Facciata del Duomo di Napoli

È la facciata del Duomo di Napoli1, prospettante l’omonimo larghetto, in una soluzione d’angolo scelta all’indomani della rettifica di tutta quanta Via Duomo.

Per la conseguente costruzione di due edifici che si fronteggiano testa a testa è finita definitivamente nascosta alla visuale che si offre solo dal parapetto monumentale del palazzo Seripando e dalla Cappella dell’Assunta presso il chiostro dei Girolamini.


La facciata del duomo è caratterizzata dalla presenza di un portone in legno centrale che funge quasi sempre da ingresso principale alla cattedrale e due portali minori posti a destra e a sinistra, oggetto tutti e tre di un restauro assieme ad un completamento dell’ordine maggiore della stessa facciata.

I lavori di restauro della facciata quindi furono banditi per concorso nel 1876, indetto dal Cardinal Sisto Riario Sforza e vinto da Enrico Alvino, che ne erediterà l’impianto ibrido e molto imitativo, consegnato precedentemente per volere del Cardinal Capece Zurlo e condotto magistralmente a termine dall’architetto Tommaso Senese nel 1788.


Fino al 1788 la facciata restò comunque incompleta di decorazioni nella parte superiore.

Le condizioni pregresse l’afflissero molto a causa di quell’antico, ma genuino, oltre che speciale interessamento da parte del cardinal Minutolo.  

  • Il quale, altrimenti, volle invaghirsi ed impreziosire solo la parte minore della facciata e conferirle quella spiccata bellezza di stile prettamente nordico che di fatto ancor oggi ne determina i lineamenti. Ad ogni modo il progetto di realizzazione della nuova facciata del Duomo di Napoli di Enrico Alvino presentato da quest’ultimo nello stesso anno in cui morì, 1876, venne effettivamente eseguito solo trent’anni più tardi, e cioè nel 1905, progettando per la facciata medesima una linea guida contestata e anche assai discussa dagli storici dell’arte di quel tempo, ovvero, mantenere in un’unica impaginazione del tipo neogotica gli elementi provenienti dal ricco ma disastroso Trecento assieme a quelli che provengono invece dal Quattrocento. Risultato della messa insieme fu la massima esasperazione della facciata falsamente ispirata alle grandi cattedrali italiane, quali, ad esempio, le facciate del duomo di Siena e di Orvieto, presentandola quindi ricca di cuspidi, guglie, edicole, timpani, finestroni archiacuti, e, sempre oltre il primo ordine, due agili e snelle torri più alte dello stesso corpo centrale. Nella fattispecie però, le decorazioni della facciata progettate anche dallo stesso Enrico Alvino, proprio in necessità del sopraggiunto evento morte che colpì l’architetto, vennero affidate ai professori emeriti dell’Accademia di Belle Arti, uno di questi, Francesco Ierace, autore tra l’altro della statua di re Vittorio Emanuele II, ultima delle otto statue sulla facciata di Palazzo Reale a piazza Plebiscito, ha realizzato nel 1904, con un linguaggio tutt’altro che neogotico con le Storie di San Gennaro poste ai lati del finestrone centrale.  Gli altri gruppetti scultorei, quelli che stanno sopra i portali laterali e che ritraggono le Storie dei Santi Atanasio, Agrippino, Aspreno e Agnello sono di Domenico Pellegrini.

Altre decorazioni disseminate qua e là sulla facciata, tecnicamente ”fuori luogo”.  

Per la loro esaltazione più tipica queste potrebbero esser lapidi cimiteriali più che elementi di facciata per una cattedrale.

  • Queste sono opera dei vari Salvatore Cepparulo, Domenico Jollo, Alberto Ferrer, Giuseppe Lettieri, Raffaele Belliazzi, Salvatore Irdi, di costui si segnalano come interessanti gli Angeli del torrione di sinistra; ed ancora come interessante i Santi Martiri nel clipei degli stessi torrioni di Michele Busciolani. Chiudono la non lunga serie di artisti nell’affare facciata del duomo di Napoli, Stanislao Lista e Tommaso Solari. Per quest’ultimo si ricorda il suo impegno nel realizzare la statua di Carlo d’Angiò sempre sulla facciata di Palazzo Reale ed i Due Leoni posti all’ingresso dell’Accademia lato Via Vincenzo Bellini. Restauri dalla facciata furono realizzati anche dopo i disastrosi bombardamenti del 1943, nel 1951 ed infine, un tentativo di restauro conservativo si ebbe nel 1990, in seguito al quale, alla facciata specie nella zona in prossimità del basamento venne restituito il suo grado di leggibilità deteriorato dall’avanzato stato di inquinamento a cui tutta quanta la zona è soggetta. La cattedrale gotica della città partenopea, pur se rivendicata da Carlo II d’Angiò, comunque ne è attestata la fondazione da parte solo di Carlo I d’Angiò nel 1299, a sua volta, quest’ultimo fondatore del Regno di Napoli, capostipite della sua stessa dinastia nel Mezzogiorno Italiano del Duecento.

