Palazzo Corigliano Napoli

Copre la visuale d’angolo con piazzetta Nilo a Spaccanapoli, perfettamente inquadrato nel distretto del Seggio di Nido, entro il quale, già preesistevano altri immobili, un tempo appartenuti alle monache di Santa Patrizia a San Gregorio Armeno3.
Fu riutilizzato nel 1694 dal duca di Limatola, figlio adottivo di Alvaro della Quadra, e finito poi inglobato nell’unico possesso che nel Settecento, per decreto emesso direttamente dalla Camera della Sommaria4, vide il palazzo diventare proprietà esclusiva dei Saluzzo, duchi di Corigliano, principi di San Mauro e di Pietrelcina, unici vincitori dell’incanto, e soltanto durante le vicende del primo Novecento, tra le diverse alienazioni di fabbrica, tornerà a separarsene nuovamente creando le attuali collocazioni dei palazzi dei principi di Vietri e Fondi, eredi di Violante Macedonio ed il palazzo Sansevero.
Appartenne fino8 al 6 luglio del 1977 all’I.N.P.S., e da questa attraverso diverse dibattute vicende processuali, fu ceduta alla Facoltà degli Studi, l’Orientale5(6)7.
Le alienazioni di fabbrica durante tutto il Novecento e la destinazione d'uso universitaria.
Rappresenta sul posto l’unico esempio architettonico del tipo rinascimentale modificato sotto l’influenza di orientamenti culturali diversi.
- E dal vico Fico a Purgatorio, fa penisola attorno alla Chiesa di Santa Maria Pietatella8, Sant’Angelo al Nilo e la cappella Pignatelli, pur tuttavia, mantenendo sul fronte della chiesa di San Domenico Maggiore, la forma originaria impostata da Giovan Francesco Mormando9(10), al quale se ne deve lo stile per tutto il complesso fondiario. La veste architettonica fu aspramente criticata dal Capaccio, che lo descriverà chiamandolo il palazzo del vicerè per giudizio negativo come farà alla stessa maniera per il palazzo degli Orsini a via Monteoliveto, e la chiesa del Gesù Nuovo nell’omonima piazza che alla sua epoca, ancora era conosciuta come il palazzo di Roberto dei Sanseverino di Salerno. Per salvaguardarne la fabbrica nella forma monumentale pervenuta all’era moderna, e per un suo più consolidamento sul territorio profondamente mutato, l’immobile fu posseduto dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale come frutto della nuova politica locale degli anni del Commissariato fascista napoletano di Michele Castelli e Pietro Baratono, nel 1925 il primo e 1926 il secondo. Seriamente danneggiato durante i bombardamenti del 4 agosto 1943, si provvide ad un primo restauro negli anni Cinquanta durati fino al 1965, protratti ancora oltre e fino anche agli inizi degli anni Settanta, e dall’8 luglio del 1977, è sede centrale dell’Università degli Studi di Napoli, L’Orientale. La ristrutturazione per gli usi universitari interessò una tale pluralità di interventi schematici tali da riguardare l’intero impianto dalla parte basamentale fino alla zona di copertura. L’adeguamento funzionale del palazzo universitario ha interessato anche i piani intermedi di servizio e gli spazi architettonici di rilievo; nell’interessamento del progetto di recupero finalizzato alla destinazione di sede universitaria della fine degli anni Settanta del Novecento, gli stessi piani intermedi furono intesi ad appannaggio di piani interstiziali di supporto tecnologico, compresi locali destinati all’attività di studio e d’ufficio. Altrimenti, furono lasciati praticamente quasi intatti i locali adibiti ancor’oggi a biblioteca, le sale per i seminari e gli spazi di rappresentanza.
I materiali duri di palazzo Corigliano e la sistemazione universitaria degli spazi originari.
L’edificio fu costruito con tecniche e manodopera locale, con muratura che dagli spiccati della fondazione fino alle coperture è ancora in tufo giallo napoletano.
