Culto del Sangue di San Gennaro a Napoli

E’ il Culto del sangue di San Gennaro Martire1(1bis)2  legato al fenomeno della liquefazione della sostanza presente in una delle due ampolline o balsamari, fissate alla doppia teca di un tabernacolo forgiato dall’oreficeria napoletana del Trecento angioino3 assieme al Busto d’Oro contenente le Ossa del Capo.

Esse sono incluse ai pezzi dell’omonimo tesoro, in parte custodito presso la cappella San Gennaro, terza della navata destra del duomo di Napoli.

L’esposizione pubblica degli oggetti di culto, in particolar modo per le Ampolle del Sangue, avviene in tre date ordinarie e fisse dell’anno solare:

  • il 19 settembre, festa di San Gennaro, rosso sul calendario della chiesa locale,
  • il 13 gennaio, poi espunta dal calendario delle feste4,
  • l’8 dicembre giorno dedicato all’Immacolata Concezione anche di questa non se ne celebra più la memoria da secoli,
  • il 16 dicembre
  • ed infine a maggio per la festa dell’Inghirlandata.


Storia e teoria della festa di San Gennaro ed il Miracolo del Sangue.

La festa è legata ad un’espressione di culto, che, a sua volta è legata all’ostensione della teca5, che contiene il Sangue che si scioglie.

  • Sospesa in un primo momento, quest’usanza fu poi ripresa durante l’avvento degli Angioini e comunque, per gli effetti della fenomenologia della liquefazione del Sangue, essa è giunta successiva alla memoria estinta al culto a Sant’Aspreno6(7) e resta come tale, anteriore alle folle, ed avverrebbe secondo i più noti studi mai ufficializzati sia dalla chiesa locale che dalla chiesa di Roma, per simpatia ed antipatia. Fu quindi ufficializzato secondo il memoriale di Gaspare Diano del 1440, con apposito regolamento che indulge, oggi come allora, al meraviglioso e all’edificante ed infine, il fenomeno del miracolo del Sangue di San Gennaro è oggi conosciuto grazie ad un riassunto finale redatto in forza di elementi secondari ed agiografici, estratti dalla fortunata produzione letteraria su questo tema, risalente all’epoca del Concilio di Trento, pur mantenendo intatti i riferimenti ripresi dalla Leggenda Greca8, dagli Atti di Richenau9, dalla Leggenda di Giovanni Diacono10, dagli Atti Puteolani11, dagli Atti Baroniani12, ed infine dagli Atti Bolognesi13. A partire da quella data, la festa di San Gennaro, contestualmente al miracolo dello scioglimento, fu ripresa con culto vivissimo e con toni propri del repertorio iconografico degli artisti Domenichino, Lanfranco e Luca Giordano, i quali, contribuirono molto ad aggiungere ulteriori elementi alieni alle sue origini, fecondandolo di principi seducenti e misteriosi, sufficienti abbastanza per installarlo nelle tradizioni popolari e devozionali, e non ultimo ”guastata” dalle aggiunte del sacerdote Davide Romeo14 e del vescovo di Vico Equense Paolo Regio15.


