Palazzo Solimena a San Potito Napoli

È il palazzo di Francesco Solimena1, un prodotto dell’eccellenza napoletana, costruito dalla genialità di Francesco Solimena, e non esclusa la partecipazione straordinaria di Ferdinando Sanfelice, Giovan Battista Nauclerio e Domenico Antonio Vaccaro.

Si erge sul colle di San Potito, una delle zone di Napoli tra il borgo dell’Avvocata e Sant’Andrea delle Dame, ed è visibilissimo da piazzetta del Museo Archeologico assieme al palazzo Cito di Melissano alla sua sinistra ed alla chiesa di San Giuseppe dei Nudi

Quest'ultimo elemento, cioè, la chiesa stessa, chiude degnamente la quinta visiva che prospetta di fronte alla Galleria Principe di Napoli, coprendo di fatto l’aggancio di Pontecorvo a Salvator Rosa.

L’immobile è stato semidistrutto una prima volta durante le sommosse delle Quattro Giornate di Napoli del 1799, ed una seconda volta durante i bombardamenti del 1943, ed una terza ed ultima volta la notte dello spaventoso sisma del 23 novembre del 1980.

Risulta quindi esser l’unico tra i palazzi antichi di Napoli ad esser stato immediatamente riportato alla sicurezza strutturale in tutte e tre le terribili occasioni.


Il palazzo come tutta la zona di San Potito è raggiungibile dall’omonima rampa.

Ma anche dalla scala fatta costruire nel 1867 dal Comune di Napoli, onde realizzare un felice collegamento dalla zona alta con Via Pessina.

  • Salvo ripagare i proprietari dei palazzi immediatamente prospiscienti la rampa per i danni che ne seguirono2. Il palazzo in questione, il più bello di tutto il quartiere, fu modificato nell’aspetto originario costituito da un corpo di fabbrica principale, una casa palaziata e vari altri elementi immobiliari installati tutto intorno nell’ambiente circostante secondo le regole edilizie relative ai periodi delle prammatiche vicereali, accorpati e costruiti in tempi diversi fino a tutta la seconda metà del Seicento, cosa che era già accaduta, tra l’altro, per tutti i palazzi di fondazione secentesca eretti sul territorio fuori le mura del centro antico, e per i quali, valsero la medesima assenza di una progettazione sia organica che preventiva, causa quest’ultima, di successive aggregazioni di piccola portata ma costante almeno per il novanta per cento del tessuto edilizio. Infine, il palazzo mantenne sempre vita autonoma rispetto al nucleo primitivo, che, agli inizi del Settecento verrà definitivamente modificato secondo lo schema attuale impostato proprio dall’abate Ciccio, l’alias affidato alla persona di Francesco Solimena3 erroneamente creduto da Onofrio Giannone opera di altro architetto4.

L’abate Solimena il palazzo lo acquisterà nel 1710.

In presenza degli ingegneri Francesco Pepe e Remigio Cacciapuoti.


  • Anche se marginale rispetto alla produzione pittorica, Francesco Solimena comunque si distinse per notevoli capacità architettoniche dimostrate nella facciata della chiesa di San Giuseppe dei Vecchi, sempre su a San Potito, il portale della chiesa di San Nicola alla Carità a via Toledo a ridosso di piazza Carità, e la cupola della chiesa di Santa Maria della Sanità nel popoloso quartiere di Barra. L’abate Solimena il palazzo lo acquisterà nel 1710, in presenza degli ingegneri Francesco Pepe e Remigio Cacciapuoti, i due relatori della compravendita che fanno il punto della situazione, scrivendo nero su bianco come si trovasse l’immobile prima dei lavori del Settecento realizzati su progetto del nuovo proprietario, aiutato da Giacomo Farina al quale verrà affidato il compito del computo metrico, mentre per quanto riguarda l’esecuzione materiale dell’opera vi metteranno mano i capomastri, Baldassarre, Giacomo e Gennaro Vecchione5. Esso è quindi la trasformazione di una splendida multi proprietà in parte palaziata e costruita già dagli inizi del XVII secolo su un suolo concesso dai Carafa a censo nel 1581 a tale Leonardo Cestaro6.

Il palazzo presenta la facciata scompartita da un ordine gigante di lesene corinzie.

Chiaramente ispirata all’arte di Michelangelo, tutte quante appoggiate su di un massiccio piano basamentale in pietra grezza del Vesuvio.

