Galleria Umberto I a Napoli

E’ la Galleria Umberto I a Napoli1(1bis)2 uno spazio di uso pubblico3 insinuato da un organismo architettonico elevato tra il fitto dell’edilizia antica e moderna del quartier San Ferdinando

E' tipologicamente caratterizzata dall’impaginato interno composto di parti murarie sulle quali emerge l'ordito strutturale in ferrovetro4(5) rimasto lì com'è e dov'è a testimonianza dell’impiego effimero che se ne fece di questi materiali.

È usata come elemento di collegamento intermedio tra le porte d’ingresso da Via Verdi con l’ingresso lato Via Toledo e la porta di ingresso lato Via Santa Brigida con l’altra porta aperta sul fronte colonnato di Via San Carlo.
Un piano attico costruito abusivo conclude l’alto dei fronti interni alla scacchiera, mentre il lato di Via San Carlo fu fatto in parte abolire. Infine, è stata progettata per esser orientata dritta all’asse ortogonale e mediano della facciata del Teatro Can Carlo, rispetto al quale, seppur mascherato da un portico scenografico, in stile romano puramente classico, mostra simmetrico il suo ingresso principale6, che invece è obliquo7.

All’interno della Galleria come anche all’esterno sono riassunte vecchie e nuove tecnologie edili e la concomitante presenza di materiali tradizionali ed innovativi che soddisfano le esigenze di rappresentatività e funzionalità ereditate dagli assunti affermati dall’utilità collettiva delle Esposizioni Fieristiche Universali8 da cui è stata ampiamente estratta9(10)


Gli anni della fondazione della Galleria Umberto I.

Fu costruita da soggetti giuridici non napoletani11 e con i soldi di un mutuo acceso da un consorzio di Istituti di Credito12.

  • L'anzidetto prestito fu girato in favore della Società Romana L’Esquilino13(14) quando questa, ancora appaltata agli imprenditori della Deserti e Fantoni15, ebbe già occupato spazio espropriato sui terreni dell’ex rione Santa a Brigida16 avvenuto il 28 aprile del 1886 in seguito alla presentazione dei progetti di bonifica dell’area, presentati all’attenzione del Consiglio tecnico municipale di Napoli, da parte degli architetti Ferdinando Savino, Alfredo Cottrau17, Pisanti e Cassitto, Ferrara, Sacerdote ed infine, Emmanuele Rocco18. A quest’ultimo fu attribuita quasi per intero l’esecuzione del progetto della Galleria, anche se, la paternità della Galleria Umberto I chiarisce l’ideazione e la progettazione dell’immobile attraverso il concorso diretto di più professionisti assolutamente distanti tra loro per competenze ed interessi scientifici. Per i suoi aspetti tipologici e dimensionali, nonché per le sue formali decorazioni è considerata espressione dello stile Nazionale, manufatto in ferro di prima lavorazione19 prodotta in serie in tutta Europa, ed appartenuta espressamente alla produzione dell’architettura postunitaria napoletana20(21)22. È seconda solo alla Galleria Principe di Napoli, realizzata quest’ultima, nella zona bassa di San Potito, in luogo delle scomparse Fosse del Grano23.

La copertura della Galleria ed i passaggi di proprietà dell'immobile.

La copertura metallica a vista, fiore all’occhiello dell’architettura del ferro a Napoli di fine ‘800, è a più tiranti ed è opera del professor Francesco Paolo Boubée24.