Spazio note

(1) Liberamente estratto da: La *cappella del tesoro di San Gennaro / testi di Ugo Dovere ; fotografie di Luciano Pedicini. - Napoli : Arcidiocesi di Napoli ; Milano : F. Motta, 2003. - 77 p. : ill. ; 21 cm. ((In cop. e sul dorso: Guida d'arte. Codice SBN UMC0535506 Autore secondario Pedicini, Luciano. Altri contributi da: Il *miracolo di S. Gennaro : documentazione storica e scientifica / del prof. Giovanni Battista Alfano e dott. Antonio Amitrano ; con bibliografia redatta dal prof. Giovanni Battista Alfano e dal P. Antonio Bellucci. – Napoli : tip. D. di Gennaro, 1924. – 309 p. : tav. ; 21 cm . Autore secondario Bellucci, Antonio BNN Distribuzione Vecchi Fondi XXXIII H 38*
(1bis) Non deve stupire se nella dissertazione sugli usi liturgici della Settimana della Passione mai troverà posto il ricordo "...alla liquefazione del Sangue di San Gennaro" arricchitosi di ulteriori elementi liturgici solo sotto il Regno angioino che lo sceglierà tra i tanti il principale patrono della Capitale del Regno.
(2) Il culto del Sangue di San Gennaro a Napoli era già oltreché diffuso radicato dal XIII secolo; a testimonianza si ricorda la tanto citata lettera scritta a Viterbo datata 5 gennaio del 1268 con la quale venne stabilita la Liquefazione del sangue di San Gennaro come festa liturgica da Clemente IV che tra l'altro nello scritto medesimo, il pontefice, oltre all'evidente confusione che fa sulla doppia dedicazione del Santo all'omonima Cappella con la basilica scomparsa della Stefania spazio sacro inferiore alla Basilica, ancor oggi esistente di Santa Restituta, interrogandosi, appunto, sulla chiesa di San Gennaro Extramoenia, rimanda le festività solenni all'8 maggio di tutti gli anni. E cioè quando all'arcivescovo venne dato comodo di incaricare un preposto scelto forse tra gli Ebdomadari di prendere per il capo la festa pubblica e trascinar con devozione il Corpo del Santo Gennaro coperto di Panni regali, con possibilità di scegliere in quale tra le chiese dei Santi Apostoli sulla via per Santa Sofia, la chiesa di San Paolo Maggiore ai Tribunali, la chiesa di Sant'Andrea a Nilo a Spaccanapoli, la chiesa di Santa Maria Maggiore, Santa Maria alla Rotonda o Santa Maria La Piazza a Forcella dovesse esser riposto il protome.[CHIOCCARELLI, Antistitum præclarissimæ Neapolitanæ ecclesiæ cataloguscit., p. 172; PARASCANDOLO, Memorie, cit., III, pp. 191-192.]
(3) Il reliquiario argenteo di Carlo II, del 1304- 1305, con in dosso i panni dorati donati da re Roberto, nel 1318, e da papa Giovanni XXII veniva comunemente riportato in Cattedrale durante la processione detta dell'Inghirlandata. [AMBRASI, La vita religiosa, cit., pp. 547-548][Processione festosa abbondante degli elementi evocativi dell'antichissima traslazione dei resti mortali di San Gennaro dall'Agro Marciano, che nel Kalendarium marmoreum è ricordata al 13 aprile. Popolarmente messa in intima connessione col «rodismo», la festa pagano-cristiana dei rosalia, considerandola diversamente come evocativa delle traslazioni delle reliquie dei Santi Martiri. Altri studi rilanciano ipotesi una delle quali poi la prima in vista è che la Inghirlandata sarebbe la festa sacra incapsulata su quel che restava della festa pagana di Calendimaggio, più o meno ciò che accadeva all'abbazia di S. Maria di Materdomini il 1° maggio, almeno fino a quando all'abate vennero concessi poteri baronali anche sulle vestigia delle feste dei maji; anche a Salerno il 5 maggio con i colubri rosarum, ovvero la festa dei Fiori e delle Rose al duomo di Salerno: cfr. Ibidem, p. 548.] La prima notizia certa sulla Liquefazione del Sangue di San Gennaro è datata 1389 con riferimento del 1390 anno in cui è attestato ufficialmente che il Canonico cimiliarca vicario dell'arcivescovo Guglielmo ordinò al bravo ed umile e santo uomo Berardino