Monastero San Benedetto a Chiaia Napoli

Il monastero e la chiesa di San Benedetto1 nel borgo di Chiaia a Napoli2 furono entrambe soppressi durante il decennio francese di Gioacchino Murat3.

Spesso è indicato nelle fonti4 anche come monastero di San Benedetto nel Borgo di Chiaia ed anche col nome di monastero di Sant’Angelo, monastero di San Benedetto al Vomero ed anche monastero di San Benedetto all’Arco Mirelli.


Le differenti denominazioni son spiegate col fatto che il monastero era ubicato a metà della strada che dal Vomero conduce sul Lungomare e più precisamente sulla distesa della Riviera di Chiaia, nell'ultimo quarto della Villa Comunale.

Fin dalle origini questa era la strada di Santa Maria degli Angeli anche detta strada dell’Imbrecciata e soltanto in seguito chiamata via dell’Arco Mirelli.
Si tratta più precisamente del Monastero di San Benedetto dell’allora Regio Casale di Barra, fondato nel 1601 ed eretto abbazia nel 1607 da papa Pio V5 dono del benedettino Mattia di Venosa, il quale, nel 1632, forte del titolo di abbazia pontificia lo fortifica sul territorio coi proventi della Serra Monachesca della Provincia Benedettina d’Abruzzo.


Da una semplice stanza a mo' di cappella fino a divenir fastoso monastero.

Ciò nonostante, in seguito ad una serie di cause ostative, quali, l’aria pestifera6 delle paludi napoletane7, l’impossibilità di continuare l’opera di fondazione degna di un monastero Benedettino di diritto pontificio, l’azione incessante dei ladri e briganti, si mosse a compimento della traslazione dei padri del Monastero da quel luogo nel borgo più comodo per la quiete spirituale dei confratelli nella zona di Chiaia8.

  • Il luogo della nuova dimora Benedettina fu meglio individuata a quell’epoca sopra la chiesa di Santa Maria della Neve, nella casa e giardino un tempo proprietà delle monache di San Marcellino poi avuta dal canonico Andrea Letterese conduttore concorrente dell’immobile comprato in nome e per conto di Giulio Cesare Guadagno9 regio notaio della Corte10. Costui, infatti, a patto che fossero rispettate particolari condizioni11 appena appena ratificate, la donò ai padri Benedettini Cassinesi di Barra12. Nel frattempo, dell’immobile lasciato vuoto a Barra ne venne concesso l’uso al medico Giovanni Antonio Foglia e a Domenico de Mele. Intanto, alla data del 1650, siccome serviva per diritto anche il permesso dell’arcivescovo della zona di poter continuare ad edificare sul posto, in effetti, i Benedettini Cassinesi iniziarono a lavorare in questo senso, nonostante mancassero ancora le necessarie licenze, dimentichi del fatto che nella stipula della donazione s’era fatto menzione di: non eccedere nell’uso appena di una cappella, dieci stanze, una sala, una cantina, una stalla per un numero massimo di dieci religiosi. E di fatto, tre anni più tardi, alla data di definitivo spostamento dei padri presso il monastero del Borgo di Chiaia, l’abate Irene da Pontecorvo, professo di Montecassino, costruì la stanza abbaziale al primo piano del piccolo palazzo, presto divenute tre stanze all’indomani del possesso del monastero da parte dell’abate Vittorino Sciambica, professo di San Lorenzo d’Aversa, medesimo autore di un purgatoio per l’acqua piovana raccolta in una cisterna collegata magistralmente per fornire acqua a tutto l’edificio. Le tre camere poi divennero un solo camerone nel 1666 per opera dell’abate Domenico della Quadra professo napoletano di San Severino; il camerone venne servito da un corridoio che tra l’altro collegava ad un’ultima camera sopra alla vecchia sagrestia, un camerino che affacciava sul piccolo cortile interno ed aspetto a mezzogiorno. Nel 1679 il reverendissimo Della Quadra venne rieletto per la seconda volta abate per questo monastero e dal suo secondo mandato si eresse un corridoretto e altre due camere oltre all’anzidetto camerone e addirittura una seconda cisterna per l’acqua che di lì a poco servì ad altre persone occupanti gli spazi al pian terreno. Durante il governo dell’abate Agostino d’Amico del 1682 si costruì ancora in altezza e larghezza, fino a raggiungere, nel 1693 sotto il governo dell’abate Serafino Boccia, il vicinissimo palazzo dei signori Di Gaeta ed il monastero delle Teresiane. Nel 1750 sotto il governo dell’abate Di Palma, s’ingrandì il cortile, sul quale, s’aprirono nuovi affacci, si fece la vasolata a terra, la camera nuova per la servitù, le stanze addette ai cellari, la cucina, la rimessa meglio attrezzata, la legneria e sopra di esse, tutte a comprenderle, il nuovo appartamento abbaziale. Cinque anni dopo e sempre sotto il governo De Palma, si fortificò la pagliera, si costruì uno stipo ad uso di archivio delle fonti librarie che poi divenne di fatto una vera e propria libreria, vi si fece il nuovo portone di castagno e due gambe di piperno laterali all’arco del detto portone.


