Villa Bernasconi a Posillipo

È la villa Bernasconi1(2), già villa Cutolo-Tafone, e prima ancora villa Pastorino e Francione, i due proprietari borghesi che la contesero agli eredi aristocratici dei Carafa e dei Caracciolo.

Sta sul fronte della baia due Frati a Posillipo, raggiungibile dall’omonima via grazie agli ascensori fatti costruire dall’industriale Vittorio Bernasconi attorno al 1935. La villa è irriconoscibile rispetto all’offerta delle vedute della collina che l’hanno ritratta, prima degli impressionanti mutamenti abusivi motivo unico e principale per cui ha cambiato aspetto.


Nella bella incisione di Antonio Cardon, del 1764, la villa posa sul golfo di Napoli, arcigna e robusta sopra uno spesso zoccolo di pietra di tufo dolce e giallo napoletano, alla destra di una caverna che la separa dalla villa Grotta Marina ed a sinistra una torre merlata segna il confine tra le proprietà di due monasteri oggi scomparsi.

Rimane ubicata nell’esatto posto dove ancor oggi si ammira il secondo caseggiato della villa Bracale, al confine con la villa Roccaromana.

I danni maggiori le sono stati inflitti durante il corso del XIX secolo, alla fine del quale, abbandonata la struttura, fu recuperata solo parzialmente dai Padri Bigi della Carità trasformandola nel 1875, in Ospizio marino del francescano Padre Ludovico da Casoria.


La villa ripresa dalle incisioni verbo visive del Gunther e del Viggiani.

Nel 1971, all’indomani dell’estinzione dell’Ordine dei Farti Bigi della Carità, l’immobile venne preso in consegna dalle Suore Francescane che ne perpetuarono la funzione di assistenza agli anziani.

  • L’ampia imboccatura a mare del traforo, oggi praticamente inavvistabile per gli ampliamenti moderni, già rilevata bella e suggestiva dalle raccolte verbo visive del Gunther, in un’incisione di Alvino, appare invece per metà ingombrato dalla fondazione in acqua di un altro corpo di fabbrica. Tuttavia, la sua storia fu ricostruita grazie alle fonti storiche raccolte ed elaborate dallo storico Viggiani, a partire dalle testimonianze documentali rintracciate dai regesti immobiliari e gli atti notarili in custodia alla Sezione dei Manoscritti e dei Rari, piano nobile della Biblioteca Nazionale di Napoli. La questione sulla villa Bernascononi, il perché abbia avuto in sorte lo svantaggio di perdere la propria bellezza, finanche da non essere più riconosciuta è da riferirsi alle intricate vicende storiche che l’ha resero famosa specie e soprattutto per i litigi interni allo stesso condominio proprio a partire dalla troppa diversità di carattere dei tanti proprietari che l’hanno avuta in comodato. La struttura del Seicento si presentava bella ed elegante a tre piani con l’accorgimento di apparire ad occhio nudo un unico corpo di fabbrica rosso massiccio, altrimenti diversa oggi si presenta a cinque piani letteralmente sopraffatta da accrescimenti e sopraelevazioni moderne, preferendo a questo punto un linguaggio di gran lunga più funzionale oltre che però anche architettonicamente assai sgrammaticato.

La villa sulle carte antiche del Baratta e del Bulifon.

Sulla carta di Alessandro Baratta del 1629 la villa è già presente su una terrazza quadrata con torre merlata.

  • Nella carta del Bulifon la stessa terrazza è occupata da un edificio merlato, senza torre, a due piani, costruito su una platea di scogli distesi tra due angoletti di mare, e cioè con i diritti sulle due insenature, ad oriente e ad occidente, nelle stesse direzioni in cui corrono i due ballatoi verso mezzogiorno e prolungandosi come bastioni aperti sulla secca, scavalcano grossi varchi aperti sotto la viva roccia, grandi abbastanza da far pensare sia stata opera dell’uomo per farci passare le onde o più probabilmente lo spazio a mare scavato per il ricovero delle barche, una sorta di rimessa. Nella direzione di San Pietro ai due Frati si apre una terza caverna che lo centra e ne attraversa gran parte del promontorio, diversamente in direzione di Santo Strato, verso Capo di Posillipo, un giardino si apre chiuso su tre lati, presenta un terrazzamento offerto al sole e con un lato esposto alla baia. 

Storia del Palazzo Bernasconi a Posillipo.

La sua storia inizia quasi certamente, stante le informazioni di Domenico Viggiani, nel 1585, allorquando, la villa medesima fu concessa dal Monastero dei Santi Pietro e Sebastiano ad Alfonso Caracciolo, detto l’Alfonsetto di Capaccio.

