Antico Bacino del Mandracchio a Napoli

Si tratta della zona sottoposta a lavori di ristrutturazione condotti magistralmente dai gemelli Gasse1 (1bis), ovvero l’antico approdo di “Arcina”, agganciato al Molo Piccolo da un ponte a due arcate, configurato in epoca antica tra le emergenze strutturali che oggi determinano i comparti urbani di piazza del Muncipio a Napoli a quell'epoca già sede del Maschio Angioino ed il fronte a mare di Rua Catalana.


Presso il borgo di Rua Catalana, tra l'altro, sgombro delle architetture fasciste del Risanamento prospettano ancora visibili pienamente le chiese chiuse: Santa Barbara dei Cannonieri, Graziella al Porto e San Giacomo degli Italiani.

Fu praticamente riassettata tra il 1825 e il 1831 dall’architetto Stefano Gasse, medesimo autore della mascherata di palazzo San Giacomo, la sistemazione egregia di Via Foria e del palazzo Tocco di Montemiletto a Via Toledo, oltre ad altri lavori contingenti e relativi alle opere sulla Nuova Dogana1ter e del bacino del Mandracchio, dove era situata.

L’ area che ospita i quartieri Porto, Pendino, Mercato e Vicaria Vecchia a Napoli, ovvero quelli che durante l’epoca del Risanamento classe 1925, terminato da Pietro Baratono subito l'anno successivo, vennero indicati come i “Quartieri bassi”, in origine altro non era che un tratto di spiaggia, il cui progressivo arretramento del mare, diede la possibilità di stabilire i primi insediamenti abitativi risalenti al periodo bizantino2.


Il Mandracchio e l'area del servizio doganale.

L'ostacolo rappresentato dalle paludi vesuviane nella parte orientale della città, ed oltremodo la difesa dell’area portuale, comportò un maggiore sviluppo in direzione del versante occidentale.

  • Che oggi si identifica con tutta l’area compresa tra Rua Catalana e piazza Borsa ai limiti fisici dell'attuale Corso Umberto I; con l’avvento degli Angioini, Napoli diventò la capitale del Regno e la nuova politica commerciale promossa dai sovrani spostò il centro nevralgico dei commerci marittimi verso le coste partenopee3(3bis). Per l’ampliamento del bacino del Mandracchio, il Gasse già dal 1828 aveva cominciato la costruzione di un portico sul lato sinistro del molo ed avrebbe per questo gettato le basi per un’estensione dell’intero bacino; successivamente fu costruito un recinto che partendo dall’edificio della Dogana, in proseguimento del portico, riuscì a farci stare l’intera banchina separandola dalle strade adiacenti e dalla chiesa di S. Maria di Portosalvo. L’intero Mandracchio fu suddiviso attraverso lunghe catene di ferro nelle diverse aree del servizio doganale, le banchine portuali furono ristrutturate e costruiti edifici all’interno dei recinti per il controllo delle merci. Sostanzialmente, fino al 1880 l’area non subì particolari modifiche. A partire dal 1881 fu intrapreso l’ ampliamento delle banchine, fino ad un totale stravolgimento dell’ intero bacino, prima con i lavori della linea ferroviaria litoranea (1889), poi con la formazione di nuovi DOOKS. Durante l’ epoca fascista l’ interno molo del Mandracchio fu occupato da nuove e numerose fabbriche e l’ intero complesso doganale del Gasse perse gran parte delle sue funzioni. Il Molo Grande negli anni Trenta del XX secolo fu completamente trasformato per costruire la Stazione Marittima e la strada del Piliero sparì completamente a partire dal dopoguerra a causa dell’ apertura di Via C. Colombo.


