Adorazione dei Pastori di Stanzione a Napoli

Lo Stanzione, nato ad Orta di Atella, Caserta, nel 1585 circa, dopo “aver lavorato nella bottega del Santafede“3 ed solo e soltanto dopo essersi abbastanza orientato “verso la pittura dei principali caravaggeschi a Roma come a Napoli“4 divenne particolarmente attivo nelle chiese della città partenopea a partire dalla seconda metà degli anni Venti del Seicento.
Infatti si trovano sue opere nella Sala del Capitolo della Certosa di San Martino e nella cappella di San Bruno nella chiesa San Martino dei primissimi anni Trenta di quello stesso secolo.
Dall’iconografia delle Adorazioni dei Pastori, il dipinto di Capodimonte rientra nella vasta serie di opere che trattano la Nascita di Cristo, e la Visita dei magi, tematiche basilari alla formazione del presepe napoletano.
Il tema dell'Adorazione dei Pastori ed il Concilio di Trento.
La raffigurazione dell’antico culto e del relativo tema della Natività, di cui si hanno notizie in Italia già dal Duecento, si diffonde ampiamente tra il Quattrocento ed il Cinquecento.
- In questi due secoli al tema della nascita si accosta quello dell’Adorazione dei Pastori e quello della Visita dei Magi; quest’ultima diventa la raffigurazione preferita dei committenti aristocratici che si immedesimano con i re magi facendosi ritrarre nelle loro vesti. Nello specifico il dipinto di Stanzione risente dei dettami cinquecenteschi del Concilio di Trento con cui si regolarizzano l’illustrazione del tema della Natività soprattutto riguardo la Madonna puerpera raffigurabile solo seduta o inginocchiata e mai più coricata. Tale posizione conferirebbe alla scena “un carattere fortemente simbolico di adorazione e non di realistica ed umana maternità“5. Inoltre nei dipinti non potevano essere più rappresentate le levatrici e gli animali, tra cui il bue e l’asino che erano entrati a far parte della tradizione, mentre si accettano i doni dei pastori e dei re magi. Le disposizioni tridentine consigliavano di dipingere il Bambino con testa raggiante diventando così il punto di luce dell’intera scena da ricordare e rimarcare come simbolo della Sua natura divina.
Massimo Stazione ed il suo patrimonio artistico nelle chiese di Napoli.
La pala di Capodimonte fa parte delle opere della maturità di Stanzione, periodo che va dal 1630 al 1656, anno in cui si presume, morirà per il sopraggiungere del morbo della peste.
- Evento storico in letteratura ricordato per aver decimato la popolazione di Napoli. Il pittore, dopo la fase degli anni Venti in cui si era avvicinato all’opera di Ribera, si orienta verso la tradizione romano-bolognese, in particolare quella dei seguaci dei Carracci, per poi guardare a Guido Reni ed a Giovanni Lanfranco negli anni Quaranta6; è da riferire anche la notizia del De Dominici che ricorda come Stanzione avesse una sua “scuola” con dei suoi assistenti e dei suoi discepoli7. Questo è il periodo delle sue grandi opere pubbliche realizzate a Napoli. L’artista è presente in numerose chiese napoletane: Santa Maria delle Anime del Purgatorio, Arciconfraternita della Santissima Eucarestia, chiesa e cappella Merlino al Gesù Nuovo, Santa Maria Regina Coeli, la sagrestia della Cappella del Tesoro di San Gennaro al Duomo di Napoli, San Paolo Maggiore a via dei Tribunali e all’apice di quest’ultima in direzione di Port’Alba, anche presso la chiesa di San Pietro a Majella. Ed ancora: alla cappella Cacace a San Lorenzo Maggiore, cappella di San Giacomo della Marca a Santa Maria La Nova, San Giovanni Battista delle Monache, cappellone di Sant’Antonio a Santa Brigida, cappella dell’Immacolata a Santa Maria degli Angeli a Pizzofalcone, Santa Maria Donnaregina Nuova, chiesa dell’eremo dei Camaldoli. Alla certosa di San Martino, Stanzione dipinge nella chiesa, nel coro, nella Sala del Capitolo, nel Tesoro Vecchio e nelle cappelle di Sant’Ugo e San Giovanni Battista, le celebri Storie della vita di San Giovanni, il Battista e le Scene della Passione di Cristo. Tra l’altro sono da tenere in considerazione gli affreschi perduti della cappella di Sant’Antonio a San Lorenzo Maggiore e quelli della cappella di Santa Teresa presso la chiesa di Santa Teresa degli Scalzi sull’omonima salita.
Studi attributivi del Villanova sull'inizale collocazione della Pala d'altare.
In particolare, l’Adorazione dei pastori di Capodimonte fino al 1866 era esposta nella chiesa del Divino Amore di Napoli.