- Vi è stato un utilizzo raro ed eccezionale del laterizio, più costoso, meno lavorabile e varie epoche testimoniano alcune porzioni di muratura aliena al manufatto, mentre le membrature sono in grigio piperno di Pianura, variamente modanati son quelli che formano, sempre in pietra di Pianura, i telai delle stanze che affacciano su piazza San Domenico e quelle che affacciano sul cortile interno, ed infine, la malta di calce e la pozzolana, permettono gli ardimenti statici delle volte reali di differenti forme e sesto, presenti al piano ammezzato ed al livello del cortile, e nelle rampe delle scale. Le volte dei saloni più grandi sui piani di rappresentanza sono formati da incannucciate trattate con intonaco ed infine ricoperte da stucchi e decorazioni varie. Moderni travi d’acciaio affiancano l’azione portante di altre travi originarie del palazzo medesimo, ancora in legno di pioppo per quelle che reggono le volte, ed in abete per le altre. I gradini della scala interna sono di pietra di Lavagna, cittadina ligure nativa dei Saluzzo, duchi di Corigliano. In legno sono anche i tramezzi di vario tipo, alcuni dei quali, anche se nascosti dall’intonaco testimoniano la tradizione beneventana di armarli con telai a forma di croce di Sant’Andrea, ed invece, come da tradizione tardo secentesca, di castagno sono gli infissi alle finestre tutte di notevoli dimensioni. Unico elemento in struttura laterizio è una scala a chiocciola probabilmente utilizzata nel Cinquecento dalla servitù di palazzo, quand’era ancor a proprietà dei Di Sangro, e quando una scala centrale venne fatto comando di abbatterla. Ad arricchire ulteriormente il progetto di recupero del palazzo all’indomani dell’insediamento universitario è stata anche l’articolazione di diverse funzioni aggiunte al corpo di fabbrica, prime fra tutte, l’aula ricavata al di sotto del cortile, che è visibile dal piano interrato attraverso squarci operati durante i lavori di scavo e lasciati attivi nel disegno che si è creato anche al ritrovamento nelle sottofondazioni del palazzo delle antiche mura greche. Impianti tecnologici permeano tutta quanta la struttura assicurandone massima efficienza a partire da una coppia di ascensori a ridosso della scala di servizio introdotta negli anni Novanta del Novecento, ed un altro ascensore per il servizio di portata ai piani alti per i diversamente abili fu montato dieci anni più tardi vicino alla scala centrale ristrutturata anche per la discesa nel sottosuolo del palazzo. All’indomani dell’acquisto dell’immobile da parte della facoltà degli Studi, l’atrio cortile sarà completamente demolito in luogo di uno spazio più funzionale disposto di modo che fosse facilitato l’ingresso agli ambienti destinati all’ufficio stampa ed all’ufficio editoriale dal alto di piazzetta Nilo. A sinistra dell’atrio verrà sistemata una prima aula e a destra l’ex guardiola con posto per le apparecchiature telefoniche. Tra le rampe che conducono agli ambienti interrati ed il gruppo ascensori, saranno ottimizzati e modernizzati quelli che un tempo furono le rimesse per le carrozze. Al di sotto dell’atrio cortile, un’aula è sistemata per 280 posti a sedere ed a vista sono stati lasciati reperti delle mura greche. Al piano ammezzato, fino agli anni Ottanta vi fu la casa del custode, e sul fronte di piazza San Domenico ancora oggi come allora affacciano le aule per il seminario di Studi Africani.
I piani nobili di palazzo Corigliano ed il terzo piano ammezzato.
Al primo piano nobile, con decorazioni plastiche di notevole interesse artistico, ne fu proposta l’insediamento delle strutture per il seminario sugli Studi Asiatici e la biblioteca.
- Mentre furono lasciati ad uso comune gli spazi prospicienti il cortile interno. Al secondo piano ammezzato, l’ultimo servito dalla coppia di ascensori, un’area di 570m2 , servirà, per i due terzi complessivi ad uso di uffici amministrativi ed altri 200m2 utilizzati per ospitare ancora una volta ambienti per gli studi asiatici. Al secondo piano nobile, 700m2 contestualizzati anche questi da decorazioni a parete e a soffitto, saranno sistemati per la sede del rettorato, la Direzione amministrativa ed altri spazi di rappresentanza in generale. Lo studio per il seminario sull’Europa Orientale, troverà da quell’epoca, spazio vitale nei 570m2 del terzo piano ammezzato ed i locali del sottotetto e nelle pendenze originarie delle coperture, di dimensioni tra loro quasi uguali, anche strettamente interrelati sia sotto il profilo funzionale che spaziale.
Breve storia di Palazzo Corigliano.
Fu fatto fabbricare senza scopo di lucro già nel Cinquecento, usato semplicemente come strumento di propaganda ideologica e politica.