  • L'operà del Boubée, tra l'altro lo ricorda la targa sul muro dell’ingresso alla Galleria, lato San Carlo, affissa lo stesso giorno dell’inaugurazione, avvenuta il 10 novembre 1890, alla presenza dell’allora sindaco di Napoli, Nicola Amore, ed il cavalier Alfredo Cottrau, dirigente dei lavori di copertura, anche se ancora non fu eretto l’edificio ad angolo tra via Verdi e via Santa Brigida, laddove, nel cortile interno dell’ex palazzo Capone sarebbe dovuto sorgere il nuovo San Carlino ed in sua vece, fu eretto e poi abbandonato il Salone Margherita.  Proprietaria della Galleria Umberto I, fino a tutto il 1895, a parte solo le aree cedute alla Banca di Anticipazione ed al Kernot, già proprietario del vicinissimo palazzo Cirella, fu la Società dei Beni Immobili, che a sua volta, nel luglio del 1904 la cede alla Banca d’Italia coinvolta nella gestione dei crediti in sofferenza accumulati dalla remissività delle banche sovventrici, tra cui, spicca per un’eccellente performazione dei debiti, il Banco di Napoli.  Tuttavia, la stessa Banca d’Italia, nel garantirsi gli smobilizzi delle proprietà acquisite, a cadenza triennale secondo quello che era il sistema di scomodo delle tasse, creò organismi economici atti a consentire una siffatta operazione e tra questi l’Istituto dei Fondi Rustici e l’Istituto Romano dei Beni Stabili, quest’ultimo presente nella storia della MEDEDIL, nota per esser stata la Società edilizia a capo della costruzione di tutto il Centro Direzionale di NapoliA condizionarne da sempre la composizione perfetta dei quattro blocchi chiusi, la presenza sul posto delle chiese di San Ferdinando e Santa Brigida, il palazzo Cirella e Barbaja rimasti lì dov’erano e com’erano.  Ed infine l’esedra davanti al teatro San Carlo e per quanto riguarda gli impaginati delle quattro diverse facciate si tentò oltre ogni modo la cosiddetta prospettiva coerente attraverso la ricorrenza architettonica dei caratteri impressi conferendo un disegno unitario a tutto il volume dei quattro blocchi anche se innestati tra una preesistenza e l’altra. 

Il progetto della Galleria Umberto I: gli esterni.

Sul livello corrispondente, invece, all’imposta degli arconi dei quattro ingressi della Galleria, si sviluppano armoniche le quattro facciate lisce dell’Organismo architettonico.

  • Dai grafici del progetto sulla Galleria Umberto I, presentati al Municipio di Napoli nel 1886 dall’ingegner Emmanuele Rocco, l’unico tra gli ingegneri ad essergli stata riconosciuta quasi per intero la paternità del progetto, e sui quali, appare un programma di decorazione esterna definito nei punti essenziali, sono evidenti gli impaginati descritti ed effettivamente organizzati su tre diversi ordini architettonici per tutti e quattro i lati interni della Galleria. Il primo sta alla base scandito da lesene di gusto dorico applicate su un alto dado di travertino, inframmezzato da spazi occupati da negozi, al di sopra di ognuno dei quali, un’apertura rettangolare corrisponde al suo relativo piano ammezzato, della stessa larghezza ed alte fino al cornicione di coronamento del primo ordine. Una serie di finestre a rettangolo su balaustre in pietra al piano inferiore e sormontate da timpani per quelle del piano superiore. Un’ultima, stretta fascia, contenente le finestre del piano attico, corona i quattro fronti dell’apparato, interrotta solo dal rialzato che fa da base ai quattro gruppi statuari corrispondenti ognuno ad un ingresso. Eccezion fatta solo per l’ingresso principale di fronte al San Carlo, laddove, i due livelli sul colonnato presentano le medesime serliane e bifore che animano il fronte interno. In perfetto stile neorinascimentale, con lesene molti più piccole, l’ordine che sta alla base viene ripetuto anche per i livelli superiori all’altezza degli spigoli, dei terminali e del punto di attacco alle logge colonnate sugli arconi di tutti e quattro gli ingressi, con particolare riguardo per lo spazio concreto dinnanzi alla facciata del Teatro San Carlo. Per questo ingresso infatti, l’esedra ed il raddoppio degli arconi e dei loro rispondenti gruppi scultorei hanno dato maggior risalto all’ingresso con spazio concreto, cosa impossibile da attuarsi per gli altri ingressi, dove invece, lo spazio è appena accennato, se non altro, simulato dall’applicazione di piatte lesene. Unico aggiustamento sul fronte del San Carlo è la Relazione di Variante, titolo di un documento di sintesi accompagnato da un notevole fascio di grafici, che spiegava come e perché si dovesse apportare una variazione al progetto di costruzione della Galleria all’incontro tra la chiesa di San Ferdinando di Palazzo ed il fronte sul teatro San Carlo. Fu necessario come si legge anche dai documenti d’archivio, ma anche dalla diffusione massiva fatta ed operata dalle grandi riviste dell’epoca, espropriare parte del palazzo Cirella in luogo di salvare molta buona parte della chiesa San Ferdinando, che altrimenti sarebbe stata allo stesso modo sventrata per ottenere un asse parallelo al fronte del San Carlo.

