Affreschi alla cappella San Gennaro Napoli

Domenico Zampieri, altrimenti detto il Domenichino1, nato a Bologna il 21 ottobre del 1581, morto a Napoli2 il 6 aprile del 1641, ha eseguito, lasciandola parzialmente incompleta le decorazioni a fresco per la cupola della Cappella del tesoro di San Gennaro, terza della navata destra al Duomo di Napoli.
Ma la sua opera per questo ambiente, che lo ha reso ampiamente famoso, sono i riquadri delineati dagli stucchi e dalle fasce ornate da motivi di rosoni e stelle, entro i quali “ci ha istoriato scene di vita di San Gennaro Martire".

Il Domenichino ha attuato il ciclo degli affreschi alla cupola della cappella, detti anche Allegorie, con una tecnica ed un’esecuzione che egli stesso, scrivendo una lettera al suo amico, Francesco Angeloni, considererà come la consacrazione del proprio genio, aggiungendo, parole sue, " ...il colore non ha sussistenza senza disegno"3.

Le storie del Santo patrono di Napoli sono raccontate nei sottarchi e nelle lunette, estratti dagli ampi riferimenti alla vita miracolosa del Santo, prima durante e dopo il Martirio, quasi del tutto riferita all’agiografia pubblicata nel 1579 da Paolo Regio4, il quale a sua volta, ha attinto alle fonti della Passio Sancti Ianuari, meglio conosciuta come col nome di Atti Vaticani5.


Gli affreschi di San Gennaro e gli anni della Mostra sulla Civiltà del Seicento a Napoli.

I disegni verranno tutti realizzati su muratura aspra ed irregolare, che il Domenichino rinzaffa con intonaco e malta per uno spessore pari ad un centimetro.

  • Ed ancora, sull’intonaco fresco, dato giorni dopo, con l’ausilio di un disegno su cartone, per incisione indiretta, trasferisce le immagini e le imprime sul piano di superficie. Lo stato degli affreschi fino al 1987, ultima data ufficiale dei lavori di restauro diretti dalla Soprintendenza, si presentava complessivamente in pessimo stato con evidenti segni di calcare lasciati dal passaggio sotto muro di acqua infiltrata dalla cupola, letteralmente afflitta sia dall’acqua che da un fulmine che ne bruciò la doratura durante una notte d’alluvione registrata nel 1786. Più di recente la materia soffriva di ridotto spessore delle pellicole e del rigonfiamento degli intonaci primari e secondari dati dallo schiacciamento dei lunettoni, causa, per quest’ultimo fenomeno, dovuto all’assestamento continuo delle parti strutturali sollecitate dalle vibrazioni dei terremoti. Gli ultimi a causare i danni maggiori, quello del 23 novembre 1980, l’altro a febbraio del 1982. I lavori di restauro finanziati dall’Euromercato, terminarono nel 1987, iniziati tre anni prima, durante la fase di preparazione della mostra sulla Civiltà del Seicento a Napoli, col restauro dei famosi rami del Domenichino, Ribera e Massimo Stanzione, mentre era ancora in corso dal 1979, la pulitura dei busti d’argento della collezione del tesoro di San Gennaro6 ed i marmi dell’Arco del Maschio Angioino a piazza Municipio.

La disposizione degli affreschi nei pennacchi agli angoli della cappella.

Entrando alla cappella, il primo pennacchio sulla destra presenta l’affresco dei ”Santi Gennaro, Agrippino ed Agnello, che intercedono per la città di Napoli”. 

