Gloria del Paradiso alla Cappella Sansevero

L’affresco, una delle prime opere compiute per la Pietatella, fu commissionato dal VII principe di Sansevero di Foggia, Raimondo di Sangro, a Francesco Maria Russo nel 1749, e riconosciuto dalla letteratura delle arti meno celebri col titolo di ”Paradiso dei Di Sangro”, anche se, sulla vita e la formazione dell’autore della Gloria del Paradiso, le notizie sono esigue ed incerte.
Si sa, piuttosto, solo che il Russo sarebbe appartenuto alla folta schiera degli artisti del XVI secolo, accolti dal favore del gusto partenopeo di estrinsecare sentimenti artistici proclivi allo schietto sentimentalismo ed incline perciò ad uno stile d’arte meno freddo e meno stilizzato.
Francesco Russo e l'esecuzione dell'opera.
E’ sicuro che la Gloria del Paradiso non sia l’unico lavoro che Francesco Russo abbia realizzato per Raimondo di Sangro.
- Il primo contatto tra i due risale al 1744, anno nel quale il Russo realizzò l’affresco dell’antisagrestia del Cappellone del Tesoro terza cappelle della navata di destra del Duomo di Napoli. A testimonianza di quanto fin'ora scritto sul lavoro effettuato un pagamento del 1744 girato a favore del Russo presso il Banco della Pietà. Tra le tante opere presenti in cappella sia quelle dedicate all’ufficio del culto, sia quelle di laica ispirazione e che conservano ancora la freschezza aurorale dell’artista ad un suo primo impegno, la Gloria va annoverata tra queste, ed alla quale, va riconosciuta la presenza irrimediabile di certi elementi decorativi anche semantici, estranei al suo secolo, e per questa riconoscibile una certa vocazione al barocco dello stesso affresco, che tuttavia, ne perde la sostanza fino in fondo, forse proprio per la sua consistenza cromatica. L’affresco è citato nel testamento del principe Raimondo di Sangro, dettato in favore dell’erede primogenito, Vincenzo di Sangro, al quale, raccomandava d’istruire il miglior pittore del regno di quell’epoca, affinchè, quest’ultimo, rivedendone lo sviluppo cromatico, “…lo presentasse di uguale e mirabile magnificente bellezza” rispetto alle altre opere presenti nella Cappella, con la raccomandazione di lasciarne intatto lo spirito originario, e tutto questo, però, senza risultato di sorta. Tra gli elementi visivi di maggiore interesse vi sono colori vivi e luminosi che tutt’oggi resistono all’usura del tempo, presentandosi omogenei nella gradazione dei toni e nel contrasto della luminosità, pieni di antico splendore, motivo unico ed essenziale che ha mantenuto in vita la leggenda secondo la quale, i colori serviti per l’affresco siano stati il risultato di una formula sperimentata dal committente stesso, il principe di Sansevero.
Tra le strette maglie del disegno e nel ricamo di colori un significato simbolico.
La figura centrale dell’affresco, che richiama allo stile di Francesco Solimena, è la Colomba dello Spirito Santo.
- Contornata da finestre che fanno luce sulla Gloria del Paradiso. Tra una finestra e l’altra sei medaglioni raffigurano i santi protettori della famiglia Di Sangro. Completa l’opera la finta cupoletta che sovrasta l’altare maggiore, in principio attribuita erroneamente al Celebrano, per la quale il Russo sembra essersi ispirato al pittore romano Andrea Pozzo ed al supo tipico gioco di fingere cupolette sul soffitto. Questo ed altri richiami al lavoro del Pozzo hanno fatto tendere alcuni esperti verso l’inquadramento della formazione del Russo in ambiente romano, considerazioni supportate anche dalle dichiarazioni rilasciate dalla studiosa Marina Picone, la quale, osservando l’affresco della Cappella Sansevero, tese senza indugio a " ... riconoscere nel limpido impianto prospettico non un’origine napoletana, dove l’esemplare tipico era pur sempre quello cortonesco, pur sempre nella trionfante divulgazione giordanesca, quanto piuttosto, la fantasia quadraturista del Russo sembra affondare le radici a Roma, riportandosi alle geometriche spartizioni di Andrea Pozzo […]”. Altri, invece, preferiscono considerare Francesco Russo legato alla tradizione della scenografia napoletana dell’età barocca, la quale raggiunse il suo massimo splendore tra il 1730 e il 1760. Nonostante, come detto, il lavoro non sia stato completamente apprezzato dal Di Sangro, il quale desiderava che tutte le opere della Cappella, comprese alcune statue come ad esempio quella dell’Amor coniugale o del Dominio di se stesso, aumentassero il loro valore artistico rispetto a magnificenze come il Cristo Velato, epicentro scultoreo della Pietatella, è innegabile che l’affresco del Russo, pittore scenografo considerato un artista di modesto valore, offra alla vista di chi lo ammira uno spettacolo di luce e colori che non lascia affatto indifferenti. E’ incredibile come la potenza e la luminosità dei colori sia rimasta intatta dopo oltre duecentocinquant’anni e nessuna opera di riaffresco. Oltre la prima vista, è possibile scorgere tra le strette maglie del disegno e nel ricamo di colori, un significato simbolico concorso a rendere l’esposizione di grande interesse: il triangolo centrale che padroneggia la selva delle figure, assieme alla Colomba dello Spirito, richiama alla Trinità, concetto simbolo per eccellenza della dottrina cristiana, al delta nel sistema dei pitagorici, che rappresenta la nascita cosmica, ed infine al Maestro Venerabile della cultura e della mentalità che ha da sempre governato le obbedienze massoniche.
Spazio note
(1) Rosanna Cioffi, La Cappella Sansevero. Arte barocca e ideologia massonica, Salerno 1987 don 1190818 BNN sez nap VI B 310Categorie delle Guide
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