Il progetto della Galleria Umberto I: gli interni.

Sempre a riguardo dei progetti che portano la firma dell’ingegner Emmanuele Rocco, si osserva l’azione al suo interno di quattro fronti continui tracciare le due arterie ortogonali occorrenti.

  • Questo a conformare i quattro lati pieni dell’ottagono d’imposta della cupola della Galleria. I fronti medesimi sono caratterizzati dalla stessa partitura applicata a quattro livelli d’ordine diversi; il primo, quello inferiore, è sui progetti, disegnato scandito da lesene scanalate, sormontate su di un piano inferiore da una lunga serie di serliane, e su di un successivo piano superiore da una sequenza ininterrotta di bifore. A concludere l’insieme brillante dei tre ordini architettonici, ve ne è un quarto che raccoglie aperture rettangolari sovrastanti ad una cornice decorata. Sui disegni si osserva, all’altezza dell’innesto con le volte vetrate, una fascia muraria arricchita con motivi floreali geometrici, presumibilmente con funzione di accogliere le basi degli arconi metallici oltre ovviamente alla necessità di rendere più estetico l’aggancio. I progetti del Rocco ormai presentavano la Galleria sostanzialmente identica a quella che oggi si osserva sul posto, con tutto l’insieme delle opere messe a programma nel rispetto delle preesistenze, la chiesa di Santa Brigida ed il palazzo Barbaja, San Ferdinando ed il palazzo Cirella, il taglio rettificato del Vico Rotto a San Carlo, laddove a partire dal febbraio del 1889 verrà individuata la costruzione abusiva in luogo della quale, fu ricavato tempo dopo lo spazio occupato dal palazzo Capone ed il Salone Margherita in esso inglobato. Da notare che il braccio Santa Brigida-San Carlo, più corto rispetto all’altro braccio, non è parallelo né a Via Verdi né a Via Toledo, poiché tra i due ingressi, lato San Carlo e lato Via Santa Brigida vi sarebbero dovuti esser due arconi giganti, tra l’altro anche simmetricamente contrapposti tra loro ed entrambi in perfetta prospettiva con la facciata del teatro San Carlo. Mentre invece si nota chiaramente il braccio prendere una direzione baricentrica rispetto alle stesse divergenze delle due vie appena citate. Sulla base proprio della direzione del braccio corto della Galleria, fu determinata anche la rispettiva lunghezza ed i relativo orientamento dell’altro braccio ad esso ortogonale, con gli ingressi dati da Via Toledo-Via Verdi.

La Galleria Umberto I e la cultura neo-rinascimentale.

Le sue vicende storiche riguardano un momento importante dell’economia nazionale italiana in cui convergono tutti insieme complicatissimi meccanismi atti a regolare nel suo tempo lo sviluppo della città napoletana avviata ad nuovo assetto urbano moderno, trattandosi comunque di un esempio di costruzione circoscritta da limiti oggettivi.