Saxonio di reggere le sorti della Cappella del Tesoro Vecchio tra i quali suoi valori anche le ampolle del Sangue; prima d'allora del fenomeno sulla Liquefazione non ve ne resterà traccia alcuna e anzi è certo che chi si occuperà di recensire le varie raffinatezze sulle processioni specie quelle che in un qualche modo erano legate ad un rito sacro disperse dentro le mura della Città non tratterà mai della reliquia di San Gennaro ove il Sangue è contenuto. [PARASCANDOLO, Memorie, cit., III, nota 3 pp. 132-133. MÜLLER, L archivio Capitolare di Napoli cit., II, Appendice, pp.280-282.] Il culmine del culto al Sangue di San Gennaro a Napoli è stato raggiunto negli anni quaranta del Quattrocento, con la chiesa locale retta dall'arcivescovo Gaspare de Diano (1438-1451) il quale ha aggiunto alla costituzione Orsini l'obbligo della recita in colletta dell'«almo Padre Gennaro» durante la celebrazione liturgica con prescrizione di recitar nuovamente messa ogni sabato subito dopo il Sant'Ufficio.
(4) Prima ancora delle festività del 16 dicembre, dal 1498 e fino al 1646, si celebrava ogni 13 gennaio l’anniversario corrispondente della quarta traslazione delle Ossa di San Gennaro dal monastero di Santa Maria di Montevergine all’apice del monte presso l’attuale circoscrizione comunale di Mercogliano in Avellino. Le celebrazioni solenni per quest’arco temporale purtroppo non sono suffragate dai diari, assenti, forse mai scritti oppure redatti non nella necessaria quiete di una festa liturgica da sempre non voluta, perché, anche questo non ha alcuna fonte, sospetta di custodire e tramandare in sequenza nuclei di conoscenza scientifica estratti da studi di anatomia umana definiti ”gnostici”. Fu soppressa dal calendario liturgico definitivamente nel 1647, anche se in effetti già dal 1633 non la ci celebrava più come si evince dall’Ordinario di quel secolo in possesso alla Biblioteca dei Girolomini. La si celebrava nell’ottava dell’Epifania fino al 1527 in occasione del voto fatto al Santo di erigere la nuova cappella del Tesoro per lo scampato pericolo circa la peste di quel secolo. Fu poi spostata dal cardinal Decio Carafa al 14 gennaio nel 1542, ed infine, l’unico gravissimo fatto legato alla teca delle ampolle è riportato proprio in data 13 gennaio del 1557, quando la teca scappò di mano al commendatario arcivescovo, presagio funesto, anche se, fortunatamente non riportò danni materiali alla teca.
(5) Antichissimo retaggio delle consuetudini della chiesa africana dell’era paleocristiana, formula liturgica che caratterizza l'identità religiosa del popolo che conserva il sangue assieme alle Ossa del Santo.
(6) Essa sostituisce la pratica ossequiosa tanto cara ai Carafa, da parte del popolo napoletano di rivolgersi alla Testa di San Luca, dono di Carlo II d'Angiò, custodita alla chiesa di Sant'Agostino alla Zecca a Forcella, considerata indubbiamente di grande prestigio storico e taumaturgico, appresso all'adorato documento di miracolo lasciato all’ufficio di culto cattolico del Cristo che parlò a San Tommaso nel cappellone del Crocifisso a San Domenico Maggiore a Spaccanapoli.
(7) Il rito del sangue di San Gennaro è assente, nella Cronaca di Partenope, nella Bolla di Giovanni XXII del 1331, nelle Costituzioni Orsiniane [ma tuttavia collocato nel pieno della grave crisi politica attraversata dal Regno di Napoli all'indomani della morte di Giovanna I nel conflitto scatenatosi per i pretendenti al trono tra i durazzechi e gli Agioini[San Gennaro nel 17. centenario del martirio (305-2005): Atti del Convegno Internazionale, Napoli settembre 2005, a cura di Gennaro Luongo, Napoli 2007, 342 p.336]
