Colle di Fonseca

Tuttavia, perentoriamente alla cittadinanza è ignota l’effettiva estensione territoriale dei suoi confini, ed è altrimenti conosciuto solo e soltanto come territorio a tutta destra della chiesa di Santa Giovanna Antida Thouret, con facciata aperta proprio su Via Fonseca.
Si chiama Colle del Fonseca in quanto, molta buona parte di esso già densamente edificata finì in proprietà a Giovanni Ruiz Fonseca, riscattato all’enfiteuta, Fabio Cicinelli nel 1539, in parola col monastero dei Santi Marcellino e Festo.
Da quel momento in poi, il colle assunse l’attuale toponomastica in forza di un’intensa ed accresciuta attività edilizia sorta tutto intorno alle chiese di Santa Teres e dei Padri Serviti di Materdei. Per questi e non altri motivi, dunque, per colle di Fonseca, deve intendersi quell’altura densamente urbanizzata sulla quale, fino al XVII secolo, da sole emergevano le costruzioni del palazzo Di Majo, la chiesa di Santa Teresa agli Studi, il palazzo Cimitile, parte del complesso urbano di Materdei, compreso la chiesa dei padri Agostiniani Scalzi, fino al poderoso monastero dei Santi Bernardo e Margherita. Il colle, oggi come allora è ovvio, termina con un impraticabile salto di quota all’altezza dell’emiciclo che anticipa l’imbocco al Ponte della Sanità.
Gli antichi confini del colle e le vedute antiche di Napoli.
Il colle di Fonseca, in maniera decrescente, continua ad occupare spazio in altezza e larghezza tra le falde e gli speroni nascosti dalle costruzioni moderne lungo il Vico Lammatari, parte di Via Arena alla Sanità e per intero ritorna nella direzione dell’antico largo delle Pigne, oggi piazza Cavour attraverso la formazione tufacea sul quale sorgerà il quartiere Stella.
- Il colle è già menzionato sulla mappa del Duca di Noja, 1775, l’unica tra l’altro a rappresentarlo effettivamente così come era, separata dal colle della Castigliola dei Carafa, oggi San Potito, da una fascia di terra scoscesa a praticata ad uso agreste, oggi, salita Santa Teresa degli Scalzi. Sull’anzidetta mappa, il Colle di Fonseca appare disegnato in forma aberrata, nel senso si volumetricamente ridotto rispetto alla sua reale consistenza. Anche se sulla mappa il colle appare dimensionalmente errato, è interessante osservare comunque la sua reale estensione all’epoca già nel Seicento, ove lo si osserva attraverso lo scrupoloso lavoro di Alessandro Baratta notevolmente edificato anche alle falde settentrionali, con il convento cappuccino di Santa Maria della Concezione, meglio noto come il convento di Sant’Efram Nuovo. E questo indica di fatto il reale confine orografico del colle di Fonseca, non solo con il colle dei Carafa, ma anche con l’amenissimo colle della Salute. Ad ogni modo per il colle di Fonseca si ricorda che esso è individuato con estrema chiarezza e dunque, anche come valore di fonte cartografica, anche sulle carte del Lafrery del 1566 e nella veduta dello Stinemolen del 1582, con uno degli elementi più suggestivi: il ricordo della continuità dell’area in esame con il casino degli Ajerbo d’Aragona oggi del tutto scomparso. Fonseca è emblematica delle prammatiche vicereali sulle costruzioni e le fondazioni immobiliari del XVI e XVII secolo, almeno in riferimento alla rapida crescita incontrollata di fortificazioni innalzate su questo territorio abusivamente, arrestate da un provvedimento restrittivo emesso dal vicerè in persona ed affidato agli ingegneri, Pietro Castiglione e Costantino Avellone, affinchè se ne facesse un apprezzo.
Storia breve del colle di Fonseca.
Non si conoscono altre fonti cartografiche sicure o meno sicure successive a queste date, salvo le mappe pre-catastali sia del colle medesimo che del colle della Costigliola.
- Infine, va ricordato che la Costigliola dei Carafa, cioè la zona oggi di San Potito ed il colle di Fonseca, detto anticamente del colle del Castrum, sono stati ritratti nelle incisioni del Lafrery, sulla pianta della città di Napoli di Paolo Petrini del 1748, sulla veduta dello Stopendael, sulla mappa del Duca di Noja del 1775, sull’incisione a schizzo del Salathé, in custodia all’archivio alla Società Napoletana di Storia Patria presso il Maschio Angioino a piazza Municipio, col titolo di Vue de Naples du cotè de Capo de Monte e sulla Veduta degli Studi Pubblici inserita nella guida della città di Napoli di Antonio Parrino del 1725. Ma più di tutto e senza più dubbi letterali o qualsivoglia angusta giuridica, a rendere testimonianza dello stato dei fatti storici accaduti nell’ordine delle proprietà costruite o da costruirsi sul colle di Fonseca, anche e specie per il laudemio da rendersi in riscatto dell’eredità passata da padre in figlio, tutto verrà ordinato e redatto sulla pianta del Tavolario, Francesco Venosa del 1660, seguito poi da Donato Gallarano nel 1728, che si appresterà a riprenderne il lavoro alla luce di una vertenza lunga e duratura intercorsa tra il Monastero dei Santi Marcellino e Festo, la Mensa Arcivescovile ed il complesso monastico di San Gregorio Armeno a Spaccanapoli.
Spazio note
(1) L’integrazione dei borghi alla città: il ruolo di San Potito, Materdei, la Salute, pagina 32-55 di Alfonso Gambardella-Giosi Amirante, Napoli fuori le mura: la Costigliola e Fonseca da platee a borgo, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1994, diritto di stampa 1757198 alla BNN distribuzione 2008 c 192Categorie delle Guide
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