  • Fu per tanto consegnata alla borghesia locale come segno di quella realtà produttiva giunta a Napoli tardiva rispetto alla giovane Nazione. La sua costruzione e realizzazione è stata dopotutto il banco di prova delle istanze di questa nuova classe borghese ed il significato degli obiettivi che questa rincorreva in quegli anni, obiettivi più o meno consapevolmente perseguiti ed anche raggiunti, anche se, alla fine, essa stessa, ha registrato il sostanziale fallimento dell’ideologia liberista insinuata nei meccanismi di sviluppo della produzione immobiliare. Come accade per tutto quanto il patrimonio immobiliare di appartenenza alla Società Risanamento di Napoli, anche la Galleria Umberto I rispose pienamente ai criteri di uno sviluppo urbano improntato sullo stile di un edificio a carattere abitativo, in funzione delle modalità indicate per l’impiego dei capitali privati; lo stile proprio di quegli anni che segneranno lo stile di quei palazzi ripeté più e più volte la forme di strutture bloccate a più livelli, cortili chiusi e conformi alla necessità del massimo sfruttamento possibile del lotto di fondazione. Mentre invece le facciate degli edifici spiccavano per la loro massima concentrazione di valori architettonici spesso estratti da stili diversi di epoche diverse e talvolta con sovrapposizione di ordini diversi; ed i quattro blocchi che compongono la galleria presentano proprio le medesime caratteristiche. A prova del carattere scrupoloso tipico della cultura neo-rinascimentale, che dava estrema importanza soprattutto all’elaborazione di precisi programmi da eseguire col massimo sforzo, i lavori della Galleria proseguirono quindi, per tutto il tempo ritenuto necessario, afflitti da numerosi problemi e modifiche che riguardano i dettagli ed i particolari minori, dovendosi questi adattare alla configurazione generale di tutto il complesso. Il pavimento della Galleria Umberto I ne è l’esempio eclatante di quanta forza eclettica potesse esser stata inscritta nel codice dello stile neo-rinascimentale. La convenzione stipulata tra il Municipio di Napoli e l’Impresa dell’Esquilino, siglata a palazzo San Giacomo il 30 dicembre del 1886, contemplava l’uso obbligatario di due tipi di marmo per la pavimentazione: il chiaro ed il grigio. E nell’album delle immagini disegnate apposta dall’ingegner Di Mauro si osserva la prospettiva di un pavimento inquadrato tra ampie specchiature centrali, quadrate e bianche e si osservano riquadri minori anch’essi chiari, disposti in linea su due lati tutti quanti poi con angoli smussati. La configurazione attuale della pavimentazione si presenta con tre file di lucernari per ognuno dei bracci e riccamente decorato per l’aggiunta postuma ai progetti, del marmo Giallo di Siena, accosto agli effetti prodotti dal bianco di Carrara e grigio Bardiglio Nuvolato. L’esecuzione condotta a termine dei lucernari circolari di vetro spesso 3 centimetri, li presenta inscritti in un cerchio di marmo di Carrara, a sua volta sistemato all’interno di un quadrato di marmo Bardiglio ed infine il Giallo di Siena si è prestato per le raffinatezze decorative di tipo astratto per colmare lo spazio vuoto lasciato al centro. Nell’area al di sotto della vasta calotta di copertura, incisi nel marmo vi sono figure ovali e dilatate all’estremo contenente i Venti ed i Segni dello Zodiaco, opera dell’artista Giovanni Diana, medesimo autore delle decorazioni alle pareti dell’abside, ai pilastri ed agli archi della cupola di Santa Brigida, lavori di decorazione, questi, che posero fine alle sollecitazioni ed alle raccomandazioni di tutte le parti interessate ai lavori di sistemazione delle Galleria Umberto I a ridosso della chiesa. L’oroscopo ed i segni dei Venti, furono installati sul posto dalla ditta Padoan di Venezia, erroneamente attribuita, dalla rivista Il Piccolo, alla ditta Robecchi di Capodimonte, alla quale, invero, vanno assegnati i lavori delle ringhiere in ferro dei quattro palazzi.


