Chiesa San Raffaele Arcangelo Napoli

È la chiesa San Raffaele Arcangelo a Napoli, con annesso ritiro ed un mastodontico palazzo costruito per sfruttare la pendenza media del monte sul quale è fondato.

Finito di costruire nel 1734, ed aperto per accogliere donne pentite della loro vita di malaffare, il ritiro arranca tra il colle di Fonseca e la Salute, reso pressocchè famoso dal taglio rettilineo di Via Amato da Montecassino, allungata, quest’ultima, e in un qualche modo perfezionata durante il risanamento della città dei primi dieci anni del Novecento e la ricostruzione semi fascista di Materdei.

Attualmente sta stretto ed ammagliato nel tessuto edilizio moderno costruito tutt’intorno nel corso dei secoli, nascondendo a maniera i differenti salti di quota che la stessa costruzione sfrutta per sviluppare il suo andamento dalle propaggini di Sant’Eframo Nuovo all’Infrascata e dal quartier Materdei per raggiungere l’apice del colle in zona Salute.

Si tratta quindi di un edificio abbastanza ampio, fortificato con le donazioni raccolte dal Cardinal Sersale, occupando buona parte dell’isolato del vecchio rione a Materdei anche in forza del gustosissimo giardino sistemato in ricordo del Biancomangiare a Spaccanapoli e del Carogioello a Pontecorvo.


In luogo del giardino, venne costruita la chiesa sotto il titolo di San Raffaele Arcangelo e Santa Margherita da Cortona. 

I lavori, iniziati nel 1759, su progetto disegnato da Giuseppe Astarita, si protrassero fino al 1768, sotto la direzione dei lavori di Michele Lignola.
 
  • Così fu pure dichiarato dal suo primo rettore, che, in un documento del 1780 lo firma come protettore della chiesa. La facciata si caratterizza per la sua forma concava regolata a questa maniera di modo da ottenere un raccordo più semplice e congiunto con le pareti spoglie del ritiro; ma oltre tutto, l’artificio della facciata di questa chiesa, si evince da un lavoro monografico del Venditti sull’architetto Astarita, ne mostra chiaramente il suo carattere, che in questi termini piega la facciata della chiesa anziché regolarla con un raccordo all’angolo tra i muri ortogonali dell’edificio, alla stessa maniera di quanto riesce a compiere per la chiesa dei Santi Giovanni e Teresa all’Arco Mirelli, borgo a Chiaia. Va posto in rilievo il gusto tardo barocco della facciata della chiesa prospisciente Via Amato da Montecassino, là dove, Giuseppe Astarita, con a disposizione una planimetria della zona estratta dalla mappa del Duca di Noja, al massimo confrontata con la mappa del Marchese, pensò di realizzare una sorta di emiciclo, nel punto esatto in cui, a quell’epoca, cessava Via Amato da Montecassino e con la soluzione della facciata concava avrebbe sortito l’illusione di uno spazio antistante la facciata della chiesa ampio da farci stare un pieno di giro di carrozza. Resta da aggiungere che la soluzione architettonica della facciata è meritevole di segnalazione per l’effetto chiaroscurale ed ornamentale sortito grazie alla combinazione di due piani sovrapposti e scanditi da un doppio ordine di lesene e raccordati dal gioco sensibile delle volute con una particolare configurazione architettonica ricavata sempre concava da due ambienti estratti dal coro delle monache. All’interno la chiesa si presenta a croce greca ed un repertorio decorativo tipico del maestro Astarita ne configura uno spazio in termini di originalità fermo restante un aspetto semplicistico preponderante sulla materia. Ma l’elemento che spicca su tutto per genialità, secondo appunto, una ben nota tradizione del costruire di quell’epoca, è la cupola della chiesa, a ridotto sviluppo verticale, quasi una sorta di calotta adagiata sul vano cupolato, che ne risulta raccordato assieme alle altre parti strutturali della chiesa. Il laternino, che altrimenti si slancia in altezza, chiara copia quasi perfetta del lanternino della chiesa di Sant’Agostino alla Zecca, riesce a diffondere luce solare negli spazi sottostanti contribuendo primariamente alla centralità dello spazio chiesastico ed alla rarefazione degli ambienti attigui alla cupola. Semplici riquadrature in stucco muovono la scansione delle pareti e delle coperture a testimonianza della fedeltà dell’Astarita alle tecniche di produzione dei grandi architetti napoletani del Settecento.


Spazio note

(1) Per i versi in epigrafe: Carlo Celano, A.S.D. Ritiro di S. Raffaele e S. Margherita da Cortona, relazione di Giuseppe Astarita; nello stesso fascio, anche la relazione del rettore.
(2) Liberamente estratto da: L’integrazione dei borghi alla città: il ruolo di San Potito, Materdei, la Salute, pagine 61-63 di Alfonso Gambardella-Giosi Amirante, Napoli fuori le mura: la Costigliola e Fonseca da platee a borgo, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1994, diritto di stampa 1757198 alla BNN distribuzione 2008 c 192