Palazzo Ayerbo d’Aragona alla Salute Napoli

Proprio in quell’anno, le stesse Suore diedero inizio alla costruzione della chiesa dell’Addolorata sullo spazio di fondazione sottratto al giardino del palazzo in parte ancor oggi esistente e pure questo un tempo proprietà dei principi Ayerbo.
Alfonso Gambardella e Giosi Amirante nelle loro ricerche di studi condotte sul tessuto edilizio napoletano extramoenia, sospettano di questo palazzo esservi subentrata nella direzione dei lavori di composizione del vano scala, la mano creativa di Ferdinando Sanfelice, poi passata al suo più stretto collaboratore, nonché famosissimo architetto di fine Settecento, Giuseppe Astarita e non è esclusa la presenza sul cantiere di Gaetano Barba.
Suggestivo più che altro, nel coraggioso compendio del Parrino, datato 1725, ed intitolato, "Nuova guida de forestieri per osservare e godere le curiosità più vaghe e più rare della reale e fedelissima gran Napoli, città antica e nobilissima", il palazzo è ricordato esser stato dei principi il casino di caccia situato a nord del convento di Sant’Eframo Nuovo e comunque lo stesso Parrino lo riconosce arroccato al versante della Collina del Vomero sul principiare del colle medio di Fonseca, tra i comparti urbani della Salute e Materdei.
Del palazzo resiste ancora oggi il cortile usato come piccola masseria di caccia del Principe.
Si trova in un’ampia area urbana semi collinare, interessata dal Settecento in poi da una straordinaria espansione edilizia accresciuta dall’abusivismo suscitato in seguito alle abolizioni delle prammatiche vicereali.
- Prima della sua radicale trasformazione in convento delle Suore, il palazzo fu tra i più belli ed interessanti da un punto di vista architettonico della zona, e delle sue fattezze non del tutto perdute, se ne può scorgere ancor oggi l’ingresso posto sulla ripida salitina, al numero civico 20 di Salita San Raffaele, oltre il quale ancora esiste il cortile di forma irregolare che fu, ai tempi dei principi, la loro masseria di caccia. Ed accanto a questo primo cortile, ve ne è un secondo di forma rettangolare, intorno al quale, sul suo lato meridionale si sviluppa la fabbrica preesistente anche questa accorpata all’acquisto fatto dalle Suore. La scala dell’antico palazzo Ayerbo d’Aragona, non può dirsi aperta in quanto inquadrata a terra da tre ampi archi a sesto ribassato e protetti da portoni di legno; essa si sviluppa su pianta a base ottagona ed all’ingresso è stato posto un primo rampante mentre le volte a crociera sono specchiate ed incorniciate ogni vota con fascio di diverso colore onde sortire nell’insieme un elegante scena decorativa molto sobria. Esiste infatti un atto notarile datato 1748 che dichiarava proprio di quell’anno l’inizio dei lavori di ristrutturazione dell’immobile in uso al principe Giuseppe Maria d’Aragona, ma i lavori dovettero protrarsi per lunghissimo tempo se si tiene conto di un mandato di pagamento girato al maestro piperniere Domenico D’Ambrosio datato 1754; in queste circostanze ciò che emerge è l’assenza nell’atto notarile del nome dell’architetto che avrebbe progettata la scala, molto probabilmente morto non prima dell’avvio dei lavori, ma prima della stipula del contratto. Quindi tenuto anche conto che il palazzo con la scala a base ottagona già compare costruita così com’è sulla mappa del Duca di Noja, che, come tutti ben sanno, nonostante sia datata 1775 è stata invece disegnata per intero nella prima metà del Settecento, non può che concludersi che sia proprio del Sanfelice la direzione dei lavori di un impianto scala unico in tutto la città ed esclusivo per la data di edificazione. Quanto meno l’ipotesi attributiva del piano di lavori diretti in parte dal Sanfelice ed in parte dall’Astarita è suggerita per l’inedito disegno della scala posta sul lato occidentale del palazzo e mai pubblicato prima d’allora, riconosciuta piuttosto per esser stata frutto conclusivo di una ricerca progettuale di grande valore. La struttura della scala poligonale ai lati disuguali si sviluppa per l’ascesa di una rampa centrale e due rampe laterali e separate da un pianerottolo di forma triangolare e con uno dei lati semicircolari. La tensione strutturale è data dagli angoli acuti dei pilastri e dal profilo pulito dei costoloni che chiariscono le linearità delle volte e dai rampanti a collo d’oca. La semplice decorazione a riquadri geometrici della scala le accentua l’appartenenza più allo stile neoclassico che allo stile tardo barocco di cui è ampiamente infeudato il tessuto edilizio circostante. Della situazione primitiva e addirittura della condizione aggiunta del Settecento oggi restano pochissime tracce; gli interventi del primo Ottocento stravolgeranno la nobile composizione spaziale di tutto quanto il complesso giunta a definitiva sistemazione per intervento finale del Giambarba. In un punto ad angolo dell’insieme architettonico che non comprende l’area della scala presenta una teoria di grandi arcate di evidente ispirazione classicista e per la pratica di sovrapporre al primo ordine di arcate un ordine di estrazione tuscanico ed insieme ionico, lascia pensare che in quel punto dell’impianto vi abbia lavorato un architetto educato allo stile sopraggiunto a Napoli durante l’era di Carlo di Borbone.
Spazio note
(1) Liberamente estratto da: L’integrazione dei borghi alla città: il ruolo di San Potito, Materdei, la Salute, di Alfonso Gambardella-Giosi Amirante, Napoli fuori le mura: la Costigliola e Fonseca da platee a borgo, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1994, diritto di stampa 1757198 alla BNN distribuzione 2008 c 192Categorie delle Guide
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