Palazzo Costantino a San Potito Napoli

È il palazzo di Alessandro Costantino a San Potito di Napoli1 con ingresso al numero civico 25 di Via San Giuseppe dei Nudi nello spazio occupato dall’omonima chiesa e dal complesso conventuale di San Giuseppe dei Vecchi.
Francesco Costantino, uno degli eredi del primo proprietario, nel 1741 raggiunge un accordo per un’apertura di quattro nuove finestre nel palazzo2

Accordo ripetuto poi dieci anni più tardi, precisamente il 3 agosto del 1751, per mano del notaio Cavalli col Monastero dei Santi Bernardo e Margherita per l’ampliamento dei lastrici di questo palazzo3.

Una semplicità tettonica del tipo tardo barocca impreziosisce il registro delle decorazioni in stucco realizzate da Michele Santullo4, per gli elementi in piperno questi furono commissionati a Domenico D’Ambrosio, gestore della bottega di Antonio Saggese5, e la collocazione dei busti dei committenti del palazzo, posti comodamente a vista sulla facciata del palazzo, ripropone la medesima organizzazione spaziale accordata per la facciata di palazzo Trabucco di piazza Carità6.


È rimasta per lungo tempo senza attribuzione a nessuno degli architetti del Settecento napoletano.

Nonostante sia da sempre stato considerato assieme al palazzo Sanfelice alla Sanità ed al palazzo Solimena una delle emergenze monumentali di straordinario valore architettonico comprese tra colli di Pontecorvo, Fonseca ed il vallone dei Vergini.

  • Anch’esso, alla stessa maniera del palazzo Solimena, nacque dall’aggregazione di fabbriche preesistenti, costruite a partire dal XVII secolo, e più in particolare frutto della speculazione di tipo edilizio messa in opera da parte dell’architetto Paolo Papa e poi infine acquistate agli eredi di quest’ultimo da Alessandro Costantino nel 1683. Tuttavia, l’aspetto che attualmente presenta il palazzo lo si deve solo ai lavori fatti eseguire nel corso del Settecento, avviati dal figlio di Alessandro Costantino e per opera di Nicolò Tagliacozzi Canale7 l’architetto che ne sviluppò i principi compositivi già ampiamente collaudati per il palazzo Trabucco di piazza Carità, riprendendo la scala aperta come quinta scenica dell’angusto cortile scandito dalla successione di tre volte a vela. Il cortile quindi del palazzo Costantino resta il nucleo principale dei cambiamenti che hanno determinato il gradiente fuoco visivo dall’androne. Infatti il rapporto dell’alzato della scala e l’estensione planimetrica dei piani conferisce al cortile interno un più dovuto senso di compiutezza e di intimità. Restano pressocchè evidenti le differenze architettoniche dei due palazzi, quello a San Potito e quello a piazza Carità; rispetto allo spiccato verticalismo della scala di quest’ultimo infatti, gli archi rampanti e le decorazioni degli stucchi determinano una sorta di spazio ulteriore, una scelta introdotta a progetto nel tentativo in parte anche riuscito di dilatare lo spazio trasversale. Ed anche una semplice cornice sottile è stata usata per articolare i registri delle decorazioni nei rampanti; la scala nel palazzo Trabucco di piazza Carità si sviluppa attorno a quattro coppie di pilastri, mentre nell’opera di San Potito la realizzazione principale dell'impianto è attorno a quattro massicci montanti, ai quali, l’architetto non ha fatto mancare altri due montanti sul fronte della scala e nello spessore murario riesce addirittura a ricavare due coppie di lesene. Il cortile del palazzo a San Liborio ha permesso di ottenere un prezioso gioco geometrico delle rampe, dei pianerottoli, degli archi a tutto sesto e a collo d’oca, diversamente per il progetto dell’immobile a San Potito, la minor profondità del cortile ha invece determinato un minor gioco dei volumi interni. Va anche ricordato che la scala del palazzo Costantino è organizzata sull’alternarsi di tre moduli maggiori e due minori, il tutto impaginato da quattro lesene e due paraste interne. Fu ceduto nell’Ottocento alla famiglia Fernandes e deve considerarsi l’opera di maggior respiro architettonico di tutta quanta la platea della Costigliola, territorio questo da sempre proprietà della famiglia dei Carafa.


Spazio note

(1) Liberamente estratto da: L’integrazione dei borghi alla città: il ruolo di San Potito, Materdei, la Salute, pagine 109-119 di Alfonso Gambardella-Giosi Amirante, Napoli fuori le mura: la Costigliola e Fonseca da platee a borgo, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1994, diritto di stampa 1757198 alla BNN distribuzione 2008 c 192
(2) A.S.N., Notaio Nicola Antonio Ferrajolo, scheda 704, vol. 32, a 1741
(3) A.S.N., Monasteri Soppressi, vol. 2904, Platea del venerabile monistero dei SS Bernardo e Margherita
(4) A.S.B.N.,Banco dello Spirito Santo, 1 settembre del 1741, matr. 1403
(5) A.S.B.N.,Banco dello Spirito Santo 28 settembre del 1741, matr. 1403
(6) cfr., R. Mormone, Notizie sull’urbanistica napoletana del Settecento., in Napoli Nobilissima, I, 1962 pagina 200
(7) Nel corso di studi specialistici del settore immobiliare, le opere di unificazione del palazzo sono state attribuite al repertorio di Nicolò Tagliacozzi Canale per la una straordinaria analogia col palazzo Trabucco a piazza Carità, le cui decorazioni, nonostante appartengano alla tradizione barocca del Settecento napoletano, rappresentano l’esasperata ricerca dello stile nuovo singolarmente ritrovato poi nel gusto rococò. Lo stesso Tagliacozzi Canale mutuerà dall’architetto Sanfelice la geniale sistemazione che quest’ultimo diede al palazzo dello Spagnuolo in Via Vergini, ed ovvero: scale aperte ad ali di falco, di forma poligonale ed incastri spaziali che risolsero per sempre, l’annoso problema dello sviluppo verticale della scale in contrasto architettonico con quello orizzontale dei piani. Il Tagliacozzi dunque importerà, seppur non della medesima valenza, il sofisticato valore formale della sistemazione per il palazzo alla Carità. G. Fiengo Organizzazione e produzione edilizia a Napoli all’avvento di Carlo di Borbone Napoli, 1983, pagina 97; cfr., M. Capobianco, Scale settecentesche a Napoli, in “Architettura”, n° 86 1961-1962; cfr., M. Russo, Nicola Tagliacozzi Canale ed i palazzi Mastellone e Trabucco a Napoli, in AA.VV., Ricordo di Roberto Pane, Napoli 1991 pagina 451 e segg.