Spazio note

(1 Per i versi in epigrafe sono di Ugo Carughi, introduzione a La Galleria Umberto 1. : architettura del ferro a Napoli ; prefazione di Giancarlo Alisio. - Sorrento : F. Di Mauro, 1996. - 206 p. : ill. ; 29 cm. Codice SBN RML0061192 ISBN 8885263860 a pagina 11.
(1bis) Galleria Umberto I. architettura del ferro a Napoli di Ugo Carughi prefazione di Giancarlo Alisio, Franco Di Mauro Editore. Il presente volume nasce da una ricerca condotta nell’’ambito dei programmi dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, ISBN-88-85263-86-0 BNN distribuzione 2008D12 La Galleria appartiene all’architettura del ferro. Nel VII Congresso degli Ingegneri e degli Architetti di Palermo, nel 1892, Giuseppe Damiani d’Almeyda, intervenendo sull’Arte Nazionale del Futuro, a proposito del ferro come nuovo materiale di costruzione, ebbe a cuore di asserire che ” …. Il cambiamento della materia non può e non deve influire sull’essenzialità della forma, che deve restare antica ugualmente.
(2) La realizzazione della Galleria Umberto I fu indice di una forte partecipazione del Governo alla ricerca di uno stile architettonico nazionale. R. Jodice L’Architettura del Ferro. L’Italia. 1796-1914, Roma 1985 pagine 43 e seguenti. La sua costruzione capitò in coincidenza di un periodo in cui in Italia si era alla ricerca di uno stile architettonico comune a tutta la penisola, ricerca, questa com’è noto, articolata in dibattiti, saggi e convegni, interessando principalmente il ruolo dell’ingegnere contrapposto a partire da questo periodo alla figura professionale dell’architetto, specie alla sua formazione didattica in luogo della ritrovata nuova dignità espressiva legata alle nuove tecniche del costruire. Ed è appunto a queste esigenze di modernità che vi si affiancarono nel corso di quegli anni anche i meccanismi urbanistici azionati dai piani di lottizzazione e gli espropri.
(3) L’uso pubblico degli spazi della Galleria si richiama esplicitamente all’articolo 40 della legge sul Risanamento di Napoli, 15 Gennaio del 1885, confermato dal Consigliere Nardi nella seduta del Consiglio Comunale 23 agosto 1889, durante la quale, il medesimo affermava che la crociera e le decorazioni esterne alla Galleria potevano ben dirsi non di proprietà privata, per tutto il resto potevasi considerarla privata. A.S.C.N., Atti del Consiglio seduta del 27 agosto 1889 sessione straordinaria, pp 906-921. Il regime della proprietà pubblica di tutto il complesso immobiliare, il calpestio della Galleria, la copertura vetrata, i servizi alla persona nello spazio comune, i fregi e le statue che risultano invece vincolate ipso iure, (a pagina 153 del testo di Ugo Carughi penultimo capoverso), cioè parti integranti di un elemento, e sono quindi di pertinenza comunale, e sono tutti indistintamente vincolati ai sensi dell’articolo 4 Legge 1 giugno 1939, n° 1089. Il quadro di riferimento di interesse culturale secondo le linee guida del MIBAC. La legge medesima.
(4) Seppur in contrasto con le decorazioni, produce, tuttavia, un effetto unico grazie all’adozione di un procedimento esecutivo attuato per nascondere la loro differente natura.
(5) Giancarlo Alisio, Aspetti della cultura architettonica dell’800 a Napoli. Il Risanamento e l’ampliamento della città, in L’architettura, cronache e storia, n° 255 gennaio 1977anno XXI pagina 182
(6) Giannelli, collocando il progetto del fronte principale della Galleria Umberto I a Napoli nel 1885, lo attribuisce al barese Antonio Curri, l’ingegnere nato ad Alberobello, il 9 ottobre del 1848 e morto a Napoli, il 16 novembre del 1916 E. Giannelli, Artisti napoletani viventi, Napoli 1909, a pagina 712. Dieci anni dopo la morte del Curri in occasione del suo memoriale Notarnicola riprende le attribuzioni dell’ingresso principale al Curri; G. Notarnicola, (a cura di) Discorso commemorativo, in AA.VV., ”Antonio Curri. Ricordo della commemorazione del X anniversario della sua morte. Comitato per le onoranze all’architetto Antonio Curri in Alberobello, Bari, 1927, pagina 13. Poi smentito dal Nardinois F. Nardinois, Su e giù per Napoli dopo dieci anni …. , pagina 35, articolo pubblicato dal giornale locale Il Roma della Domenica. Cfr., Dizionario biografico degli Italiani, vol. V. Roma,. 1960 pagg. 469 e segg.
