti bisognerà attendere la metà dell’800 napoletano per vederlo realizzato completamente. E’ infatti vero dire che la Cappella Maggiore per molti anni si mantenne diciamo vestita di un carattere di provvisiorietà e per le esigenze liturgiche come ad esempio quella delle “Quarantaore” si sopperì a grandiose scenografie meccaniche azionate da ingegnose macchine che ne riproducevano l’effetto mancato.

Si trattò di porre in vista spettacolari addobbi d’uso ad ambienti teatrali.

Affidati a celebrati artisti dell’epoca di questo genere, i quali a loro volta data la speciale commisione, costruirono sofisticatissimi teatri in legno, con sculture in cartapesta, drappi dai colori preziosi.

  • E poi luci, centinaia di migliaia di lumi che dalla tribuna di estendevano per gran parte della chiesa cmmuovendo non poco il fedele2. I nuovi cicli della volta vennero dunque realizzati da Massimo Stanzione, all’apice della sua fortunata carriera. Ne compose un linguaggio asciutto, semplice ed immediato nel breve arco temporale di soli 300 giorni, spinto dai Gesuiti medesimi a far in fretta data la straordinaria coincidenza delle grandiosissime cerimonie che inderogabili si sarebbero celebrate in chiesa per il primo centenario della loro fondazione. La vasta opera dell’artista inizia dal racconto mariano nelle semilunette della parete di fondo con due episodi che riguardano i genitori dell’Immacolata: a sinistra si osservano “Gioacchino e Anna scacciati dal Tempio” poiché non ebbero avuto ancora figli e nell’altro si osserva “Gioacchino che riceve in sogno l’annuncio della futura nascita di Maria”. E da questo episodio si passa agli altri otto episodi della vita terrena della Vergine ritratti sul voltone nei quali in senso orario e in ordine cronologico si ricordano: la “Natività di Maria”, la sua “Presentazione al Tempio”, lo “Sposalizio”, l”Annunciazione”, la “Visitazione”, il “Sogno di Giuseppe”, la “Morte”, le “Esequie”. I due grandi riquadri centrali ne raffigurano l’”Assuzione in cielo” e l’”Incoronazione”. Negli spazi tra i finestroni laterali le figure dei Profeti e degli Angeli concludono il ciclo mariano3.

L’intervento invece di Giovanni Galli Bibiena, è citato in due documenti inediti del 1775.

La realizzazione della straordinaria parete di fondo, tappezzata di marmi policromi pregiati, si deve quasi sicuramente a Cosimo dei Fanzago e risale alla prima metà del Seicento napoletano.

  • L’originaria scansione architettonica con le sei colonne architravate che inquadrano la nicchia centrale chiusa da un arco a tutto sesto e due nicchie più piccole chiuse da archi a conchiglia, è stata, nel tempo assai modificata per l’aggiunta del timpano mistilineo e della decorazione ad alto rilievo con i busti di Sant’Ignazio da Loyola e San Francesco Saverio assegnabili alla bottega di Antonio Domenico Vaccaro e databili quinto decennio del settecento4. In sostituzione della precedente scultura, installata all’apice della guglia dell’Immacolata in piazza del Gesù Nuovo, nel 1858 venne collocata al di sopra del globo in lapislazzuli, circondato da angioletti e cherubini opera dei maestri Bottigliero e Pagano, la gigantesca statua della Madonna Immacolata che ancor oggi si ammira come uno dei migliori lavori dello scultore Antonio Busciolano. E’ invece di circa dieci anni più tardi anche la decorazione finale delle cappelle laterali ove le due grandi nicchie ospitano eleganti coretti sorretti da due colonne architravate le quali inquadrano un portale riccamente ornato di sculture. Gli straordinari ”Angeli che reggono gli stemmi” sono da attribuire a destra al Bottigliero e a sinistra al Pagano mentre è ancora ignota la mano dell’intera organizzazione decorativa delle due pareti contrassegnate da un elegante disegno sia nel commesso marmoreo che negli intagli lignei. Si ritiene probabile assegnare almeno l’ideazione a Giuseppe Astarita, il quale, ad ogni modo tra il 1759 e il 1762 veniva pagato per l’assistenza ai lavori. L’intervento invece di Giovanni Galli Bibiena, è citato in due documenti inediti del 1775; mentre per quanto riguarda i due coretti laterali la realizzazione fu affidata ai maestri marmorari Aniello Cimafonte e Antonio di Lucca tra il 1758 e i 1761.


Spazio note

(1) [Per quanto riguarda i sepolcri della nobile famiglia Della Rovere si aggiunge inedita notizia tratta dal documento fornito dal Nappi (ASBN Banco di San Giacomo matr. 31 del 20 9 1616): “A Costantino Marasi...per il sepolcro di marmo fatto per il principe di Bisignano”]
(2)(Negli archivi dei gesuiti si conservano ancora numerose descrizioni di questi ricchi allestimenti; uno dei primi risale al 1604 ed è ricordato dal Santagata come “Prima Macchina ad Olio” fatta da Emerico Carden architetto tedesco. Si ricorda nell'Istoria...III, 1756, p. 140. La maggior parte di questi documenti, si legge nella descrizione della guida medesima non sono mai stati pubblicati e per valsa la pena si è qui descritta una brevissima sinstesi: “...nell'altare maggiore si è composta una macchina di legno converta d'argento, azuro et oro che copriva li coretti vecchi et si stendeva fino alli pilastri di detto altare”).
(3)Per notizie dettagliate sugli affreschi dello Stanzione: T: Willette e M. A. Conelli, The Tribune voult of the Gesù Nuovo in Naples: Stanzione's frescos and the Doctrine of the Immaculate Concepiton, in “Ricerche sul Seicento Napoletano”, Milano 1989 alle pagg. 169-182 ed il successivo studio monografico di S.Schultze e Th C. Willette, Massimo Stanzione, l'Opera completa, Napoli 1992 pagg. 85- 215-219
(4) (G.G. Borrelli Altre Opere...”, 1992, pag. 676 nota 21 fig. 2- Per l'attribuzione dei due busti al Pagano si rimanda a G. Borrelli, Il Presepe napoletano, Napoli 1970 pag, 222.)