Palazzo Calabritto Napoli
È il palazzo di Vincenzo Tuttavilla, duca di Calabritto a Napoli1, nel tratto disteso a mare del quartiere di Chiaia e più semplicemente detto il Palazzo Calabritto.Sulla perizia fatta dal De Blasio sono visibili gli appezzamenti coltivati a giardino, “…conservati tutt’oggi senza modifiche di sorta” ed il prospetto orientato sul fronte del golfo lato chiesa di Santa Maria della Vittoria, alcuni lotti aggregati sulle alture di Pizzofalcone e l’allineamento col palazzo Satriano.
Oggi, l’immobile, segna i confini fisici tra il quartiere di Chiaia, gli ultimi avamposti del moderno rione della Vittoria e la Villa Comunale.
Si tratta un notevole esempio di architettura nobiliare del XVIII secolo, con una definizione formale di fabbrica attribuita all’opera di Luigi Vanvitelli2 del quale, sulla base di una lettera ritrovata alla biblioteca palatina di Caserta, scritta dal medesimo architetto al fratello Urbano, impegnato in altri lavori per le ville vesuviane del Miglio d’Oro3, si evince che sarebbe intervenuto a cantiere già avviato, e perciò lo avrebbe soltanto completato.
Ma più certamente, con l’apertura del portone principale su via Calabritto, si è saputo che le due facciate su piazza dei Martiri furono allestite per conferire degna quinta architettonica alla visuale complessiva dello spazio tutt’ora ancora visibilmente irregolare, tra l’altro delimitato sul lato opposto dalla facciata di palazzo Partanna e l’imbocco terminale di Via Chiaia ed il fronte conclusivo della chiesa di Santa Maria a Cappella Nuova, buttata giù dal Risanamento del 1925 e la contestuale apertura di via Pace.
L'ultimo duca di Calabritto e la Real Cavallerizza.
Nonostante sia stato anch’esso interessato dalle travagliate vicende storiche del Novecento, principalmente dagli sventramenti lineari del prefetto Pietro Baratono, dal massiccio bombardamento del 4 agosto 1943 ed i due episodi di sisma relativi al 23 novembre del 1980 ed il 2 febbraio del 1982, l’immobile resta l’unico dei palazzi di Napoli a non aver subito mutazioni morfologiche dal 1852.
- Fu ereditato dal figlio primogenito del duca, Orazio, alla sola età di otto anni, salvo poi succedere tutto in preambolo per la morte prematura di Orazio in favore del secondogenito Francesco Tuttavilla4 ultimo dei duchi di Calabritto ad averlo posseduto interamente e prima dell’intervento diretto di re Carlo di Borbone accaduto nel 1754, il quale, letteralmente lo strapperà al fedecommesso ereditario e per soli 34.000 ducati lo acquisterà per insediarci, senza mai riuscirci, la Real Cavallerizza di Corte l’11 settembre del 17375. L’acquisto fu espletato col proposito lineare di collegarlo alla Cavallerrizza della Caserma della Vittoria, ma alla fine il palazzo verrà restituito senza condizione di sorta nuovamente al duca pupillare, che infine, nel 1765, anno della sua morte, lo assegnerà per testamento alla potestà della moglie, la contessa Petronilla di Ligneville. Per ingenti somme debitorie, nel 1827 il palazzo fu oggetto di un esproprio che lo smembrò in sette parti diverse, di cui, la quinta, l’interno piano nobile con affaccio su piazza dei Martiri, fu riacquistata dalla casata dei duchi di Calabritto da parte della duchessa Maria Imara Caracciolo.
Le fondazioni del palazzo Tuttavilla e le maestranze locali.
Fu fatto edificare sulla Terra Santa dei Benedettini di Santa Maria a Cappella Vecchia6 nell’omonimo spazio di loro proprietà.