(7) La Galleria Umberto I a Napoli, sarebbe dovuta esser agganciata al teatro San Carlo per mezzo di un condotto sotterraneo. [Sessione ordinaria del Comune di Napoli, in A.S.C.N., Atti della seduta dell’8 luglio del 1893 alle pagine 803 fino a 809.] La costruzione di un tunnel sotterraneo che collegasse la galleria col sottosuolo già cavo del teatro San Carlo fu presto considerata un’opera non utile e per tanto da corrispondersi per ogni suo onere al Municipio di Napoli; giusto un preventivo portò la spesa dello scavo per il tunnel senza intaccare la rete fognaria e rete idrica a 36.000 lire, poi ridimensionata a 30.000 mila lire. Ma il tunnel non fu mai eseguito perchè stralciato dal progetto dei lavori di adeguamento che la Giunta comunale chiedeva all’Impresa Esquilino di Roma su richiesta che essa stessa presentò il 12 maggio 1892 in luogo di vedersi approvato il progetto del nuovo teatro Salone Margherita. A.S.B.I., Fondo Liquidazione Impresa Esquilino, pratiche 81, fasc. 1, 12 maggio del 1892.
(8) L’esposizione universale è un coagulante politico, un’affermazione del principio, un rilancio economico. M. Picone Petrusa Cinquant’anni di esposizioni industriali in Italia. 1861-1911, in AA.VV., Le grandi esposizioni in Italia.
(9) Fu restaurata l’ultima volta nell’agosto del 2014, in seguito alle pressanti sollecitazioni della I Municipalità che ne richiese la messa in sicurezza in risposta al tragico incidente accaduto al giovanissimo Salvatore Giordano, morto a 14 anni, colpito dalla caduta di calcinacci staccatisi dall’alto della facciata di ingresso della Galleria Umberto I lato via Toledo. Suggestive e quanto mai tragiche appaiono alla luce di quell’evento, le considerazioni fatte da Alfonso Miola, cento anni prima, per L’estetica dei nuovi edifici di Napoli, in Napoli Nobilissima, Vol. II, Fascicolo I, Napoli 1893, pagine 14 e 15 sulla quale dichiarerà quanto segue: ” …una nicchia serve a racchiudere una statua ed una finestra serve a far passar luce o che magari qualcuno vi si affacci. Ora, facciamo delle due cose una soltanto e magari costruiamo una nicchia come fosse una finestra, e magari ci adattiamo anche una bella persiana e a far la statua ci mettiamo una bella ragazza che finge di ammirare un panorama. Tutte le membra decorative della Galleria, le cornici, i frontoni, i dentelli ed i fregi hanno una tale sporgenza che sembrano elementi indipendenti dalle mura e sospesi come sono, minacciano continuamente di rovinare sul capo dei passanti, in questo spazio tutto è stato sbagliato: si è dato alle cose accessorie lo stesso valore delle principali, distruggendo la più pallida idea di un tutto armonico., Si aggiunge che il lavoro svolto tra l’altro si proponeva di rimediare all’Estetica municipale di Napoli- Addizione all’estetica del brutto di Rosenkranz, da cui emerge che, l’opera massima di Napoli è piazza del Municipio e le opere minori sono risultate Via di Santa Lucia al Mare ed una costruzione al Borgo dei Marinari sotto Castel dell’Ovo.
(10) Nel panorama culturale di quell’epoca, esasperato dal carattere nazionalistico di quel momento, la Galleria Umberto I a Napoli, fu un ” …. urlata”, con successo architettonico, ottenuto per meglio riferirsi alla cultura neo-rinascimentale, in questo caso, dato dall’espressione forte della sinergia muro-ferro già molto più ingraziata rispetto all’omologo prodotto architettonico milanese. Tuttavia, nonostante l’appoggio trionfalistico della stampa d’allora, in prima fila Il Piccolo, numero di novembre del 1890, la critica ufficiale si mostrò altrimenti contrariata dalla mancata ricerca che la stessa Galleria testimoniava circa il lavoro impostato dai suoi autori. Addirittura, Joseph nella sua Storia dell’Architettura italiana, scrive che, ”la Galleria non mostra né finezza, né originalità dei dettagli, la superiorità dell’impaginato interno alla Galleria milanese è imparagonabile, poiché, a Napoli, la Galleria non ha prodotto che modestamente il motivo palladiano”. Lo stesso Joseph riprende le considerazioni fatte da Hitchcock, definendo la Galleria, un’imitazione di livello secondario e tardivo, e gli elementi della decorazione hanno soverchiato le qualità di stile del vicinissimo teatro San Carlo. J.F. Geist Passagen, En Bautyp des 19. Jahrnunderts , Munchen 1979,l pagina 248
