Zona San Gennaro dei Poveri Napoli

La zona di San Gennaro a Napoli1 è comunemente detta di San Gennaro dei Poveri dalla presenza dell’omonimo complesso ospedaliero, offerente ai meno abbienti della città il servizio di assistenza sanitaria fin dalle epoche altomedievali.

Dell’azione sanitaria assistenziale del nosocomio se ne sparse la voce per la città principalmente a partire della peste del 1656, ma con forza maggiore negli anni tristi del colera napoletano 18842.

La sua mole domina su tutta quanta l’edilizia minore, mentre invece l’area antistante l’ingresso principale è però impropriamente usata come parcheggio delle automobili e lungo il suo fronte occidentale una stradina conduce ad una cava di tufo dismessa ed usata già dagli anni Settanta del Novecento per la raccolta degli automezzi sequestrati.

Nonostante la casualità delle abitazioni, la promiscuità cromatica degli infissi, la caratterizzazione popolare del comparto, va ricordato che San Gennaro dei Poveri è pur sempre circoscritta dai limiti fisici e territoriali dell’antichissima Valle degli Eumelidi3, nell’estremità settentrionale del Borgo dei Vergini sul principiare della Masseria Ramirez e a conclusione di un lungo percorso storico rappresentativo dei diversi secoli di tradizioni e stratificazioni che lo attraversano.


Non è raggiungibile in altro modo se non dalla comoda rampa carrabile di San Gennaro. 

Collegata questa, a sua volta, direttamente al Corso Amedeo di Savoia, fermo restante, che essa è parte geo morfologica di un lunghissimo percorso territoriale che altrimenti parte da Fuori Porta San Gennaro, prosegue quindi per Via Vergini, Via Arena alla Sanità, Via Sanità, il Cavone di San Vincenzo e la stessa Via San Gennaro dei Poveri.

  • Tra l’altro quest’ultima è già presente nelle vedute del Cinquecento, prima tra tutte, la mappa del Lafrery del 15664 e per un confronto più diretto anche la Veduta del Bertelli del 15705. Dal muro di testata del nosocomio si dipartono una teoria di percorsi secolari disposti a ventaglio e tutti hanno in comune particolari condizioni sociali rilevabili dalla pregna architettura indifferenziata delle case a sviluppo plano-volumetrico del tutto casuale. Lo stile di un’architettura più dignitosa resta rilevabile nelle sole emergenze monumentali antiche e meno antiche del territorio. Dalla loro chiara matrice toponomastica si individuano le condizioni sociali in cui vivono pressocché da sempre i residenti della zona; il Vico dello Scudillo è il più longevo delle carte topografiche, quello maggiormente presente oltre che anche il più antico tra i percorsi ed è anche la strada, o meglio, lo stradone più sofferente in termini di degrado urbanistico in cui è finito.

La zona Scudillo e l'Istituto Sant'Antonio La Palma. 

Lo Scudillo e parte dai Gradini Mauro segue un andamento irregolare fino ad una spaventosa interruzione all’altezza del cavalcavia della Tangenziale.