Spazio note

(1) Estratto da: Andrea Speme, Il Monastero di San Benedetto a Chiaia in Napoli dalla Benedictina Anno XI luglio-dicembre 1957 fasc. III-IV Roma 1957 1066522 BNN FONDO PONTIERI MISC B 17/49 Per altre info sul web vedasi anche: L'Archivio del monastero di S. Benedetto a Chiaia (Archivio di Stato di Napoli, Corporazioni religiose volumi 1322-1331) Anteprima della Tesi di Laura Pozzulo.
(2) In realtà non si è mai trattato di un monastero con una propria comunità stabile, quanto piuttosto un luogo di dimora per gli abati cassinesi della Campania . Archivio dell’Ufficio della Santa Visista Curia Arcivescovile di Napoli. Visite pastorali; Giuseppe Prisco, V volume, foglio 703
(3) Relazione sullo stato del monastero all’epoca della soppressione, conservata al fondo Patrimonio Ecclesiastico. A.S.N., vol. 857, fascicolo 36
(4) Per le fonti: 10 volumi manoscritti conservati al fondo Monasteri Soppressi Archivio di Stato di Napoli da n° 1322 a 1331
(5) Status Congregazionis Cassinesis a. 1650 ASN.
(6) Carlo De Lellis Manoscritto inedito aggiunto alla Napoli Sacra del D’Engenio dell’anno 1654 Alla BNN Manoscritti e Rari XB 20st t.V, pag 195
(7) Elementi primari ed originari della zona orientale di Napoli. B/ Invenzione di un paesaggio Lidia Savarese in: Un’alternativa urbana per Napoli. L’area orientale Analisi del Territorio e architettua collana diretta da Giancarlo Alisio Edizioni scientifiche italiane giugno 1983 Portici BNN SEZ NAP VII B 502
(8) Fondo Archivistico del Monastero, vol 1322 Copia della Bolla di Urbano VIII. Arca 10 numero 16
(9) Precedentemente questa casa pare fosse stata oggetto di una donazione forse mai stipulata tra il Guadagno ed i padri Gesuiti. (10) Costui lasciò che i padri Benedettini Cassinesi occupassero le sedi di cui, egli però non era proprietario. L’eccezione di pagare nove ducati, quattro tarì e otto grana all’anno a Vittoria Terracina per il soggiorno comodo e confortevole dei padri in questa casa testimonia il fatto che il Guadagno la casa con giardino se li aggiudicò in una vendita all’asta effettuata il 30 ottobre del 1621 per opera della Banca Scacciavento che la sottrasse a Giovanni Terracciano, figlio di Andrea Terracciano a sua volta debitore contro il monastero delle Monache di San Marcellino, forse l’unico proprietario dell’immobile, al quale, doverosamente bisogna ricordare che andavano quietati pagamenti maturati molto tempo prima dell’avvento dello stesso Andrea Terracciano per mano di un certo Giovan Battista Terracina, nipote di Paolo Terracina, figlio di Eliseo Terracina col quale ci si arriva alla venerabile data dell’8 febbraio 1490.
(11) La stipula sulla donazione con relative prescrizioni si tenne a Parma. In seguito nel primo capitolo della congregazione del Benedettini Cassinesi del 21 aprile 1625 si decise l’invio al monastero dei Santi Severino e Sossio degli abati Serafino da Sarno e Silvestro da Napoli a trattare le condizioni che il Guadagno impose per godere del beneficio della donazione del giardino sul quale non si è mai ben capito se già fosse stata eretta una primitiva forma di chiesa e monastero. Ne seguì che i padri relatori aggiunsero modifiche al trattato scritto dal Guadagno, al quale a sua volta gliene venne fatta breve relazione presentata da quattro abati di quattro rispettivi monasteri: Montecassino, San Lorenzo d’Aversa, Santi Severino e Sossio e Santissima Trinità di Cava de’ Tirreni.
(12) L’atto di donazione tra il Guadagno ed il priore di Barra venne stipulato il 4 aprile del 1625 e ratificato il 21 luglio di quello stesso anno, mentre i monaci vi si trasferirono fisicamente da Barra a Chiaia solo a Novembre.