Guglia di San Domenico a Napoli

E' alta 26,40 metri, iniziata col proposito di far propaganda religiosa attorno alla riforma dell’Ordine dei Domenicani degli anni Quaranta del Seicento.
Per interminabili difficoltà contingenti fu portata a compimento solo alla fine degli anni Trenta del Settecento. Gli studi attributivi concordano tutti nell'ipotesi che la fine dei lavori d'opera poterono dirsi tale solo per iniziativa congiunta dei Frati Predicatori e di re Carlo di Borbone, e più specificatamente per l’intervento finale di Domenico Antonio Vaccaro2 che ne riavvia i lavori d’opera dopo un’interruzione durata cinquant’anni3.
Nell’ottobre del 1737, meno di una settimana prima dell’inaugurazione del teatro San Carlo4 verrà consegnato alla pubblica esibizione, spogliato delle tavole di legno che l'avviluppavano, considerandolo di fatto fin da subito documento sacro alla devozione della “Religione domenicana” ed ssieme al Corpo di Napoli, alloggiato pressappoco nella medesima direzione sulla Via dei Pastori a San Gregorio, l'opera segna i confini del cuore di Spaccanapoli e di via dei Tribunali all’altezza della Croce di Lucca, in quella che è stata definita dagli storici dell’arte, l’insula domenicana più antica d’Europa.
La guglia del patriarca della Vergine del Rosario.
L’opera riprende i modelli del primo Cinquecento della Roma dei papi5, presentandosi di misura assai più antico rispetto alla Guglia dell’Immacolata a piazza del Gesù Nuovo.
- Si presenta molto meno originale in termini di composizione artistica rispetto alla Guglia di San Gennaro a piazzetta Riario Sforza. Presenta peculiarità non promiscue nel confronto con l’arredo urbano antico e sacro della città di Napoli dove esso stesso è l’unico oggetto a non poter esser attribuito al suo stesso autore, data l’esiguità degli interventi di quest’ultimo indistinguibili ormai ad opera compiuta6. Si tratta di un corpo strutturale di pietra e calce, con basamento in piperno, diviso in cinque settori, impreziosito di elementi scultorei del Seicento7, in stile barocco, e dalla base quadrata, si eleva l’elemento terminale a forma di piramide, culminante nello stile rococò, al cui apice, vi è stata installata la Statua di San Domenico8, anche se, questa, come tutti i pezzi della composizione, meglio furono definiti solo verso la metà del XVIII secolo. A partire dalla forma a piramide è rivestita tutta di lastre di marmo, bianco e bardiglio, tagliate sul posto direttamente solo per questa commissione9 a tutti i diversi livelli scanditi sull’opera. Fu eretta in onore a San Domenico di Guzman, fondatore dell’Ordine dei Frati Predicatori dopo il 1656, data corrispondente alla fase acuta del diffondersi della Peste nel Regno di Napoli10, con remissione del morbo attribuita all’intercessione miracolosa del “patriarca e della Vergine del Rosario”, il cui culto fu dallo stesso San Domenico istituito e, per il quale, il popolo ha poi edificato in piazza il suo ex voto11.
La mano del Fanzago, Picchiatti e Vaccaro nella realizzazione della guglia.
L’iniziativa di erigere la sacra stele nell’attuale posizione in cui oggi si trova la si deve ad un accordo firmato tra i religiosi del Monastero di San Domenico e gli Eletti della città12.