  • Il Martire napoletano, nell’affresco sta davanti a Gesù Cristo, genuflesso, mentre uno stuolo di angeli bambini gli conducono la mitra, segno episcopale e le ampolle, segno della ”Passio”. Egli mostra a Cristo il duro sacrificio del popolo napoletano nel dipinto simboleggiato dalla ”Pietà con il cuore e l’incenso”, la ”Carità che fa l’ elemosina ai fanciulli”, ed infine la ”Penitenza, che si flagella con le stesse corde che stringe nella destra”. Il pennacchio a sinistra dell’ingresso invece mostra una scena in cui a trionfare è la ”Fede del Popolo napoletano” in questo caso con la ”Penitenza che calpesta il peccato, raffigurato in forma di tigre”;  poi c'è la ”Preghiera, che presenta alla Vergine il sacro ufficio, il Rosario, lo scapolare domenicano e poggia i suoi piedi su una raffigurazione dell’Italia Meridionale”; ed infine l’Ardore della Fede Cattolica, la quale, fiera mostra lo stendardo delle Verginità di Maria, e con questo, calpesta gli eretici. Chiude il pennacchio ”un angioletto che ripone nel fodero la spada, simbolo della Giustizia di Cristo”. In questo pennacchio san Gennaro non è raffigurato fisicamente, ma rappresentato ”dalle reliquie, le ampolle e d il busto”. All’altare maggiore il pennacchio di destra raffigura Gesù Cristo che affida a San Gennaro la protezione della città; nell’affresco San Gennaro veste gli abiti delle solennità pontificali, regge uno scudo sul quale è stata incisa la scritta Patronus; alle spalle del Cristo due angioletti ispirano i simboli della Pace e della Giustizia tenendo in mano uno l’Ulivo e l’altro una Bilancia. Nel pennacchio di sinistra, San Gennaro sta con San Gabriele, l’arcangelo che ”ha in mano il Giglio”, mentre San Raffae ”si presenta armato di Spada e di Scudo”. Ai loro piedi c’è ”Tobia col Pesce, simbolo del peccatore illuminato dalla Grazia”. Su questa scena, tre figure allegoriche popolano la parte inferiore dell’affresco. Esse sono, la Fede rappresentata dall’àncora e dal timone, entrambi segni che giustificano la persistenza di un popolo a seguire la propria fede; la Fortezza, rappresentata con l’Elmo, la spada e lo scudo con su scritto: “Humilitas”; ed infine, la Munificenza, la quale, mostra al visitatore, la pianta della cappella del Tesoro personificandosi con la città di Napoli. Nell’ultimo pennacchio, l’affresco racconta di ”Gesu Cristo che accoglie nella Gloria San Gennaro e le Virtù da quest’ultimo praticate in vita, ed ovvero: la Fede, la Speranza e la Carità”, che però occupano la zona inferiore dell’affresco. Attorno al Santo una teoria di angioletti volano di grazia, ognuno con un simbolo a cui è storicamente legata la persona del vescovo Gennaro: ”la Spada, la Mitra, il Pastorale, il Giglio, il Libro, la Penna e lo Stendardo con su inciso il serpente, segno del demonio sconfitto dal martirio del Santo7.

Gli affreschi nelle lunette e nei sottarchi. 

Le scene dipinte nelle lunette e nei sottarchi trattano della vita e dei miracoli del Santo; nella lunetta che sta sopra la porta d’ingresso alla cappella edita un primo episodio affrescato sul tema della penitenza e della disperazione del popolo napoletano terrorizzato per l’eruzione del Vesuvio.

  • Il busto di San Gennaro quindi viene poi portato in processione, ma nell’affresco lo si vede emergere in volo ed attestarsi contro la furia del vulcano ancora in attività sullo sfondo della lunetta. Nella lunetta che sta in alto a destra dell’altare laterale di destra, racconta il semplice accorgimento agiografico di affidare alla miracolistica di San Gennaro la cacciata dei Saraceni dalla città di Napoli individuata poi nella memorabile sconfitta subita a Napoli da Roberto il Guiscardo8. Nella lunetta dell’altare di sinistra, l’affresco si riferisce alla traduzione dei Santi Gennaro, Festo e Desiderio, costretti a tirare il carro di Timoteo dalle carceri di Nola a quelle di Pozzuoli prescelte per il martirio. È suggestiva la collocazione nel sottarco dell’ingresso alla cappella della scena affrescata della vecchia nutrice Eusebia, la quale, dopo il martirio amorevole, raccoglie il Sangue del Martire Gennaro. Al tondo centrale verrà affidato il racconto che si fa sul fatto che a San Gennaro, prima che fosse decollato, venne anche tagliato un dito. Il Martire apparirà in sogno ad un suo devoto discepolo pregandolo di ritrovare quel dito affinchè fosse, questo, sepolto assieme al corpo. Sempre nei sottarchi all’ingresso, sul lato destro, la scena della Traslazione delle reliquie del Santo, di cui, la cerimonia annuale detta dell’Inghirlandata; il tondo centrale racconta di una Visione del santo da parte della madre che lo vede sul patibolo subire il martirio, a destra, il Santo è visitato in carcere a Nola da Festo e Desiderio, rispettivamente il diacono ed il lettore della chiesa di Benevento. Ancora più suggestivo è il micro ciclo nei sottarchi a sinistra dell’ingresso alla cappella. Nel tondo e nel riquadro di sinistra si racconta della scena di San Gennaro condotto al patibolo e sulla strada un vecchio chiede al condannato l’elemosina. San Gennaro prometterà al vechcio di ritornare dopo morto per fargli dono della benda che il boia userà per coprirgli gli occhi prima dell’esecuzione, cosa che verrà descritta proprio al centro dei sottarchi all’ingresso, assieme ad altro episodio dove, si osserva il medico che mostra agli scettici la benda del Martire. Nei riquadri all’altare maggiore, descritte le scene di San Gennaro dato in pasto agli orsi all’anfiteatro di Pozzuoli, ove per meraviglia di Timoteo, le belve si ammansiscono. Nell’altro riquadro si vede il Santo restituire la vista a Timoteo, che l’ha persa dopo i tentativo fallito di uccidere il Santo nell’orrenda tortura degli orsi.