Spazio note

(1) Francesco Iannello e Raffaele Rusciano, “Appello all’ UNESCO per la salvezza del centro storico di Napoli patrimonio dell’ umanità”, Palazzo Marigliano, Napoli-2006. Cfr: Giovanna Riccio, “Ispanismi nel dialetto napoletano”, a cura di Marcello Marinucci, Università degli studi di Trieste, 2005. Alfredo Buccaro, "La città borghese: tipologie e architetture nel Regno di Napoli (1806-1860)", p. 167-175, Napoli -1900. Nota 2 di Palazzo Corigliano. Tra archeologia e Storia (Estratto) Istituto Universitario Orientale di Napol, ottobre 1984, DON 1.209.562 BNN sez nap MIsc VII C 3/4 copia estratta da 1167802 D.S. BNN distribuzione 1994 D 87 relazione a cura di Irene Bragantini e Patrizia Castaldi, premessa di Maurizio Taddei cfr: Cesare De Seta, Bari 198, la città nella Storia d’Italia, pagg 69 e segg.
(1bis) La descrizione della città di Napoli e statistica del Regno nel 1444, pubblicata da C. Foucard Fonti di Storia di Napoli nell’archivio di Stato di Modena, in Archivio per le province napoletane, vol. II (1877) pagg 731-734
(1ter) L’ area scelta dal Gasse per la costruzione della Nuova Dogana fu quella tra la banchina del Mandracchio e la strada del Piliero, occupata dall’ edificio della precedente Dogana della Farina di Domenico Fontana (XVI secolo); da un confronto tra la pianta del Marchese (1813) e quella dell’ Ufficio Topografico del 1828 si capisce che i lavori del Gasse consistettero in una ristrutturazione dell’ edifico del Fontana, tuttavia la Nuova Dogana fu terminata solo dopo la morte del Gasse (1840) dall’ ingegnere del Genio, Clemente Fonseca.
(2) Il Molo grande fu costruito nel 1301 da Carlo II d’ Angiò e poi successivamente ampliato da Alfonso d’ Aragona; nel 1748 fu sottoposto ad un’ opera di restauro da parte di Carlo di Borbone. Molto importante per lo sviluppo della zona nel periodo angioino fu anche l’ arrivo nella capitale di gruppi di stranieri, in larga maggioranza commercianti, che si unirono alla colonia pisana già presente in città e formarono dei veri e propri quartieri: “ Al tempo di Carlo d’ Angiò (1285- 1309) predecessore di R. d’ Angiò, anche per il grande potere e prestigio economico e mercantile che avesse acquisito la città di Barcellona, era stato consentito ai catalani di avere nelle principali città del Regno i loro consoli. A quell’ epoca risale infatti la cosiddetta, Rua Catalana di Napoli, una strada cosi chiamata poiché abitata da catalani, soprattutto mercanti, stabilitisi nella capitale in quegli anni.” Giovanna Riccio, “Ispanismi nel dialetto napoletano”, a cura di Marcello Marinucci, Università degli studi di Trieste, 2005.
(3) Alfredo Buccaro, "La città borghese: tipologie e architetture nel Regno di Napoli (1806-1860)", p. 167-175, Napoli -1900.
(3bis) Il lavoro del Gasse va inquadrato in quella che era la nuova concezione politica dell’ allora sovrano Francesco I di Borbone, caratterizzata da uno spirito protezionistico per quanto riguardava il commercio marittimo, e quindi tesa ad un maggiore controllo delle merci in entrata, da qui i lavori di ampliamento della dogana, e a forti incentivi verso tutti quegli imprenditori che avessero deciso di investire nel commercio di esportazioni. L’ area scelta dal Gasse per la costruzione della Nuova Dogana fu quella tra la banchina del Mandracchio e la strada del Piliero, occupata dall’ edificio della precedente Dogana della Farina di Domenico Fontana (XVI secolo); da un confronto tra la pianta del Marchese (1813) e quella dell’ Ufficio Topografico del 1828 si capisce che i lavori del Gasse consistettero in una ristrutturazione dell’ edifico del Fontana, tuttavia la Nuova Dogana fu terminata solo dopo la morte del Gasse (1840) dall’ ingegnere del Genio, Clemente Fonseca.