Monastero Santa Monica a San Potito Napoli
È il monastero di Santa Monica sul colle a San Potito, Napoli1 il più importante polo religioso del suo comparto, anche se dopotutto, non meno degli altri complessi monastici e conventuali presenti sul posto, sulla base delle trasformazioni urbanistiche del suo secolo e dei secoli successivi, ha perduto tutto della sua originaria configurazione cinquecentesca.E più in particolare in questo caso la chiesa ha anche subito una parziale distruzione in seguito ai bombardamenti del 1943.
È dedicato alla madre di Sant’Agostino da Ippona, sotto la qual regola da lui stesso redatta per i suoi monaci e le sue monache, nel 1649 venne assoggettata la clausura monastica, imposta come unica ed indispensabile prescrizione di vita comune alle vocande residenti, tutte vergini, come la regola lo imponeva e lo impose anche il volere di Vincenza Gatta, fondatrice unica del monastero nel 16282.
Fu dunque il monastero ricavato dagli immobili ricevuti in eredità dal marito morto di Vincenza Gatta, Marco Aurelio de Martiis. Tale Marco Aurelio, acquistò nel 1600 da Giovanna di Nebia, una casa composta ” … di due membri terranei l’uno supportico e l’altro membro non tanto finito” mentre l’anno seguente riceve in enfiteusi 215 palmi di ” … terreno vacuo” in prossimità proprio della sua casa.
Il Seicento è stato il secolo dello sviluppo edilizio di case frammentate, per lo più bassi.
Grazie, poi al continuo accorpamento di altri immobili acquistati dalla nuova fondazione religiosa sul nucleo originario del colle della Castigliola dei Carafa, fu possibile realizzare l’impianto monastico già adatto a ricevere e condurre a vita religiosa monache votate alla regola di Sant’Agostino.
- Vi è da aggiungere che in quest’area, come tra l’altro sull’orlo orientale di Caponapoli e al di là dei confini di Sant’Andrea delle Dame, il Seicento è stato il secolo dello sviluppo edilizio di case frammentate, per lo più bassi, terranei alla portata dei meno ambienti, tutta gente espulsa dal centro antico della città in forza delle prammatiche vicereali di don Pedro de Toledo. Di contro, però, le mire espansionistiche degli Ordini religiosi prevaricarono questo tipo di diritto, imponendo ai vecchi proprietari la svendita della propria casa secondo il prezzo stabilito dai tavolari eletti direttamente dagli ecclesiastici, anche quest’ultimi, fortemente soggetti al potere degli stessi Ordini religiosi, ricordato, è anche vero, come l’unica committenza sicura di quel periodo. Così quindi le monache Agostiniane imposero nel 1681 ad Orsola e Felice Gaudiosi di vendere una loro casa adiacente il loro monastero, e non ancora paghe delle loro esigenze di occupare sempre più suolo, chiesero ed ottennero dal Tribunale della Fortificazione. Mattonata ed Acqua l’avallo della loro richiesta di svendita dell’immobile estesa anche a Carlo Antonio Gaudioso, circa una sua casa presente proprio sul percorso che da Santa Monica conduceva alla chiesa di San Giuseppe dei Vecchi, all’epoca conosciuta solo come chiesa di San Giuseppe dei Chierici Regolari3. Le acquisizioni ottennero alle Agostiniane di realizzare l’impianto con le dovute servitù ed ampliato sia per la maggior ricettività delle vocande sia per realizzare spazi di risorsa, e cioè, parti del complesso monastico da destinare all’affitto.
La chiesa di Santa Monica fu completata solo nel 1702, sotto la direzione di Matteo Stendardo.
Ma anche l’impostazione settecentesca non sussiste più ed in sua vece si erige una planimetria chiesastica data dalla mano dell’architetto ordinario delle Agostiniane, Onofrio Parascandalo.
- Che tra l’altro abitava pure in una casa nei pressi della stessa chiesa. Del settecento, l’immobile conserva l’impostazione controriformistica, la volta a botte lunettata e null’altro. Andato perduto per sempre anche lo splendido altare realizzato in forgia da Ferdinando Sanfelice. All’indomani del terremoto del 1732 furono necessari interventi di ristrutturazione e messa in sicurezza dei locali provati dalle tremende sollecitazioni del sottosuolo scosso; e fu durante il consolidamento della fondamenta che lo stesso Ordine continuò ad esercitare prevaricazione sul diritto immobiliare e ad occupare altro suolo e addirittura fino anche a costruire un muro di contenimento lungo tutta la facciata. Nel 1744, dalla planimetria, che è quasi una cartina geografica, dell’ingegner Francesco Sciarretta, è possibile scorgere lo stato dei fatti e le ipotesi di studio sullo stato dei luoghi a cui pervenne tutta l’area di San Potito contesa dagli abitanti cacciati dalla città vera e propria e dagli Ordini religiosi sempre meno paghi delle loro risorse accumulate. A Tommaso Mandile, infine, le Agostiniane nel 1750, imposero la permuta di alcuni locali di sua proprietà che si trovavano sulla strada per Sant’Eframo Nuovo, all’incontro con la cappella di Santa Maria dell’Arco.
Spazio note
(1) L’integrazione dei borghi alla città: il ruolo di San Potito, Materdei, la Salute, Alfonso Gambardella-Giosi Amirante, Napoli fuori le mura: la Costigliola e Fonseca da platee a borgo, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1994, diritto di stampa 1757198 alla BNN distribuzione 2008 c 192(2) Documento conservato all’Archivio di Stato a Napoli, A.S.N., Monasteri Soppressi, vol. 4637, Origine descrizione e stato del Ven. Monastero claustrale di S. Monica dell’Ordine di Sant’Agostino di questa città di Napoli nel 1742
(3) A.S.N., Monasteri Soppressi, vol. 4637
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