San Michele abbatte i demoni a Napoli
Si tratta di un elemento di arredo in alabastro scolpito, un abbagliante amuleto alto più di ottanta centimetri1, opera di un maestro siciliano del II e III decennio del XVIII secolo.Sagoma complessiva a mandorla, a base troncoconica ad intaglio, sulla quale è stato scolpito nella madreperla, il volto di un ghigno maschile con sopracciglio, barba e baffi che intrecciano passanti e beccatelli.
Questo tipo di base con mascherone è articolato con gli stessi effetti manieristici delle volute che imitano il fuoco dell’inferno sulla base apotropaica di un corrispondente Sant’Arcangelo al Museo di San Martino acquistato nel 19221bis.
Ispirato, è molto probabile alle stesse botteghe trapanesi produttrici dei medaglioni infissi sulla Porta dei Mori a Palermo, mentre per il secondo ordine i drappi a nastro rigonfi annodati a destra e non a sinistra sono gli stessi nei ricami del Grembiale della Credenza di San Nicolò a Catania.
La prospettica del Santo e dei Demoni d'alabastro.
Il pezzo è oggi messo al catalogo delle plastiche e piccole sculture assieme al Crocifisso di scuola bavarese e al Crocifisso di fra Giuseppe da Soleto in esposizione alla Cappella dell’Assunta a Palazzo Reale di Napoli2.
- Tutto il dispositivo punta l’attenzione sul San Michele Arcangelo, che si presenta col capo coperto d’elmo e piume, tutto corazzato con spada sguainata ed uno scudo a cartiglio rigido, il quale, senza un visibile sostegno, sormonta una teoria scomposta di diavoli caprini, urlanti, condannati alla bocca aperta pienamente, testa rivolta in giù, restituiscono con sapienza architettonica unica del suo genere, la sensazione di dover sopportare il peso dell’Arcangelo. Il Santo è scolpito con lunghi calzari e a gambe divaricate mostra di portarsi da destra in direzione di sinistra mentre schiaccia la testa di due satanassi. E’ fatto di materia plastica adatta alla natura incoroporea del personaggio indicato; veniva all’epoca dei fatti realizzato interamente a mano e venduto per star nelle edicole e nelle nicchie murate a malta e comunque la scena è diffusiva di sé e del messaggio riassunto nel tentativo della Santa Chiesa di Roma di imporsi nell’azione salvifica posta a difesa del popolo di Dio contro l’eresia ed il popolo del Re dalla peste. Non c’è nessuno documento che possa tracciare la storia di questa scultura, ma l’uso che se ne è fatto dell’alabastro, va comunque riferita all’esasperante propaganda del Seicento di perpetuare un culto del Sant’Arcangelo più antico risalente al Quattrocento e al tratto più a Nord della Penisola. A Napoli, il suo equivalente presso il Museo di San Martino, composto della stessa sostanza solo un poco più piccolo, ha una tale corrispondenza di particolari da suggerire l’esistenza di un modello di campione devozionale, sicuramente anch’esso prodotto in scultura nel Cinquecento e non prima. Non c’è nessuno tipo di corrispondenza iconografica tra questo pezzo ed il Sant’Arcangelo nella nicchia di Port’Alba di piazza Dante, né tanto meno con la statua d’argento relativa al Tesoro di San Gennaro presso l'omonima cappella in Cattedrale.
Spazio note
(1) [Inv. 3284/1950; foto 35301/F](1bis) [Inv. 13995 Foto AFSG34862 Causa-Picone-Bonucci del 1964]
(2) [Liberamente estratto da: Arte sacra di Palazzo. La Cappella reale di Napoli ed i suoi arredi a cura di Annalisa Porzio. 1989 Arti Tipografiche NapoliBNN 1994 B 28 pagg. 82-83]
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