(11) A parte solo l’ingegner Emmanuele Rocco, Giuseppe Fantoni era nativo di Mirabella, provincia di Ferrara, Enrico Deserti era di Bologna, la Società anonima dell’Impresa dell’Esquilino era nata a Roma, e a quel tempo aveva sede a Torino, ed era rappresentata dall’avvocato, Tito Orsini, già senatore del Regno, ed era genovese.
(12) Il Consorzio degli Istituti di Credito fu presentato dal Governatore della Banca Nazionale il 21 dicembre 1887, quando cioè le costruzioni dell’immobile erano già state avviate ed in ottimo stato di avanzamento (A.S.B.I.A.R., Rigano Relazione al fondo liquidazioni-Impresa Esquilino, pagina 6), e quindi, accettata e ratificata dal notaio Frosi il 7 gennaio del 1888. Il consorzio si impegnò a coprire le cambiali dell’Esquilino fino a 36 milioni di lire, con patto di poter raggiungere anche i 42 milioni. Di contro, l’Esquilino offriva come garanzia tutto il suo patrimonio immobiliare.
(13) A.S.B.I., Fondo Liquidazioni Impresa Esuilino, pratiche n° 59, fasc. 1, 22-3-1889
(14) I rapporti che intercorreranno, tra pubblico e privato, tra società appaltanti e Comune di Napoli, per tutta la durata di questa operazione, cioè quella di costruire la Galleria Umberto I a Napoli, seguirà un iter già sperimentato anche con successo in altri lavori destinati all’edilizia pubblica, come ad esempio in tutte le opere costruite in forza delle leggi sul Risanamento della città di Napoli sia quelle del 15 gennaio del 1885, sia quelle del 1904. E quindi, il Municipio di Napoli nella vicenda sulla costruzione dell’immobile della Galleria, non potendo e non volendo sottrarre risorse alla cittadinanza, affidò l’incarico all’unico concessionario che si sarebbe accollato gli oneri per l’esproprio, la gestione dei suoli espropriati e la contestuale ricostruzione dell’apparato immobiliare sui suoli espropriati. A.S.B.I.N., Studio dell’avv. Commendator Michele Rubino, Tribunale Civile di Napoli. Produzione per la Banca d’Italia. L’Impresa dell’Esquilino. L’amm.ne centrale dello Stato. Documenti, vol. II, anno 1919, atto 4°, Scrittura di appalto 16 novembre 1887 tra l’impresa dell’Esquilino ed i Signori Deserti e Fantoni, f.59 r., 59v
(15) L’Impresa Esquilino fu appaltata dagli imprenditori Deserti e Fantoni; in una scrittura privata posti agli atti per la cessione dei rapporti di lavoro dei due imprenditori con l’Esquilino, si evincono dati testimoniali mai confermati ed attribuiti ai due imprenditori circa il loro comportamento non irreprensibile, specie la sottrazione dalla Galleria di risorse umane e materiale edile per ingaggi secondari e cantieri aperti per altri progetti. La sentenza emessa dal tribunale civile di Roma, il 31 dicembre del 1889 chiarisce il merito di un rapporto di lavoro operato in maniera non indefessa, sempre contraddittoria e poco ortodossa nell’assegnazione dei rispettivi ruoli sul cantiere. Nella scrittura privata del 1885, cioè quella depositata in luogo di creare l’accordo tra i due imprenditori e l’Esquilino, il tribunale che provvide a curare il fallimento di questo rapporto, esplicitamente affermò che i termini nei quali si stesse concependo una si tale misura di accordo stessero, gli stessi termini, in realtà, camuffando la vera identità del patto. L’Esquilino si comportava nei confronti dei propri appaltanti come fosse una banca, concedendo prestiti in cambio di garanzie fatte d’ipoteche sui terreni da espropriare e sugli immobili da costruire, con l’obbligo di rilasciare tanti di quei pagherò, quanti ne fossero stati sufficienti a coprire il debito della stessa società sovventrice. La partecipazione agli utili finali nella misura del 25% più un premio senza alcun rischio sulle perdite, furono pertanto gli elementi aggiuntivi dell’accordo che inquinò definitivamente la relazione tra mutuante e mutuatario. Circostanza questa rafforzata dalla concessione municipale del 30 dicembre del 1886. A.S.B.I.N., Atto del 30 dicembre del 1886 Instrumento di concessione stipulato per notar Scotti di Uccio fra il Municipio di Napoli e l’Impresa Esquilino, alla pagina 22 ed ancora: A.SB.I., Fondo Liquidazioni Impresa Esuilino, pratihe numero 17, 31 dicembre 1889 alle pagine 24 e 25.
