Chiesa del Santo Salvatore Napoli

Assieme alla chiesa protocristiana di San Pietro a Chateau de l’Oeuf, è la seconda delle due chiese fondate dai monaci di San Basilio, insediati nelle sale al di sopra dell’antico romitorio di Santa Patrizia nelle sottofondazioni di Castel dell’Ovo, sull’isolotto di Megaride, nel moderno borgo di Santa Lucia a Mare a Napoli1.

Più precisamente il suo ingresso è stato individuato non senza equivoco di sorta, dalla Rispoli, nel 1920, alle spalle della Torre Normandia alla fine del sottopassaggio centrale.

A metà del viaggio della rampa del castello, con porta incorniciata da due pilastrini, erroneamente creduta per molto tempo unico ambiente a cui si riferisse anche il titolo di chiesa di San Pietro Apostolo.

Dalla descrizione che ne fa la Rispoli nulla suggerirebbe nell’ambiente di Castel dell’Ovo, uguale sempre a se stesso, la presenza di un luogo che un tempo fu una chiesa e sorpresa maggiore sta nel ritrovare al di là di un anonimo ingresso una sala tipo cappella di stile bizantino.

La pianta della chiesa è oggi rettangolare, con asse longitudinale parallelo alla strada con una stanza anch’essa a pianta rettangolare nella sua zona est.


Sul fondo si apre quello che un tempo dovette esser stata la zona absidale della chiesa.

Irregolarmente semicircolare e coperta a conca, e sulla sua parete, per quanto possa esser stata ben murata, si nota la porta dell’ingresso principale.

  • Infatti quello attuale è solo un ingresso ricavato nel muro del castello. Sulle pareti maggiori dell’ambiente, tre colonne di possente granito sormontate da capitelli riscalpellati alla maniera corinzia, lascerebbero supporne la provenienza da ambienti di stile romano. Vi sono anche tre arcate, due molto piccole poggiate tra le colonne ed una molto più grande giusto al centro che sormonta l’ingresso alla stanza ad est; le due arcate laterali poggiano anche su due pilastri angolari ciechi, che non hanno altra funzione se non quella di impreziosire la scena. Particolare molto interessante sono i singoli tratti di trabeazione visibili tra il fondo alla base degli archi e l’imposta dei capitelli ed adoperati in questo caso come tronco di piramide rovesciato. Più su, oltre le strutture di decorazione, altro elemento interessante è il soffitto piano posto a parecchi metri di distanza, un’altezza straordinariamente enorme per un ambiente di questa fatta. È stata descritta dal Galante, dal Celano e dal Chiarini nonché anche dal d’Ayala e da tutti ricordata suggestivamente come la parrocchia del castello; prima della definitiva congiura che la vide trascurarsi sempre più, a partire dalla costituzione di una nuova parrocchia nel 1847, aveva addirittura tre altari e dipinti e sculture di legno di manifattura squisitamente catalana; sul pavimento, pur troppo anche queste portate vie, vi erano le lastre tombali dei castellani e dei loro familiari, delle quali, la più antica era datata 1565. Per un certo tempo la chiesa ormai non più riconoscibile come tale, venne usata dalla gendarmeria francese come deposito di masserizie, e all’indomani della restaurazione borbonica venne usata come facile accesso al semaforo della Marina, posto proprio sulla copertura della sala, raggiungibile da una stupenda scala a chiocciola, unico elemento apprezzabile di questo ambiente orami decaduto per sempre.


Spazio note

(1) Liberamente estratto da: Luigi Picone, Il Castel dell’Ovo. Il recupero come progetto, Edizioni Scientifiche Italiane. Giugno 1982, La Buona Stampa di Ercolano, alla BNN, Sezione Napoletana collocazione VII B 53.