Del duomo di Napoli gli elementi architettonici più antichi sono da credersi la tribuna.

E le due cappelle nelle immediate prossimità, oggi assai trasformate, specie le cappelle Sant’Aspreno e Capece Minutolo.

  • Ma tuttavia ancora riconoscibili in esse i segni dello stile gotico transalpino. Tutto il resto fu lentamente costruito in circa 23 anni di regno presieduto da Carlo II d’Angiò e suo figlio Roberto, il Saggio, rispettivamente nella sequenza temporale tra il 1285 ed il 1308. Roberto d’Angiò sembra esser stato poi il regnante che abbia posto termine all’erigenda fabbrica a partire dalla grandiosa navata conclusa contro la maestosa facciata in legno che oggi non esiste più, distrutta completamente assieme ad un campanile ad essa adiacente dal terremoto del 1348. Della versione trecentesca, restano solo i due leoni stilofori, molto consumati, posti all’ingresso del duomo, ancora carichi di tutto il fascino e di tutto quanto il temperamento gotico; e la Madonna col Bambino, posta al centro della lunetta in alto al portale maggiore, tutta in marmo, opera di Tino da Camaino, uno dei più grandi maestri della scultura italiana del Trecento. Per il resto della decorazione del portale maggiore, ” …. con l’alta cuspide fiammeggiante” è scandita dai cori d’angeli in rilievo e dal gruppo a tutto tondo della lunetta, i Santi Gennaro e Pietro col Cardinal Minutolo, attorno alla Vergine sono pur’essi di Tino da Camaino, diversamente sono di Antonio Baboccio da Piperno, l’Incoronazione della Vergine, e tutti gli altri elementi in rilievo come le statue dei Santi e Profeti nei torrini laterali, nell’architrave e nell’archivolto, nonché nei due portali minori alla destra e alla sinistra. I pezzi del Baboccio, seppur molto, ma molto rimaneggiati, dimostrano però ancora oggi e nello stato in cui si trovano chi fosse, nel primo Quattrocento italiano il vero dominatore della scultura decorativa infeudata dall’antico mito angioino frammentato ormai in mille varianti, prime tra tante, l’ascesa del gusto della casa Durazzo.

Nella sua parte interna la fabbrica religiosa restituisce solo poca della paternità angioina.

Ferma alla sola struggente struttura gotica sulla quale cala una fortissima inquietudine barocca, presentandosi come un impianto architettonico ibrido. 

  • Sulla controfacciata dunque, in alto sospeso sulla superficie vi è un monumento in marmo, che, come recita l’iscrizione, deriva dalla commovente pia opera pietosa del vicerè di Napoli, Enrico di Guzman, conte di Olivares. Costui, racconta il Celano ed in seguito lo riprende senza aggiungere altro anche il Chiarini, nel 1599, mentre in chiesa si stava rifacendo l’abside, notò, nello spazio della cappella San Ludovico, oggi l’attuale sacrestia, le tombe, alquanto scarne e semplici, del primo sovrano della casata d’Angiò, Carlo, di suo figlio, Carlo Martello, re d’Ungheria e della moglie di questo, Clemenza d’Asburgo. Impietositosene ne commissionò il lavoro proprio a Domenico Fontana, impegnato, in quegli anni a sistemare il largo dei Girolamini e a rettificare tutta quanta Via Chiaia, oltre alla sistemazione della facciata di Palazzo Reale a piazza Plebiscito.


Spazio note

(1) Liberamente estratto da: Napoli sacra: guida alle chiese della città 15° itinerario da pagina 3 a pagina 4 Coordinamento scientifico: Nicola Spinosa ; a cura di Gemma Cautela, Leonardo Di Mauro, Renato Ruotolo. – Napoli : Elio De Rosa. – v. ; 33 cm. ((In cop.: Soprintendenza per i beni artistici e storici. Codice SBN NAP0150544.