Spazio note

(1) Il restauro degli affreschi di Domenichino di Denise Maria Pagano, responsabile dei Labotratori di Conservazione della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Napoli. Per la Electa Napoli 1987, in occasione del restauro degli affreschi alla cappella tra il giugno del 1986 ed il dicembre del 1987 Fondazione Napoli Novantanove. I lavori, coordinati da Raffaele Garzone, furono eseguiti dalla ditta Tecni.re.com., Roma
(2) Sul finir degli anni 90 del ’500 accertata che fu la pace ritrovata in segno di riconoscimento il popolo napoletano vota al Santo Gennaro la promessa di erigervi sul posto delle due basiliche una cappella Nasce nel 1601 un gruppo di uomini scelti dalla nobiltà locale atti a sovrintendere la costruzione di detta Cappella e soprattutto autorizzati alla prima manutenzione e all’amministrazione dei doni e dei lasciti che ne seguiranno con l’esercizio liturgico solenne mantenuto attivo nei secoli del culto al Sangue di San Gennaro. La cappella nascerà per codesto volere solo e soltanto cent’anni dopo e dopo un percorso alternato da incresciosi episodi di lotte intestine alle varie consorterie, che se ne contenderanno la paternità tra cui si annovera anche l’attentato ad un maestro carpentiere. E’ infatti vero che la collocazione di due poderose statue in marmo ritraenti le figure dei santi Pietro e Paolo collocate all’ingresso della cappella ammoniscono circa la diretta dipendenza della Cappella alla Sede Apostolica Vaticana contro l’esercizio sui diritti della Cappella e del suo Tesoro da sempre vantati dalla Deputazione che comunque riuscirà a tener fede al compito assegnatole un tempo e ovvero sia a gestire in quasi totale autonomia il corpo di fabbrica anche in seguito all’abolizione dei Sedili e delle restanti Deputazioni ordinata da Ferdinando IV nel 1800. Si pensa già di realizzare il cancello che dà l’ingresso alla Cappella in manufatto e di installarlo a dovere seguendo le rigide indicazioni dettate dal cavalier Cosimo dei Fanzago. La Deputazione stipula il lavoro manuale ad Orazio Scoppa e Biagio Monte che per conto loro seguiranno indicazioni invece suggerite da artisti estranei al progetto e che non verranno mai individuati. La realizzazione del cancello tarderà non poco. I due artigiani verranno ben presto sostituiti da Giacinto de Paola e Giovanni Mazzerolo, poi ancora Bartolomeo Rampinelli e Tommaso de Fusco. L’impiccio di presunte infiltrazioni sui disegni originari tira avanti ancora per molto e alla fine alla commissione dei lavori succederà Gennaro figlio di Biagio Monte. Si giunge alla fine degli anni 30 del 1600 e il cancello non è ancora neppure stato realizzato, nel frattempo, però, l’aspra lite tra il gruppo locale degli artisti ed artigiani contro le maestranze bolognesi incaricate di costruire la Cappella è al culmine della sua tensione: resta gravemente ferito da una pugnalata inferta da Gian Domenico Capuano su ordine dello stesso Corenzio ad un tal signore che sovrintendeva ai lavori scelto da Guido Reni a sua volta scelto dalla Deputazione per la messa in opera della Cappella sulle eminenti indicazioni di Decio Carafa. In seguito allo spiacevole episodio Giudo Reni lascerà la città e non si farà più vedere in giro. Ed ecco sopraggiungere, manco a farlo apposta, due progetti disegnati da Belisario Corenzio e Simone Papa convinti che quella sarà la volta buona per accaparrarsi l’incarico. Non sarà così. I due progetti, infatti, verranno respinti e spunterà fuori un nuovo nome che sarà ancora una volta una nuova e lunga storia della costruzione della Cappella: il compito sarà perciò dunque affidato questa volta a Domenico Zampieri, detto il ”Domenichino”. In verità un tempo prima di lui forse nel 1623 il Santafede accettò di buon grado la realizzazione dell’opera scegliendo per sé l’aiuto prezioso di Battistello Caracciolo; ma non è ben noto quali siano state le ragioni per cui i due dopo breve sosta