(16) G. Pepe, I progetti per riordinamento del rione S. Brigida, in B.C.I.A., pagina 130. A.P.G., Bonificamento di S.ta Brigida. Galleria Umberto I. Progetto dell’ingegner Cavaliere Emmanuele Rocco. Relazione. Allegato I; f.3°
(17) A. Cottrau Carte in Tavola in B.C.I.A., numero 22 aprile a pagina 178
(18) Fu costruita con orizzontamenti realizzati secondo la tecnica prevista dai capitolati della Società per il Risanamento di Napoli, in voltine di tufo su travi di ferro a doppio T. A.S.B.I.N., Capitolato per l’esecuzione delle opere necessarie al completamento dell’Isolato del 6 maggio 1895, vedasi anche A. Catalano, Solai in ferro e calcestruzzo in AA.VV., “Manuale … ” Napoli 1993
(19) Questo tipo di sviluppo architettonico non fu mai né copiato né migliorato. L. Mumford, La città nella storia, Cologno Monzese 1976 volume terzo pagina 545. Altre simili opere in Europa furono: la Passage des Panoramas, Parigi 1810, la cupola delle Hales au blè sempre di Parigi del 1811, la Royal Opera Arcade di Londra 1818, la Burlington Arcade Londra 1818-1819, la Passage du Grand Cerf a Parigi 1824-1825, la The Corridor, Bath 1825, la Galerie Véro Dodat, Parigi 1824-1825, la Galerie Vivienne, Parigi 1824-1826, la Galerie Colbert, Parigi 1828 e la Passage de Vendome, Parigi 1827. J. F. Geist, Passagen, Ein Bautyp das 19 Jahrunderst, Munchen, 1979, pagine 129 e seguenti. Nella parte terminale del giardino di Palazzo Reale fu realizzata la Galerie d’Olrléans, nella quale il Giedion ci vide l’antesignana della Galleria Vittorio Emanuele II a Milano. Cfr., S. Giedion Spazio, tempo e architettura. Lo sviluppo di una nuova tradizione, Milano 1975, alle pagine 170-171
(20) Si mostrò fin da subito inadeguata nell’ambiente circostante causa l’uso del nuovo materiale senza alcun punto di saldatura col tessuto circostante, ma soprattutto per la ”ragguardevole diffidenza di re Ferdinando II di BorboneAlfredo Buccaro, 1864. Napoli. Progetto di un “Palazzo per l’Esposizione italiana”, in AA.VV., Le Grandi Esposizioni in Italia. 1861-1911. La competizione culturale in Europa e la ricerca dello stile Nazionale, Quaderni Di n° 6/1988, Napoli 1988 pagina 85; cfr., A. Buccaro, Opere pubbliche e tipologie nel mezzogiorno preunitario, Napoli 1992, pagina 255
(21) È l’unica costruzione napoletana postunitaria a manifestare attraverso l’uso intelligente del materiale di cui essa è composta, l’autonomia figurativa e la maturità ingegneristica raggiunta nell’impiego delle nuove tecnologie della sua epoca.
(22) Questo tipo di costruzione edilizia post unitaria iniziò nel tardo Ottocento e sparì durante i primi anni Dieci del Novecento La passerella rialzata prevista per la corte del palazzo ad angolo di piazza Municipio e via Santa Brigida fu realizzata con telaio Hennebique, su suggerimento dell’ingegner Martorelli, unico a rappresentare nel meridione d’Italia questo tipo di sistema costruttivo, condotto magistralmente col solo uso di tiranti e calcestruzzo armato anche per il Palazzo della Borsa a piazza Bovio. A.S.I.B.N., Lettere di Emmanuele Rocco all’Esquilino del 3 aprile 1895 e del 14 aprile del 1896; ed ancora: A.S.I.B.N., Verbale di prima constatazione per ultimazione di rustico di edificio, 1 luglio 1896
(23) A.S.C.N., tornata del 16 settembre 1869, pagine 219 e 220 ed ancora: Giancarlo Alisio Aspetti della cultura architettonica dell’800 a Napoli: il Risanamento e l’ampliamento della città, in : L’architettura Cronache e Storia, n° 255 gennaio 1977, anno XXI pagine 178 e 179
(24) Francesco Paolo Boubée è stato un collaboratore del cavalier Cottrau assieme alle eminenti figure di Francesco Kossuth, , G. Stamm, L. Montezemolo, P. I . Martorelli, ed S. Panunzi; a partire dal 1875 fu professore della Real Scuola di Applicazione degli Ingegneri di Napoli e dal 1895 membro del consiglio direttivo della scuola industriale Alessandro Volta. A.S.C.N., Tornata del 28 marzo 1895, pagina 302