  • Col nome vero di via dello Scotillo, un tempo questa strada portava dritto alla zona dei Colli Aminei. Diversamente, da Via Giuseppe Buonomo, l’unica dei percorsi interni ad avere un carrabilità assistita, si può raggiungere la Canocchia nome assai popolare per indicare il posto presidiato già dal Settecento da un collegio dei Gesuiti6 pur se Canocchia è già stato individuato in antichi documenti Angioini. Sulla Canocchia, Francesca Castanò, nei suoi studi urbanistici sul colle della Salute, ritrova documenti sulla costruzione di una fabbrica reale di panni, individuata in un ex casino di Villeggiatura dei Convittori del Real Collegio Ferdinandeo sotto la direzione dell’inglese Riccardo Holmes, al quale, per volere del re, fu affidato un corposo numero di figliuole provenienti dalla Real Casa dell’Annunziata a Forcella da impiegare per il lavoro della lana. Il progetto fallì miseramente per difetto di pianificazione; fu infatti vero che l’inglese Holmes avrebbe optato per il suo insediamento le sale del Palazzo Fuga a Carlo III, ma il re fu già in parola col bolognese, Giuseppe Muratori per un lanificio7La Salita di Mauro8, anticipato da un percorso a gradini e con vicoletto ortogonale ad esso, è un’altra strada del comparto di San Gennaro dei Poveri terminante proprio nella salita dello Scudillo all’altezza dello storico Istituto per audiolesi, Filippo Smaldone. Ma a caratterizzarla è in primo luogo il possente complesso assistenziale Sant’Antonio a "La Palma", diviso in due corpi di fabbrica articolati ai due lati della strada con chiesa annessa sul fronte dell’unica strada ed un piccolo locale utilizzato dalle Suore Francescane di Cristo Re in funzione di teatro per bambini a completamento di un piazzaletto antistante all’ingresso principale. Prima dei bombardamenti del 1943, tra i due corpi di fabbrica esisteva un cavalcavia visibile anche sulla cartografia catastale dell’Ottocento9; durante l’opera di ristrutturazione anche dell’ala meno danneggiata dell’impianto vennero apportati interventi di restauro anche alla chiesa. Un altro percorso storico del comparto è la Penninata San Gennaro, interamente su scale; all’indomani della costruzione della Basilica di Santa Maria del Buon Consiglio a piazzetta Landi, la Penninata che collegava il fondo valle dei cimiteri all’apice di Capodimonte, finisce contro un edificio in cemento armato, agonizzando ancor più un sub-comparto già in precarie condizioni ambientali e locative e a soffrirne maggiormente le cappelline di Maria Santissima Rifugio de’ Peccatori, con annesso convento e Maria Vergine Addolorata. Tra la Penninata San Gennaro e l’omonima rampa carrabile vi è il cavone San Gennaro dei Poveri, incassato tra mastodontiche facciate edilizie caratterizzate dall’esposizione fino a 7 livelli fuori terra, che dalla testa del nosocomio muore dinnanzi ad una piccola gradinata di collegamento al Corso Amedeo; a fianco alla piccola gradinata, molto suggestivo vi è un vicoletto che si addentra tra le case e anche questo finisce contro un’altra gradinata anche questa collegante il Corso Amedeo col fondo valle, fatta la sola eccezione che questo vicoletto, è tutto ciò che resta del primo tratto della storica Via Dei Cagnazzi.


Spazio note

(1) Liberamente estratto da: Carmela Fedele, Un antico polo religioso tra borgo e suburbio: san Gennaro dei Poveri, da pagina 217 a pagina 221 di Il *Borgo dei Vergini : Storia e struttura di un ambito urbano / a cura di Alfredo Buccaro; prefazione di Giancarlo Alisio. - Napoli : CUEN, [1991]. - 388 p. : ill. ; 24x22 cm. Codice SBN NAP0007472 ISBN 8872951011 Collana Architettura e città; 3 BNN sez. nap. VII B 1592
(2) Municipio di Napoli, Progetto per l’ampliamento della città e risanamento delle zone insalubri, Napoli 1884, pagina 78.
(3) C. De Seta, Storia della città di Napoli dalle origini al Settecento, Roma 1973, alle pagine 29 e 30
(4) C. De Seta, Le città nella storia d’Italia. Napoli. Bari, 1981 pagina 124
(5) La città di Napoli tra vedutismo e cartografia. Piante e vedute dal XV secolo al XIX secolo, a cura di G. Pane e V. Valerio, Napoli, 1988, pagine 61
(6) Canocchia, per individuare col termine Conicle, cioè cunicoli, le disseminate cave per l’estrazione del tufo. G. Doria, Strade di Napoli. Saggio di toponomastica storica, Milano-Napoli 1979 seconda edizione pagina 239
(7) ASN, Ministero delle Finanze, fascicolo 1626. Francesca Castanò Napoli fuori le Mura nota 12
(8) Detta di Mauro probabilmente riferibile al cognome più comune dei residenti fino a tutto il Seicento, anche se, secondo il Nardi, potrebbe riferirsi al feudo della famiglia di San Mauro, dalla quale, prende origine la diretta discendenza del Frate Minore, San Ludovico da Casoria, padre e fondatore dei Frati Bigi, sacerdote che spese salute ed energia al servizio dei più poveri, in particolar modo per gli Africani, da cui devira il simpatico nome affidato agli Istituti da lui o nel suo nome fondati, detti, quindi Collegi dei Moretti. G. Nardi, I collegi dei Moretti a Napoli, del Venerabile P. Ludovico da Casoria, Roma, 1967
(9) Piante e disegni sulla carta dello Schiavoni 1872-1880 presso l’Archivio di Stato a piazzetta Grande Archivio Santi Severino e Sossio.