(8) Dicasi Leggenda Greca, un manoscritto del Cinquecento, redatto per ordine del vescovo Stefano I, dalle mani dirette di Emanuele, monaco basiliano del monastero Craterense del Lido di Napoli; letteralmente copiato nel 1445 dal basiliano Gregorio, finì nella biblioteca delle monache di San Marcellino e Festo. Fu rinvenuto da Nicolò Carminio Falcone nel 1708 presso uno studium> di un religioso della comunità dei Padri della Redenzione dei Captivi, a sua volta, confessato che lo avrebbe avuto da un confratello rimasto ignoto, miniaturista alla corte degli Orsini di Roma. La copia ritrovata, identica all’originale, fu ricopiata ulteriormente ed inviata alla Biblioteca di Montecassino al tomo II del 1875. L’originale si disse, un giorno venne smarrito, poi, miracolosamente ritrovato presso un rivenditore dall’avvocato Adolfo Parascandolo che provvide a salvaguardarlo restituendolo a suo dire alla Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria presso la sede del Maschio Angioino a piazza Municipio. Già ampiamente nota anche al Camillo Tutini nel 1633, e nonostante il parere universale dei Bollantisti che la dichiararono una storia falsa, una sorta di testimonianza favolosa, appoggiata anche dal Franchi dei Cavalieri, fu comunque pubblicata e difesa dallo Scherillo.
(9) Trattasi di un manoscritto che si trova nella Badia di Richenau, nella Svizzera Renana. Ritenuto dell’XI secolo, il Lupoli presso il De Meo, tuttavia riferisce che si tratterebbe della copia interpolata dell’originale dato alle stampe una prima volta col titolo di Acta S. Sosii, Festi, Eutichetis et Acutii. In: De Meo Annali critici e diplomatici del Regno di Napoli, Napoli, De Bonis, 1719 Anno 871; cfr, Domenico Ambrasi Le reliquie del Santo Patrono a Reichenau, in Bollettino Ecclesiatico a Napoli, XLV, novembre 1964 pagg 214-217; S. Gennaro a Reichenau in L'Immacolata bollettino della Basilica del Gesù Vecchio di Napoli, Napoli settembre del 1970 pagg 5-9; Reichenau e S. Gennaro, in Ianuarius rivista diocesana di Napoli agosto-settembre 1972 pagg 454-463. Ciò è parte della nota 13 a pagina 36 di: L’antichissima chiesa di S. Gennariello (Piccola Pompei al Vomero) Eugenio D’Acunti, edizioni Luce Serafica, Napoli 1978 1957929 BNN distribuzione Misc. B bA 817/1
(10) È la leggenda scritta da Giovanni Diacono tra il IX e X secolo d.C., che la nominò: Acta S. Sosii, per ordine di S. Stefano III, vescovo della città di Napoli, per trattare la vita di santità di San Sossio, attingendo a fonti pregresse tipo gli Atti Bolognesi, le fonti di Pozzuoli e quelle del Vaticano ed altro materiale andato perduto. Scherillo le pubblica per la prima volta e Stiltin le cita anche in Acta Sanctorum. Sept. Vol. VI, pag. 760, 824 e seguenti.
(11) Sono gli Atti di Pozzuoli , posteriori al IX secolo, anche se molto probabilmente una prosecuzione di storie letterali già ampiamente diffuse e molto più antiche. Gli Atti sono in custodia presso l’Archivio della chiesa di San Gennaro alla Solfatara di Pozzuoli. Si presentano un forma di manoscritto, pubblicati la prima volta dai Bollantisti nel Tomo VI di settembre (Addenda ai XIX sept.) che l’ebbero dall’intellettuale napoletano Antonio Beatillo. Molto più particolarmente furono scritti per commentare la vita cristiana di San Procolo e per questo spesso sono ricordati col loro nome autentico: Acta S. Proculi
(12) Il manoscritto degli Atti Vaticani si trova presso al Biblioteca Vaticana. Sono antichissimi, molto probabilmente lo sono meno degli Atti Bolognesi; scritti in greco e latino inizialmente furono scritti solo in greco per commemorare le vicende particolari del vescovo Gennaro di Napoli, afflitto dall’eresia e dalla persecuzione romana in tempore diocletiani. Vennero pubblicati una prima volta da Baronio e per questo sono anche detti Atti Baroniani e sono l’unica base letteraria esistente per le Lezioni per l’Ufficio di culto a Napoli e Benevento. Dagli Atti vaticani hanno assunto propria sostanza anche pressocchè tutte le altre leggende