  • Il quale a tempo debito, non subito, la modificò, fortificandovi tutt’intorno il giardino in terrapieno e la torretta ancora visibile sulla topografia del 1629. Mal gestita fin da allora, e comunque mai chiarita la faccenda per cui la villa venne sottratta per legge al suo medesimo proprietario, passerà come proprietà del duca di Nocera, Emmanuele Carafa, figlio niente poco di meno del marchese di Soriano, Francesco Maria Carafa, valente guerriero, devoto di San Domenico, benefattore dell’Accademia degli Otiosi; suo figlio si distinse e arrivò a diventar famoso per aver espugnato nel 1648, il Torrione di Port’Alba a piazza Dante aprendo la strada contro i Popolari del 1647 e contribuendo non poco alla riconquista della città murata. Pur tuttavia, forse gravato dagli stessi creditori che gli saldarono i conti nella pianificazione delle sue guerre, la villa gli venne comunque sottratta e resta ignoto a quale titolo passò nella mani della duchessa di San Mango, donna Maria Orefice Mendozza e da questa per testamento passò alla figlia3, che era anche figlia del principe di Sanza, Gianni Orefice e moglie del duca di Laurito, Giovan Battista Monforte, che la include nelle cessioni effettuate a Nicola Cristofaro, imprenditore e di Antonio Grimaldi, sacerdote4. Nel 1726, il Grimaldi, anche qui è poco chiaro perché lo faccia, ma trasferisce la proprietà al gioielliere Pastorino5, il primo della lunga lista dei proprietari che lo riscatterà definitivamente dal canone antico dovuto per la proprietà al monastero di Santa Brigida7, salvo però perderlo per l’ammontare di troppi debiti, insufficienti per esser ripagati dai suoi sei figli e dalla loro madre vedova ed ancora da un altro uomo che nel frattempo s’era introdotto nell’impressionante vortice sugli ereditieri ed i compartori dell’immobile, tale Cestaro, un trafficante di canapa, che ne reclamerà quasi tutta la proprietà ottenendola il 25 settembre del 1750 rispettando in tal senso di non smembrarne il complesso e di quietare tutti gli altri eredi. Uno solo, tale Nicola Pastorino, ci ripensa, chiede l’annullamento dell’accordo, rimborsa tutti i ducati che ci sono voluti per restaurare il complesso ed affranca ogni altro debito. Ma l’affare si complica, l’antico direttorio del Monastero dei Santi Pietro e Sebastiano rientra nella questione del canone storico su tutte le proprietà ed in verità, conduce una causa che presto vincerà, riprendendosi le terre sul piccolo fronte del colle, lasciando al Pastorino solo lo sbarcatoio a mare; a partire da quel momento la proprietà ceduta in enfiteusi su 36 ettari di terra, gli stessi dove oggi sorgono il parco Gaio, la villa de Hippolytis, il palazzo Marino ed il palazzetto al confine con il canalone verrà definitivamente interrotta. Quel che restò al Pastorino, finì presto oggetto di ipoteche interessanti per gli affari immobiliari, ed anzi è scontato che il Pastorino stesso, un po’ furbamente, ci fece i sui piccoli comodi continuando a smembrare ciò che gli apparteneva in unità sempre più piccole, di cui, nel 1760, interessante diverrà la stanza bassa che il duca di Noja sulla sua pianta segnerà come ”il casino del Leone”.


Spazio note

(1) Liberamente estratto da: Le ville di Posillipo, origini, vicende, personaggi. In: I tempi di Posillipo dalle Ville romane a i Casini di Delizie Domenico Viggiani per la Electa Napoli, edizione del 1989 1181953 BNN SEZ. NAP. VII A 180 paginea 100-108
(2) È questa una delle ville di Posillipo che ha avuto il maggior numero di proprietari ed il maggior numero di inquilini celebri e famosi; ad aggiudicarsi l’immobile nel 1890 fu Alfonso Guariglia, papà di Raffaele Guariglia, Ministro degli Esteri durante il governo Badoglio; prima di lui il palazzo appartenne a Lapommerays in lite con un altro proprietario di parte della consistenza immobiliare, tale Gennaro Tafone, capace, come il primo di tenere a bada altri contendenti lo sbarco a mare. L’appartamento più in alto fu comprato dall’inglese George Cross, amico del console Neville Rolfe[ v. Berry, The Rolfe papers. The Cronicle of Norfolk family (1559-1908) Norwich, 1979], venduto nel 1910 ad Arturo del Giudice, figlio del padrone di casa di Oscar Wilde.
(3) Testamento, si legge dai testi, depositato presso il notaio Francesco Bignone
(4) ANN., contratto con Giuseppe Pollecino 7 settembre 1694
(5) ANN., contratto con Antonio Sancillo 19 febbraio del 1726
(6) ANN., Contratto con Giacomo Persico 9 ottobre 1738