- Parte dell'accordo previde di affidare al Priore Luigi Di Filippis13 la somma di danaro necessario a pagare il fabbricatore Luca Cavano e tutti i portatori di terra per scavare il fosso dove verrà allestito l’impianto14 tutto pronto già nel dicembre del 1658. Dell’accordo, oggi, ancora è possibile scorgerne quanto ne resta testimoniato dallo ”Stemma della Città di Napoli” inciso sulla parte bassa dell’opera. Sul basamento dell’obelisco, infatti, fu preteso che fosse ammesso l’effige della Città di Napoli alle decorazioni proprio dagli stessi Eletti impegnati, a motivo di convalida dell’accordo siglato tra le parti specie quelle laiche a sostenere parte della spesa per l’opera15 affidata alla mano di Cosimo Fanzago per quanto riguarda il disegno della Piramide. Cosimo Fanzago, tra l'altro, va ricordato fu cacciato via dal cantiere per essersi dimostrato fin troppo lento rispetto ai lauti pagamenti subito ricevuti dai Padri16, contrariamente ad altre testimonianze date dal De Dominici, Sigismondo, Sasso, ed il D’Afflitto che lo videro, invece, impegnato sul posto a lavorare fino all’anno della sua morte avvenuta nel 1678. A Francesco Antonio Picchiatti, si evincono pagamenti per lo scavo, l’antiquaria ed i problemi legati all’ingegneristica della fondazione nel sottosuolo cavo di San Domenico17. Sul basamento, gli unici elementi propri della scultura, rappresentati da due mezzi busti aggettanti di Sirene appoggiati a forme spirali carnose come di code marine, esaltano il tono naturalistico della scultura propria di Cosimo Fanzago. Dopo un periodo di interruzione durato cinquant’anni, fu ripresa dalla mano di Domenico Antonio Vaccaro, che ne rispettò l’andamento in forma di obelisco All’inizio della Piramide i medaglioni dei Santi Domenicani, San Vincenzo Ferrer, la Beata Margherita, Sant’Agnese e San Pio V.
Spazio note
(1) Le *guglie di Napoli : storia e restauro / Gaia Salvatori, Corrado Menzione ; introduzione di Ferdinando Bologna. - [Napoli] : Electa Napoli, stampa 1985. - 134 p. : ill. ; 28 cm. ISBN 8843512323 BNI 89-6751 BNN sez nap VII A/61 pagina 59(2) A nome di Domenico Antonio Vaccaro, oggi si conserva alla collezione Piancastelli, presso il Cooper-Hewitt Museum, Smithsonian Institution, New York, un disegno del primo progetto di rivalutazione della Guglia di San Domenico antecedente agli appunti del maestro Vaccaro tutti datati luglio-agosto 1736. Sul disegno si vede che la statua di San Domenico sarebbe dovuta stare al di sopra di un mondo fatto di rame, e anche dei puttini messi a progetto di stare in cima alla colonna oggi li si vedono solo sul disegno e non nell’opera finita.
(3) Da una nota di pulitura posta all’esame dell’esperto Ferdinando de Ferdinando è possibile sapere a che punto restarono sospesi i lavori relativi al Seicento e a partire sempre dalla stessa nota sui lavori sarà possibile stabilire a che punto ricominciarono quelli relativi al Settecento. Cfr ASN, Monasteri soppressi, San Domenico Maggiore, numero 653, f. 333-334; pe ri lavori svolti dal fabbricatore Massotti ASN., Monasteri Soprressi San Domenico Maggiore, numero 653, f. 328-330
(4) La data del completamento della guglia è anche ricordata su una lapide affissa al basamento, mentre la firma del Vaccaro ed il nome dell’operaio Capo fabbricatore è apparso in calce ad un documento siglato in presenza di un notaio oggi all’ASN Monasteri Soppressi San Domenico Maggiore numero 653, f. 384
(5) È erroneo, secondo il D’Afflitto considerarla Guglia. La differenza con l’obelisco di Roma è che la Guglia di San Domenico si è fuso assieme ad interventi di scultura in termini di rapporto stretto e necessario tra struttura muraria portante e rivestimento esterno in marmo.
(6) Tuttavia, da un punto di vista della forma, il passaggio di quella che con ogni probabilità dovette esser stata pensata come una colonna trionfale, e poi per ragioni di carattere artistico divenuta quasi per caso un obelisco e di lì a poco a poco una vera e propria guglia e guglia del Seicento, con tipiche dignità di prosa ascritte in tutto e per tutto solamente alla squisita formazione barocca di Cosimo Fanzago.
