Chiesa Sant’Antonio Abate Napoli

Questa poi, antichissima, scavata dalle acque piovane, è diventata nel corso dei secoli, una delle strade di penetrazione interna al centro storico della città, e tuttavia, fu anche la condizione principale per cui si procedette alla costruzione dell’omonimo borgo.
La facciata, non originaria, disegnata da Tommaso Senese, tra il 1769 ed il 1775, sotto la quale ancora resistono incisioni della primitiva struttura angioina, assieme al suo ingresso del tutto moderno, sono rivolti all’antistante larghetto detto di Sant’Antonio Abate, sul fianco sinistro di via Foria, all’incrocio di quest’ultima con piazza Carlo III ed il massiccio fronte del Real Albergo dei Poveri.
Annesso alla chiesa sarebbe esistito anche un ospedale specifico per la cura dell’epidemia allora conosciuta come il ”fuoco sacro”. Ma di queste notizie non vi sono fonti attendibili o quanto meno fonti più recenti di un diploma del 12 marzo del 1313, mentre, invece, da un decreto di Roberto d’Angiò, datato 1320 si attesta che i malati del morbo del ”fuoco sacro” venissero ricoverati presso il lebbrosario gerosolomitano di San Lazzaro a Capua.
Ciò che caratterizza maggiormente la storia di questa chiesa sono i lunghi e frequenti restauri.
Altre informazioni dichiarano che l’Ordine degli Ospetalieri di Sant’Antonio Abate, fondato a Vienna nel 1095 e soppresso da papa Urbano VIII nel 1630, venuti a stare a Napoli con l’appoggio degli Angioini, furono poi cacciati all’avvento degli Aragonesi, per la loro troppa fedeltà agli stessi d’Angiò.
- E fu allora che il convento di Sant’Antonio Abate fu annesso all’opera assistenziale dell’Annunziata a Forcella e la chiesa data dai papi ai commendatari loro favoriti, di cui, il primo fu il cardinal Giuliano della Rovere, futuro pontefice col nome di Giulio II. Ed infine, è notizia che, dal 1634, la chiesa risulta esser Abadia del cardinal Burghese, mentre nell’ultimo ventennio del XVIII secolo, l’ospedale fu soppresso definitivamente per opera di Clemente XIV, e l’annessa chiesa affidata all’Ordine Costantiniano. Ciò che caratterizza maggiormente la storia di questa chiesa sono i lunghi e frequenti restauri che si rivelarono per l’immobile vere e proprie trasformazioni, la prima di tutte, all’epoca della regina Giovanna I; nel 1447 infatti, il procuratore generale dell’Ordine, fra’ Bernardo Roberto, autografò un documento tra la chiesa ed il muratore Giovanni De Iscla, per l’esecuzione di un lavoro di messa in opera per l’armatura lignea del tetto della chiesa. Nel 1699, per mano dell’abate commendatario, il cardinal Cantelmo, vi fu un restauro esasperato al punto da sovrastare fino a cancellare per sempre le fattezze gotiche dell’immobile. Le situazioni che vi si succedevano di volta in volta, ad ogni restauro, lo si può testimoniare col fatto che sulla pianta del Duca di Noja, la chiesa appare con sole tre cappelle, mentre è noto che la pianta originaria ne aveva previste sei per ogni lato. Dovette esser durante l’occasione dei lavori del cardinal Cantelmo, che le tre cappelle per lato furono poi riadattate ad uso di sacrestie, così come durante quel periodo si affidarono a Domenico Viola le decorazioni del soffitto e le tele alle pareti. I blasoni del cardinale furono affissi nella lunetta del portale d’ingresso, e sull’altar maggiore, per l’occasione fatto realizzare nel 1701, tutto in marmo, da Arcangelo Guglielmelli. Il presbiterio venne trasformato nel 1787, per volere del cardinal Sersale, di cui, uno stemma venne elevato sul fronte della nuova facciata. Mentre, monsignor Della Porta, confessore ed elemosiniere di Ferdinando I continuò l’opera di trasformazione quasi di deturpamento dell’immobile nel 1825, solo nel 1850 si procedette alla sostituzione del muro della chiesa che la separava dal piazzale di via Foria e sempre a quel periodo dovrebbero riferirsi il restauro di tutte le cappelle del lato destro; altra opera di ammodernamento e restauro materico si riferisce al 1888 da parte del rettore Carmine Cinque, dato dal persistente stato di abbandono già dal 1860, anni in cui la chiesa, alla stessa maniera di San Carlo all’Arena e Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, fu insediata dai laici ed utilizzata come deposito di un fabbro. E fu allora che venne perduto per sempre il ciborio in marmo prezioso e pietre dure, rifatto in copia meno pregiata solo qualche anno più tardi. Nell’atrio della chiesa, impreziosito dai blasoni di casa Capano, sui quali son stati scolpiti Due committenti oranti ed un Agnus Dei, vi è ancora visibile il portale del Trecento tutto in marmo. Al suo interno al chiesa è a navata unica e alla sinistra dell’ingresso si conserva ancora una Madonna col Bambino della scuola dei Bertini. Stessa scuola un San Giacomo posto all’ingresso della sacrestia, di fronte ad un Sant’Antonio Abate del XV secolo. L’altare maggiore della chiesa è opera barocca degna di attenzione composta nel 1701 dal marmoraro Nicola Tammaro, sembra, seguendo le indicazioni di un disegno firmato Arcangelo Guglielmelli.
Spazio note
(1) Napoli Sacra *15 itinerario pagg 898-899/ [testi di] Leonardo Di Mauro … [et al.]. – Napoli : Elio De Rosa, ©1993. – P. 65-128 : ill. ; 33 cm. Codice SBN NAP0159853 Fa parte di Napoli sacra : guida alle chiese della città.Categorie delle Guide
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