- Allorquando fu rimossa in occasione della soppressione dei monasteri e dell’espulsione delle suore e, dagli anni Settanta dell’Ottocento, il dipinto è documentato all’interno del Real Museo Borbonico, presso il palazzo dei Regi Studi a Foria. Il Willette sostiene che l’opera non sia stata realizzata per la chiesa del Divino Amore in quanto la sua costruzione iniziò nel 1665. Lo storico dell’arte, attenendosi alle notizie riferite dal Celano, scrive che il convento fu fondato da suor Maria Beatrice Villana nel 1638 e in origine occupava un palazzo fuori Porta Medina, che sarebbe diventato Palazzo Cuomo. Intorno al 1658 le donne si trasferirono nel palazzo della famiglia Villana, al quale era già stata annessa una chiesetta ampliata nel 1665-1668, per poi essere ricostruita tra il 1699 ed il 1707. Dopo tali considerazioni, il Willette formula alcune ipotesi: la prima tesi è che la pala sarebbe stata acquistata da suor Villana prima che il convento si dotasse di una chiesa propria; l’altra tesi è che la tela sia stata acquistata da un altro istituto; infine l’ultima idea è quella che l’opera fosse custodita nella chiesetta annessa al palazzo della famiglia Villana, mentre il convento si stesse trasferendo, intorno al 16588.
La descrizione del dipinto di Massimo Stanzione.
Per quanto riguarda la datazione, la pala di Stanzione sarebbe stata realizzata alla metà degli anni Quaranta del Seicento.
- La critica, specie gli studenti del Suor Orsola Benincasa, ha riscontrato delle analogie con altre opere coeve dello stesso autore, tra cui quella intitolata Riposo nella fuga in Egitto collocata nella cappella della Purità, basilica di San Paolo Maggiore di Napoli, ma soprattutto con l’Adorazione dei pastori della Certosa di San Martino realizzata dal pittore emiliano Guido Reni tra il 1640 ed il 1642. Formalmente il dipinto è costruito attorno alla figura centrale del Bambino, a cui a cerchio si dispongono gli altri personaggi. A sinistra sono rappresentati san Giuseppe e la Madonna in preghiera, a destra, la parte più umana del dipinto, il gruppo dei pastori con due degli attributi codificati dai dettami tridentini: il bastone e l’agnello. Del bue, vietato dal Concilio di Trento, invece, si scorge esclusivamente una breve porzione. L’andamento circolare del dipinto è accentuato dal gruppo degli angeli posto in alto, a conferma della sacralità dell’episodio. Tale disposizione ed il movimento dell’intero gruppo testimonia una concezione moderna dello spazio da parte dell’artista. In quest’opera dai risultati nuovi e moderni caratterizzata da un’intensa luminosità cromatica e da una stesura pittorica corposa, Stanzione abbandona gli elementi retorici ed artificiosi dovuti all’ascendenza dal Domenichino, un altro artista emiliano fermatosi a Napoli per le opere eseguite presso la cappella del tesoro di San Gennaro al Duomo di Napoli, preferendo conferire alle figure una maggiore grazia. In effetti, risultano chiari gli elementi costanti dell’opera di Massimo Stanzione: “i principi della composizione che, nella semplicità e chiarezza della struttura, mirano alla leggibilità della rappresentazione e alla monumentalità dell’espressione, e la concentrazione del messaggio sulle figure che, nella loro possente presenza fisica, raggiungono un diretto, immediato coinvolgimento dell’osservatore“(9).
Spazio note
(1) Liberamente estratto da: Sebastian Schutze, Thomas Willette, Massimo Stanzione. L’opera completa, Electa, Napoli, 1992, BNN Sez. Nap., VI A 1613; Lorella Starita, Il Sole Bambino. L’iconografia della Natività nei dipinti di Capodimonte, in Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Napoletano, La Natività nei dipinti del Museo di Capodimonte, Electa, Napoli, 2002, pp. 9-14 BNN MISC. BUSTA B 1790/17; Denise Maria Pagano, Scheda dell’opera "Adorazione dei pastori", in AA. VV., Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte. Dipinti del XVII secolo. La scuola napoletana, Electa, Napoli, 2008, p. 196 BNN SEZ. NAP. VI A 153.(2) Olio su tela; cm 255 x 210; prov.: Napoli, chiesa del Divino Amore; inv. Q479. Le misure, la tecnica, il supporto, la provenienza e l’inventario sono riferiti in Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Napoletano, op. cit., p. 27.
(3) Sebastian Schutze, Vita e opere fino al 1630, in Schutze-Willette, op. cit., p.16.
(4) Sebastian Schutze, Vita e opere fino al 1630, in Schutze-Willette, op. cit., p.18.
(5) Lorella Starita, op. cit., p. 13.
(6) La definizione "periodo della maturità" ed i termini cronologici 1630-1656 riferiti nel testo sono ripresi dal saggio redatto da Sebastian Schutze intitolato L’opera della maturità 1630-1656, in Schutze-Willette, op. cit., pp. 69-120.
(7) Thomas Willette, La scuola stanzionesca, in Schutze-Willette, op. cit., p. 121.
(8) Le informazioni circa la storia della chiesa del Divino Amore e le ipotesi riguardanti l’ubicazione originaria e la committenza del dipinto sono tratte da Thomas Willette, Scheda dell’opera " Adorazione dei pastori", in Schutze-Willette, op. cit., pp. 237-238, n. A91; Denise Maria Pagano, op. cit., p. 196.
(9) Sebastian Schutze, L’opera della maturità 1630-1656, in Schutze-Willette, op. cit., p. 74.
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