- Territorio che fu poi rinominato prima dell’Unità d’italia piazza dei Martiri e ratificato dal notaio Paolo Fazio di Roma il 30 maggio del 1722, con sigla apposta sulla planimetria della ”palude satriana”, disegnata da Michelangelo de Blasio7 un dissidente della scuola di Domenico Antonio Vaccaro, il quale a sua volta ebbe occasione di periziare l’immobile il 29 gennaio del 1738, lasciando prefigurare tra i pagamenti del 1723, lo stesso De Blasio come uno dei possibili firmatari del progetto di costruzione vero e propria dell’immobile. Pur tuttavia per la costruzione del palazzo secondo i dettami dell’inciso barocco napoletano, esisterebbe, un accordo formale senza firma pattuito dallo stesso De Blasio con l’architetto Ferdinando Sanfelice, attivo nello stesso giro d’anni in molti cantieri aperti su questa zona ed al rione della Sanità8. La posizione esatta del palazzo sulle mappe antiche, specie sulla mappa del Duca di Noja, sarà corretta dal Carletti9, laddove all’immobile erroneamente fu collocato tutto il fronte meridionale sul limite di un’area segnalata come spazio libero e nella correzione medesima, invece, sarà possibile verificare la genesi e la trasformazione dell’intero immobile in rapporto col cuore del quartiere e la nuova strada di sbocco al mare, via Calabritto, che verrà aperta prima di edificare il palazzo. Necessario a questo scopo il duca fittò un’intera cava per l’estrazione del tufo già attiva presso la masseria del Colubrano a Posillipo ed un’altra nella pancia sotto il monte Echia nei pressi dei lotti Douglas al Chiatamone. Dalle polizze di pagamento si ritrovano nuovamente Gennaro Vecchione come capomastro fabbricatore ed Antonio Saggese piperniere, quest’ultimo in particolare già incontrato per i palazzi Mastellone e Trabucco nell’area di piazza Carità, Diego Paulella sarà il fornitore di legna per le travi del palazzo fatte sostituire in un’operazione di restauro nel primi dieci anni del Novecento ed infine Mattia de Falco il fornitore di calce.
Nel 1731, per sopraggiunta morte del principe di casa, il duca Tuttavilla, il palazzo a questo punto risultò in parte da completarsi ed in parte ancora da cominciare10.
- Con tanto di inventario che dava conto dei marmi e di alcuni elementi architettonici in parte portati a compimento ed in parte ancora allo stato grezzo; si parla si colonne scanalate che ancora dovevano esser alloggiate nelle apposite nicchie scavate per questo proposito e capitelli, cornicioni indorati dal maestro Picci, ed ancora pietre di vario colore e sostanza, dal verde di Corsica e giallo antico di Siena, all’alabastro d’Oriente per le porte. Ed un modello su scala del palazzo rifatto tutto in legno ed infine un disegno della planimetria composto su una tela ed oggi esposto al palazzo Minervino. Fatto che va considerato primario è lo stato dell’immobile in rapporto con la strada, che a quei tempi offriva possibilità ad unici botteghe e sei bassi di restare in attività, prevalentemente per la produzione di materiale utile ai vicini cantieri di pesca sulle spiagge di Chiaia. Due appartamenti risultarono già abitati al piano nobile del palazzo con scala comune con altre camere altrettanto abitate, ma con ingresso posto a destra del portone principale.
Spazio note
(1) Estratto da: Napoli Nobilissima, rivista di arti, filologia e storia, quinta serie, volume IX Fascicoli I_II Gennaio-Aprile 2008 Arte Tipografica Napoli, BNN Periodici, Per-Ital 355 2008 pag 64-72 articolo a cura di Vincenz a Tempone, in Tra Archivi e biblioteche. Note sulla genesi e la trasformazione di Palazzo Calabritto.(2) All’interno dell’edificio coesistono variabilmente indizi univoci della presenza sul posto dell’artista romano, specie la decorazione dei lacunari nella volta del vestibolo culminante nella stella ad otto punte, aperto su via Calabritto, e poi anche la smussatura in diagonale dei pilastri che inquadrano un invito allo scalone laterale. Tuttavia, a parte questi indizi, non esistono note di pagamento messi al giornale di cassa che possano indiscutibilmente accertare l’opera svolta dall’architetto Vanvitelli. Uniche testimonianze certe su quest’aspetto sono due lettere mandate da Luigi al fratello per chiedere a quest’ultimo una consulenza per lavori da