- Salvo poi però porlo al centro di complicatissime operazioni di vendita e contro vendita11, registrandolo infine, come capitale immobiliare per gli scambi matrimoniali tra gruppi di cugini di nobile schiatta, tutti imparentati tra loro, e tutti stretti nella mutua alleanza di affermare socialmente la stirpe in ambiente regio Nilensis12 dei Di Sangro13(14), ai quali, si devono la committenza del palazzo nella sua prima forma architettonica, anche se almeno fino alla metà del XVII secolo, i duchi di Vietri e poi i cugini di Casacalenda, i primi proprietari, mantennero vivo ed attivo il diritto di ricompera, senza il cui godimento, il possesso dell’immobile medesimo non avrebbe avuto pienezza giuridica. Il primo apprezzo fu effettuato nel 1732, ed è quello maggiormente attendibile circa la minuziosa descrizione che si fa della struttura portante del palazzo, della quale, gran parte, conferma ciò che fu descritto dalle fonti antiche, e cioè una descrizione di Benedetto di Falco del Cinquecento ed un dipinto in mostra alla Galleria degli Uffizi di Firenze, poi fatto spostare all’ISMEO di Roma, sul quale è dipinta piazza San Domenico Maggiore senza Guglia ed il palazzo sullo sfondo che mostra le finestre protette da plutei al posto della ringhiera, un ornamento di fiori e d’agrumi e pannelli impreziositi da scudi scaccati, particolare, quest’ultimo, che indusse all’errore di attribuire la proprietà del palazzo al vicerè napoletano duca di Medina, Las Torres. È storicamente comprovato che il palazzo iniziò a subire grossi danni strutturali già durante il sisma del 168815 e profonde mutazioni agli inizi del Settecento così come dimostrato dal confronto della facciata di palazzo Corigliano ritratta nel dipinto degli Uffizi di Firenze, con le minute descrizioni apportate dal Parrino e da Paolo Petrini, grazie alle quali, oggi è possibile rendere più certo e più sicuro l’andamento delle trasformazioni coatte alle vicende di famiglia, nel possesso dell’una e dell’altra e nel ‘700, ad esempio, risulta eliminato il balcone d’angolo tra piazza San Domenico Maggiore e piazzetta Nilo, che rendeva grande scenografia immobiliare assieme alla bellissima merlatura secentesca fatta sostituire da semplici decorazioni guelfe. Al basamento tre piccole finestre per ala corrono la facciata prospiciente piazza San Domenico, e su di esse sempre per ognuna delle due ali, altre tre finestre quadrate, sormontate da tre finestre ad arco per il primo ordine; seguono al secondo ordine altre tre finestre protette da ringhiere di ferro in luogo degli scomparsi plutei rimossi nel 1718 ed infine il terzo orine al secondo piano del palazzo fatto costruire da che l’immobile entrò in possesso ai Saluzzo.
Spazio note
(1) Centro antico / Italo Ferraro. - Napoli : Clean, 2002. - LXX, 599 p.: ill.; 31 cm. Codice SBN UFI0406320 ISBN 8884970822 Fa parte di Napoli : atlante della città storica , 1 pagina 187(2) Irene Bragantini Ricerche archeologiche a Napoli. Lo scavo di palazzo Corigliano, Napoli 1990 diritto di stampa 1785247 BNN distribuzione Misc. Busta B 1893/9
(3) Nota dell’Ill. mo duca di Corigliano contro il venerabile monastero di Santa Patrizia 6 ottobre 1674, in ASN, Monasteri Soppressi 2049, fascicolo 10.
(4) Fu la Camera della Sommaria ad iniziare la vendita dell’immobile all’asta ASNP., Archivio Saluzzo di Corigliano, Nuova numerazione Carte, Busta 70, 8
(5) E' la medesima facoltà che possiede in comodato d’uso i manufatti della chiesa della Sacra Famiglia sulle alture dei Cagnazzi, nella zona detta dei Cinesi, il palazzo Giusso, il palazzo Du Mesnil ed una sede distaccata presso l’antico monastero di San Giovanni Maggiore Pignatelli sotto il pallonetto nell’omonima forma urbana di Santa Chiara.