a Napoli lasciarono l’incarico giustificandosi per le troppe scarse risorse economiche in seno alla Deputazione assolutamente incompatibili con le richieste inoltrate dai due artisti. Per nome del Cardinal Caetani, a Domenico Zampieri viene confermata la commissione ed in un documento rarissimo ancora si leggono le fatture del pagamento a questi quietate parte in scudi romani e parte in ducati napoletani e più precisamente quanto anche simpaticamente venne pattuito 100 scudi per le figure intere, 50 per le mezzane e solo 25 per le sole teste. Ma lo stesso Zampieri era uno soggetto difficile, sempre inseguito da certe strane paure che finirono per renderlo peggio di quanto era già effettivamente timido e pauroso. Cadde in una tale depressione, rinnovata di volta in volta dal ricordo dell’ultimo episodio capitato al poverello che in chiesa lavorava ai comandi di Guido Reni beccandosi la famosa coltellata a tradimento. Di par suo essendo egli uno quieto, credendo che i napoletani gli avrebbero risparmiato l’infamia del fendente, suppose senza fondamento alcuno che gli artisti del posto, invidiosi forse del suo genio provvedessero ad avvelenarlo; e tanta e tale fu la disperazione e l’esasperazione dei sospetti contro tutti e tutto che lo stesso Zampieri si racconta la sera a cena sceglieva a sorte il piatto in cui mangiare e che addirittura non si fidò mai neppure dei suoi stessi figli e alla moglie sua proibì l’uso dei coltelli in cucina. D’altra parte il rilento dei lavori da realizzarsi è da imputarsi alle insistenze del Vicerè spagnolo che continuava a commissionare allo stesso Zampieri tele e dipinti da indirizzare alle corti spagnole e in più v’era in giro uno che rispondeva al nome di Josep De Ribera detto lo Spagnoletto di bassa statura quanto il domenichino il quale andava dicendo che Domenico Zampieri non fosse neppure degno d’esser nominato artista, ch’era un semplice disegnatore, un pasticcione che s’era accaparrato l’incarico per la fortunata condizione dello stesso Corenzio e dello stesso suo collega Simone Papa.
(3) Le *vite de' pittori, scultori ed architetti moderni co' loro ritratti al naturale... - Roma, per il successore al Mascardi, a spese di F. Ricciardo e G. Buono, 1728. - 27 cm., 394, [2] p., 15 tav. f.t. Codice SBN LIAN032711 Luogo pubblicazione Roma Anno pubblicazione 1728. A pagina 371, dell’edizione a cura di E. Borea. Ed. Torino 1976
(4) *Mons. Paolo Regio e il suo tempo / Luigi Parascandolo. - Vico Equense : Centro culturale Mons. Paolo Regio, 1986 (Sant'Agata : Tip. delle Monache Benedettine). - 31 p. ; 23 cm. Codice SBN NAP0360465
(5) *Vita di S. Gennaro protettore principale di Napoli : ricavata dal Codice greco, dagli Atti Vaticani e da altri antichi documenti / pel p. Gioacchino Taglialatela. - Napoli : Tip. e libr. cattolica M. D'Auria, 1904. - 104 p., [1] c. di tav. : ill. ; 20 cm. Codice SBN SBL0479603. Il testo integrale è oggi disponibile presso la sala dei Manoscritti e dei Rari alla Biblioteca Universitaria collegio del Gesù Vecchio di Napoli
(6) Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Napoli In paradiso. Gli affreschi del Lanfranco nella Cappella del Tesoro di San Gennaro, a cura di Denise Maria Pagano, per la Electa Napoli, Napoli 1996 Elemond editori associati, 1349556 BNN SEZ NAP VII A 1695 a pagina 13
(7) R.E. Spear Domenichino New Haven and London 1982 alle pagg 290-292
(8) La *geste de Robert Guiscard / Guillaume de Pouille ; édition, traduction, commentaire et introduction par Marguerite Mathieu ; avec une préface de Henri Gregoire. - Palermo : [s.n.] , 1961 (Roma : Tip. Pio X). - V, 416 p., [1] c. di tav., X c. di tav. di cui 2 ripieg. : ill., c. geogr. ; 24 cm. Codice SBN SBL0032282 BNI 6114072. Vedasi anche *Memorie della vita miracoli e culto di S. Gennaro martire... raccolte da C. Tutini... nuova edizione... - Napoli : s.t., 1856. - 176 p.; 22 cm Codice SBN LIAN010161, a pagina 33 e 34 dell’edizione 1633