eseguirsi per un immobile di pregio in questa zona ed una sola polizza dei pagamenti quietata dalla duchessa di Calabritto in favore del maestro fabbricatore Luigi Vanvitelli Oltre al Milizia contribuiscono al valore dell’opera di Luigi Vanvitelli sul palazzo Calabritto di Napoli anche: L. Vanvitelli jr., Vita dell’architetto Luigi Vanvitelli, Napoli, 1823 cura critica di M. Rotili, Napoli 1975. Ed ancora: L. Catalani I palazzi di Napoli Napoli 1845; F. Colonna di Stigliano Il Borgo di Chiaia in Napoli Nobilissima, s I, XIII, 1904 pagg 41-42; ed anche F. Fichera Luigi Vanvitelli, Roma 1937; vedasi anche: Gino Chierici Vanvitelli Luigi in Enciclopedia italiana, vol. XXXIV, Roma, 1937. Vedi anche Roberto Pane Architettura dell’età barocca a Napoli, Napoli 1939 e M. Fagiolo dell’Arco Vanvitelli Luigiin Dizionario enciclopedico di architettura ed urbanistica Roma 1969
(3) Lettera del 24 aprile del 1756 in Lettere di Luigi Vanvitelli della Biblioteca palatina di Caserta, Galatina 1976, vol. I, pagina 54., Istituto Banco di Napoli- Fondazione Archivio Storico Banco di San Giacomo Giornale di Cassa, 18 gennaio del 1769
(4) In forza delle volontà espressamente messe a testamento da parte del primo fondatore nonché primo dei proprietari del palazzo, a servire alla distribuzione delle proprietà finirono sotto la sorveglianza della duchessa madre, Faustina Caracciolo, ed in considerazione dell’età avanzata di quest’ultima, il diuca scelse come tutore del fedecommesso, il marchese di San Marco Carlo Onero Cavaniglia, ed infine in sua assenza, il fratello di costui, Pier Marcello. I figli del duca furono n tutto sei: Orazio, Francesco, Prospero, Faustina, Francesca e Guglielmina. Il decreto di preambolo per la successione nel testamento fu redatto a Minervino, il 13 dicembre dle 1731, rogato come strumento di proprietà immobiliare in data 11 marzo 1745 per il notaio Leonardo Marinelli.
(5) Esistono ancora documenti che attestano il processo presso il Sacro Regio Consiglio sotto il titolo di Processum Pro Ill.re Commendatore Fr. Pietro Marcello Cavaniglia balio et Tutore Ill.is Ducij Calabritti D. Francisci Tuttavilla siper imposizione decreti si expedit, 1738 assieme al quale, è ancora conservato l’apprezzo originale redatto dal Vaccaro congiuntamente al parere dell’Alinei . Riprtato in copia dal Ranucci e segnalato da Labrot in Palazzi napoletani; storie di nobili e di cortigiani. 1520-1750 Napoli 1993 Copia della compravendita dell’immobile da parte di Carlo di Borbone è custodito all’Archivio di Stato presso il monastero dei Santi Severino e Sossio a piazzetta Grande Archivio, ASNa, Notai della Regia Corte, protocolli, fascio 3.
(6) A.S.N., Notai del Seicento, scheda 1347/26 contenente l’atto siglato tra i Confratelli del monastero di Santa Maria a Cappella Vecchia ed il duca di Calabritto, in presenza del notaio Domenico Cavallo; il Tribunale per la Fortificazione Mattonata ed Acqua, stabilì un canone annuo di 7 ducati ad Antonio Nicolò di Monte di Napoli l’11 giugno del 1719
(7) Archivio di Stato di Napoli Notai del ‘600, sch 1347/26 f. 724 t
(8) Si ipotizza un notevole contributo del Sanfelice nella storia del palazzo Calabritto a partire dalla scala dell’edificio che assai riprende la soluzione che l’architetto ha già optato per il Palazzo del Sacro Monte e Banco dei Poveri. Esposizioni del Palladio sul primo dei Quattro Libri dell’Architettura. A. Gambardella, Cultura architettonica a Napoli dal Viceregno austriaco al 1750, in Centri e periferie del barocco, vol. II, Barocco napoletano a cura di Gaetana Cantone, Roma 1992. Oltre al particolarissimo disegno dei capitelli di facciata, al di sotto dei quali, col trucco di una sorta di mascherone, corre un drappo tra due volute ioniche, stessa preziosità ingegnata per il palazzo dei Regi Studi a Santa Teresa proprio dal Sanfelice. Ancora Gambardella: Santa Maria Succurre Miseris e la cultura sanfeliciana nell’ambiente napoletano, in Napoli Nobilissima, s. III, VII, 1968 pagg 195-203
(9) Giancarlo Alisio, Le correzioni del Carletti alla pianta del duca di Noja, in Napoli Nobilissima s III, VIII 1969, pagg. 223-226
(10) ASNa, Processi antichi, pandetta nuova quarta, fascio 314, f. lo 26
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