(6) In effetti la trattativa per acquistare l’immobile dalle proprietà fondiarie dell’INPS, porta il 3 novembre 1965 come data iniziale storica di compravendita del manufatto; in quella data infatti, il direttore pro tempore professor Alessio Bombaci, avvia l’estenuante trattativa per soddisfazione di quelle particolari esigenze di spazio vitale da recuperare allo studio degli iscritti all’Ateneo, senza riuscire nell’impresa, al punto che sei anni più tardi, ci riproverà nuovamente il professor Gherardo Gnoli, tenendo conto, a quell’epoca, del programma edilizio interno all’Amministrazione dell’Orientale di aprire una nuova sede anche a Fuorigrotta, tra l’altro, piano edilizio universitario questo, che sarà poi modificato. Nel 1971, iniziarono le redazioni più tecniche e specifiche da diversi enti chiamati ad intervenire: l’Ufficio tecnico erariale del Comune di Napoli che ne stimerà il valore attorno ai 500 milioni di lire, contro una dettagliata relazione del Genio Civile, redatta per conto della Direzione Generale dell’Istruzione Universitaria agente a sua volta per conto del Ministero della Pubblica Istruzione. Ed infine , la stessa INPS, sui risultati tecnici ottenuti dai sondaggi sull’immobile in parola, stila un documento riservato col quale intende prezzare l’immobile. Questo procedimento di parte, porta la trattativa per la compravendita in una situazione di stallo, causata dalla stima di 820 milioni di lire chiesti dall’Istituto di Previdenza Sociale nel marzo del 1973; l’ufficio tecnico dell’Erario, rivedrà le stime inizialmente offerte, riformulando la proposta d’acquisto a 650 milioni di lire, lievemente rettificata a 680 ottanta milioni di lire da parte dell’istituto L’Orientale. Ma la trattativa fallì miseramente per l’indizione da parte dell’INPS di un’asta pubblica dell’immobile con base d’asta pari ad un miliardo di lire.
(7) La trattativa per l’acquisto del palazzo da parte della Facoltà degli Studi, L’Orientale di Napoli terminò con la somma pattuita di 900 milioni di lire. Il perfezionamento dell’operazione giunse all’indomani della sigla sul documento emesso dalla prefettura napoletana ai sensi del combinato disposto dall’articolo 11 D.L., 1 ottobre del 1973 n° 580, convertito poi in Legge 30 novembre 1973 n° 766 e dall’articolo 38 della legge 28 luglio 1967 n° 641. A questo punto il 20 dicembre del 1976, il decreto prefettizio 113544 autorizzava l’acquisto dell’immobile, il 13 gennaio del 1977 veniva comunicato al Ministero della Pubblica Istruzione l’autorizzazione al ricorso da parte dell’Orientale della trattativa privata con l’INPS per il possesso di palazzo Corigliano. Il 26 marzo di quello stesso anno avverrà la comunicazione da parte del Ministero della Pubblica Istruzione che autorizzava l’alienazione dell’immobile, ed il 6 aprile successivo la pubblicazione del richiamato decreto prefettizio sulla Gazzetta Ufficiale n° 93 di quello stesso giorno e di quello stesso anno. Ed infine, l’8 luglio del 1977, a rogito per notaro dottor Luigi Maddalena, presso la vecchia sede del rettorato di Palazzo Doria D’Angri a via Toledo, presente in sala il direttore amministrativo dell’Orientale, il dottor Giuseppe Esposito, ed ancora presenti i dottori Marcello Guida, Ispettore regionale dell’INPS, Francesco Ciampa, direttore della sede provinciale dell’INPS, ed infine il professor Luciano Zagari rettore pro tempore dell’Orientale. L’acquisto dell’immobile da parte di quest’ultima, quindi, si potè considerare concluso, ma per difficoltà tecniche, si legge sul documento di scarsa incidenza, la consegna materiale dell’immobile al rettorato avvenne solo due anni più tardi, esattamente il 9 gennaio del 1978.
(8) Per le note vicende storiche del palazzo Corigliano di Napoli, Francesco D’Andrea tornerà nuovamente a descriverne i cambiamenti all’indomani dell’intervenuto possesso fondiario da parte del duca di Limatola. In Francesco D’Andrea Gli avvertimenti ai nipoti , a cura di N. Cortese, Napoli 1923 alle pagine 164 e seguenti.
(9) Notizie del bello e dell’antico e del curioso della città di Napoli, raccolte dal canonico Carlo Celano divise in dieci giornate per comodo dei viaggiatori con aggiunzioni per cura del cav. G. B. Chiarini, Napoli, 1858 (III giornata), vol. II alla pagina 84.