(7) Cfr V. Corsi, Storia dei Monumenti del Reame delle Due Sicilie, tomo I, parte I, Napoli 1850 alle pagine 314 e 316
(8) Cirac la statua di San Domenico, nel Seicento venne solo realizzato un calco in cera. Cfr. ASN., Monasteri Soppressi San Domenico Maggiore Libro di Cassa numero 477, esito del mese di settembre 1665
(9) Cfr. ASN., Monasteri Soppressi San Domenico Maggiore Libro di Cassa numero 477, esito del mese di Febbraio del 1665
(10) Cfr., I. Fuidoro Giornale di Napoli dal MDCLX al MDCLXXX, a cura di F. Schiltzer, Napoli 1934, addì, 1 novembre 1660, pag. 1 vedasi anche: *Riforma cattolica e vita religiosa e culturale a Napoli : dalla fine del cinquecento ai primi del Settecento / Pasquale Lopez. - Napoli ; Roma : Istituto editoriale del Mezzogiorno a pagina 73
(11) Cardine fondamentale alla politica religiosa dell’Ordine dei Predicatori è stato in generale il legame strettamente funzionale delle immagini sacre e devozionali al mestiere della predicazione, scopo primo ed ultimo dei Domenicani. I Deputati del tribunale della Salute, diedero incarico allo scultore Nicolò Perci, a settembre del 1656 di scolpire in rame l’effige dei santi Gennaro, e San Francesco Saverio oltre al simbolo paradigmatico della Concezione. E a Matia Preti per comando degli Eletti della Città, di dipingerne l’effige su tutte le porte della città. E. Nappi, Aspetti della società e dell’economia napoletana, durante la peste del 1656, Napoli 1980 ed in particolare il paragrafo tre, in cui, la storia sulle commissioni agli artisti è tutta ricostruita attraverso la lettura delle ricevute di pagamento oggi in custodia all’Archivio Storico del Banco di Napoli. Crf con De Maio, Pittura e controriforma a Napoli Bari, 1983
(12) Dei promessi 500 ducati, gli Eletti della Città ne verseranno i primi 300 in data 19 luglio 1658 Cfr ASBN Banco del Salvatore Giornale di Cassa,, Matricola 70, a 19 luglio 1658, f 1860/1889
(13) ASBN Banco del Salvatore matricola 73° 3 dicembre 1658, D. 192. 1.0
(14) ASBN Banco del Salvatore matricola 74 28 settembre 1658, f. 1120
(15) ASN, Monasteri soppressi, San Domenico Maggiore , 533 f. 94 questo documento risulta pubblicato per la prima volta su "Napoli Nobilissima", (II vol. fasc. II, 1893, pagina 16) da Giuseppe Ceci, che si firma don Fastidio verrà ripreso per le pubblicazioni di A. Bellucci, in Nuove osservazioni sulla Guglia di San Gennaro sulla rivista ”il Rievocatore”, VIII numero 1 e 2 del 1957, alle pagine 10 e 11 e da Franco Strazzullo in Architetti ed ingegneri napoletani dal ‘500 al ‘700, Napoli, 1969, pag. 271
(16) ASN Monasteri Soppressi, San Domenico Maggiore n° 2157
(17) Che l’opera l’abbia iniziata Cosimo Fanzago ne sono concordi Carlo Celano, Notizie del Bello, dell’antico e del Curioso nella città di Napoli alle pagine 108 e 109 dell’edizione del 1692; A. Bulifon, Cronicamerone, da cui le notizie relative dal 1690 in poi verranno riprese e rielaborate da Don Ferrante, per Napoli Nobilissima, XI, fasc. IX, 1902, pagina 142; A. Bulifon, Giornali di Napoli dal 1547 al 1706, a cura di Nino Cortese; Ferdinando Bologna in Cosimo Fanzago, lombardo a Napoli, in “Prospettiva” 7, 1976, pagina 16
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