  • Rigorosamente semplice e formale, lo si nota chiaramente esser una stretta rielaborazione tutta napoletana di un esempio di basamento romano, con portale ad arco, timpano spezzato sorretto da lesene bugnate in un unico profilo ribassato. Paraste di stucco bugnato, invece scandiscono il piano di facciata e riflettono il gusto del suo ideatore di riprendere il classicismo, che in quegli anni, caratterizzava anche tutta quanta la sua pittura7. I lavori del piperno per la facciata del palazzo furono condotti sotto la direzione del maestro piperniere, Felice Astuto8. Il profilo mistilineo delle balconate al secondo piano, sorrette da mensoloni in stucco e sormontate da timpani altrettanto in stucco, definiscono in maniera limpida il carattere settecentesco della scansione e per essa tutta l’impostazione architettonica del palazzo9, che, però, va anche detto, divenuto patrimonio delle maestranze artigianali indigene, mostra elevati picchi di repertorio barocco, forse gli unici che lo distinguono dal vicinissimo palazzo Cito di Melissano ancora legato alla tradizione del Seicento. Per quanto riguarda la restante organizzazione spaziale del palazzo essa è inchiavardata attorno all’asse ”ingresso-cortile scoperto-giardino”. Sulla parete di fondo dell’immobile tre ingressi alle scuderie furono impreziosite da cornici di piperno con motivi fantasiosi, di cui quella centrale, la più grande e forse anche la più riuscita in termini di resa, presenta una mostra massiccia con ai lati reggiredini in pietra calcarea, scudi araldici ed abbeveratoi ancora in piperno. Opera realizzata nel 1718 dai pipernieri Tommaso Cortese e Nicola Pagano. Risale al 1889 l’autorizzazione alla costruzione di passetti esterni e alla trasformazione delle finestre che affacciano Via San Giuseppe dei Nudi, oltre alla più significativa sostituzione del materiale in piperno delle scale montate in seguito col marmo bianco di bardiglio, e la chiusura dei vani luce che un tempo provvedevano ad illuminare l’impianto delle scale.


Spazio note

(1) Liberamente estratto da: L’integrazione dei borghi alla città: il ruolo di San Potito, Materdei, la Salute, pagine 109-119 di Alfonso Gambardella-Giosi Amirante, Napoli fuori le mura: la Costigliola e Fonseca da platee a borgo, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1994, diritto di stampa 1757198 alla BNN distribuzione 2008 c 192
(2) A.S.C.N., Verbale del 19 agosto 1870, pagina 70
(3) A.S.N., Notaio Angelo Montella, scheda 706, vol. 11, f. 50.
(4) Onofrio Giannone, Ritratti e giunte sulla vita de Pittori napolitani, in G. Ceci, Il primo critico del De Dominici, in A.S.P.N., XXXIII 1908 pagina 625, le prime autentiche attribuzioni dell’impianto al Solimena arriveranno con certezza anche dagli studi di del Roviglione, A. Roviglione Aggiunte all’edizione napoletana dell’Abecedario pittorico di P.A. Orlandi, Napoli, 1973, cfr, V. Rizzo, Documenti su Solimena, Sanfelice, Sammartino e i maestri cartapistari, in Napoli Nobilissima, XX 1981, pagina 222 e seguenti.
(5) A.S.N., Notaio Gregorio Servillo, sch. 665, vol. 21, f. 341, 21 aprile 1710.
(6) Informazioni su questo immobile sono state raccolte e catalogate dalla dottoressa Margherita del Prete, che ne ha fatto oggetto della sua tesi di laurea, con rilievo del palazzo e ricerche d’archivio integrate dal professor Gambardella per il testo consultato. Nell’occasione, il documento è stato confrontato con altri in archivio ai Santi Severino e Sossio, con collocazione A.S.N., Platea della Costilgiola, foglio 70. La prima censuazione di suolo fu fatta a tale Leonardo Cestaro nel 1581 a gr. 25 per ogni palmo di terra, salvo poi apportare una necessaria modifica del prezzo nel 1785 a 15 gr per palmo, causa l’emanazione delle prammatiche vicereali necessarie queste all’uso di costruirvi il palazzo della Cavallerizza, cioè, il futuro palazzo che sta alle spalle del Museo Archeologico Nazionale. La modifica del prezzo sui palmi fu assegnata ai fratelli Bernardo e Giovan Battista Murolo che figurano già dal 1587 come nuovi censuari. Non si segnalano ulteriori modifiche al prezzo sul censo pur se tuttavia i censuari cambiarono in Beatrice dell’Aversana nel 1616 ed Andrea de Risi nel 1659. Fu poi definitivamente acquistata da Francesco Solimena nel 1701.
(7) Non bisogna dimenticare che del Solimena è l’Eliodoro cacciato dal Tempio, l’opera che arricchisce la controfacciata della chiesa del Gesù Nuovo. Ed ancora: le lesene ioniche usate per la facciata del palazzo a San Potito, chiaramente riprese nella veste dell’immobile solo per mera filiazione ai palazzi romani, sono state ritratte proprio in due dipinti del Solimena: il Massacro della famiglia Giustiniani, e la Madonna e Bambini adorato dai Santi della collezione Grimaldi.
(8) A.S.B.N., Banco del Salvatore, 18 agosto 1712, matr. 573
(9) A.S.B.N., Banco del Popolo, 3 marzo 1715, matr. 823