(10) R. Pane, L’architettura del rinascimento a Napoli Napoli, 1937 pagg 134-137
(11) Fonti di informazione sui vari passaggi relativi alla compravendita del palazzo sin dal 1580, sono due scaglioni di documenti. Il primo arriva anche fino al 1682 e sta all’ASN, voce Protocollo del not. Angelo Matteo Sparani, (1659-1665), 1016/17, ff., 120r-125v 12 dic. 1662 e ff. 125-128r. Il secondo faldone sta all’ASNP, voce Archivio Carafa di Castel San Lorenzo, Carte numero, 13 fascicolo 3, ff7-24.
(12) Con una propria chiave di lettura del suo valore di segno di quella cultura appartenuta a quelle medesime famiglie registrate al catasto come proprietarie dell’immobile, dal patriziato urbano alla feudalità, dal ceto forense agli uomini d’affari.
(13) Il palazzo in questione verrà acquistato da Violante Macedonio, col proposito solo di mantenere viva ed attiva la linea delle proprietà immobiliari legate a quelle famiglie con le quali gli stessi Di Sangro avevano già effettuato scambi matrimoniali, primo, tra i tanti passaggi storici, fu proprio il passaggio del ducato di Vietri alla linea cugina dei duchi di Casacalende e da loro poi ai Caracciolo dei principi di Forino. Tra l’altro, verso la metà del Settecento, la casata dei Di Sangro è a rischio estinzione biologica; i figli di Fabrizio, dei quattro maschi sopravvisse solo Giovanni ed anche questi morì giovanissimo, lasciando a sua volta altri cinque figli, dei quali, sopravvisse solo una figlia femmina che, poi, finì per farsi suora. Quindi la linea dei discendenti dei Di Sangro, morì nell’unica figlia femmina nata da Francesco Maria della linea maschile di quel Giovanni figlio di Fabrizio Di Sangro, unico superstite del ramo di Vietri. La donna rispondeva al nome di Laura, che sposò in prime nozze, suo cugino, il duca di Casacalende, per salvare il salvabile dell’immenso patrimonio immobiliare, di cui anche lo stesso palazzo Corigliano, salvo poi, separarsene e contrarre altro matrimonio con uno dei Caracciolo del ramo dei principi di Forino. ASN, Relevi 277, fascicolo 9. Nel 1704, Domenico Caraccioo figlio di secondo letto di Laura de Sangro, avanza richiesta di rilievo per la morte nel 1703 del fratello uterino Carlo, figlio di primo letto della stessa Laura che nel 1652 ebbe contratto matrimonio col cugino
(14) I due stemmi collocati nelle decorazioni della trabeazione del primo ordine, fissano in maniera orientativa una datazione del palazzo o almeno del basamento; il primo, mostra lo scudo fasciato e inquadrato nel I e nel V dall’emblema di casa Di Sangro, e nel II e III quello della nobiltà dei Dentice, segno questo univoco del possesso di entrambe con strategia matrimonio. L’altro stemma, mostra lo scudo scaccato inquadrato col blasone dei Di Sangro nel I, dei Denitice nel II, dei Caracciolo nel III ed infine degli Spinelli nel IV, altro evidente segno di collocazione genealogica entro la quale, andava a piazzarsi il lignaggio. Borrelli, indicando un dipinto degli Uffizi di Firenze, poi trasportato all’ISMEO di Roma, sul quale, è stata ritratta piazza San Domenico Maggiore, coi battenti di palazzo Corigliano impreziositi da altri fregi, attribuisce la proprietà del palazzo ad Anna Carafa, principessa di Stigliano ed al marito, il vicerè di Napoli Ramiro Guzman di Medina Las Torres,ed è probabile sia stato lo stesso Borrelli ad ispirarsi al genealogista della famiglia Carafa, l’Aldimari che darà alle stampe un documento importante sulla storia del casato, in L’Historia genealogica della Famiglia Carafa, Napoli 1961, t. II. pag. 382
(15) Rispetto al palazzo dei Carafa di Montorio, questo è il palazzo che fino alla data del terremoto del 1688 aveva il cornicione più lungo e poderoso della città, e dal Celano è dichiarato che proprio gli architetti deputati al restauro del cornicione finirono per rovinarlo, allorchè, dagli stessi Carafa fu ordinato di buttarlo giù definitivamente. I Carafa nella persona di Francesco figlio di Tommaso, divennero principi di Pietralcina per regia concessione di Carlo IV, nel 1725, avendolo acquistato il feudo di Pietrelcina dal duca di San Teodoro Ferdinando Venato, succeduto poi per transazione ad una sua parente di quarto grado, la principessa di Pietrelcina, donna Antonia D’Aquino morta nel 1717.
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