sullo spirito del Sangue di San Gennaro, a partire dalla Leggenda della Valle di Rubea, pubblicata da Stilting e la La Leggenda di Anversa ed anche la leggenda Homilia Eccl. Neapoli, anteriore al IX secolo e che ha per incipit, ad gloriam laudemque … (Caracciolo A. Monum. Ecc. Neap. Neapoli, Beltrami, 1645, pagina 276.) Dagli Atti Vaticani sarebbero quindi scaturiti i capitoli per il Martirologio di Baronio. A Napoli alla Biblioteca Brancacciana ne esiste una copia trascritta originale del X secolo, un’altra a Montecassino presso i Cistercensi, ancora un’altra ad Anversa ed infine una copia anche a Rubea di Valle.
(13) Esiste un manoscritto che ha per titolo Vita Sancti Januari, presso la biblioteca dei Celestini di Santo Stefano a Bologna, copiato dal miniaturista Landolfo nel 1280 e fortuitamente ritrovato solo nel 1744, furono pubblicati assieme ad altro materiale dallo Scherillo (Scherillo Giovanni Esame di un codice greco pubblicato nel tomo secondo della Biblioteca Casinensis. Napoli, tipografa della regia Università del 1876). Il testo è conosciuto col nome di Atti Bolognesi, posteriori del VI secolo. (Franchi dei Cavalieri P. San Gennaro Vescovo e Martire note agiografiche: fascicolo 4°. Studi e testi 24, Roma, Tipografia Poliglotta pubblicazione del 1912 dalle pagini 79 a 101). Raccontano della carcerazione e decollazione di San Gennaro. Sono ritenuti quelli più attendibili perché più antichi e semplici nella loro costituzione di tipo agiografico, salvo le sole note contraddittorie di Stilting (Stilting J. Acta SS Januari etc., Antuerpiae, Vander, 1757) e Sabbatini (Sabbatini L. Il vetusto calendario marmoreo, Napoli, 1747). Gli Atti, tradotti dal greco al latino, mai pubblicati in italiano volgare, furono sottoposti a giudizio da Mazzocchi (Mazzocchi A. Actorum Bononiensum S. Januari et soc. Vindiciae repetitae. Neapoli, Raymondi 1759) che ne ricavò analoga sostanza letteraria dei capitoli del Martirioogio del Beda relativa all’arco temporale dal 19 a 23 settembre. Da Beda copiarono Rabano, Adone, Usuardo e Notkero. Gli Atti furono scritti molto particolarmente per narrare la vita di San Sossio, uno dei compagni di San Gennaro, e di questo compagno e della sua vita apostolica tormentata dall’eresia e dalla persecuzione romana, la minuta descrizione della sua vita cristiana, che appare per tutti i primi capitoli degli Atti, in realtà sostituisce parte della leggenda di san Gennaro andata perduta per sempre.
(14) Dauidis Romaei *Septem Diui custodes ac Oraesudes vrbis Neapolis his adscripti sunt Thomas Aquinus Franciscus Paulanus et quinque diui custodes vrbis Surrenti. - Neapolis, 1577. - [24], 421, [3] p. ; 8°. ((A carta Q1, altro frontespizio: Dauidis Roamei Quinque diui custodes ac praesides vrbis Surrenti, Neap. : apud Iosephum Cacchium, 1577. - Cors. : rom. - Segn.:πA⁸ πB⁴ A-2D⁸. - Vignetta xil. (annunciazione) sul front. - Iniziali e frontalini incisi. - Esiste altra emissione, parzialmente ricomposta, con il primo frontespizio datato 1571 Codice SBN NAPE036679 BNN SALA FARN. 50. B 73
(15) Le *cinquecentine di Vico Equense durante l'episcopato di Paolo Regio (1583-1607) / Salvatore Ferraro. - [S. l.] : Laveglia, 2004. - P. 275-300 : ill. ; 22 cm. ((Estr. da: Rassegna storica salernitana, 42, XXI, 2, dicembre 2004 Codice SBN NAP0330325 Cfr *Della historia catholica di monsig. P. Regio Vescovo di Vico Equense, libro primo et secondo. Ne' quali si contengono, con le vite di S. Clemente Papa, et di S. Luca Vangelisata, i gesti di S. Petro et d. Paolo et le vite di S. Andrea, di S. Matteo, di S. Bartolomeo, et di S. Tomaso apostoli, con molte altre cose notabili avenute in diverse parti del mondo ne miracoli et nelle inventioni delle sacre reliqie di quelli. - In Vico Equense : appresso G. Cacchii, 1588. - [5], 128 c. ; fol. Codice SBN LIAN008594