Palazzo Orsini di Gravina Napoli

E’ uno dei palazzi del centro storico di Napoli1, secondo il professor, Giancarlo Alisio, uno dei più significativi del Rinascimento italiano con qualche eccezione per il termine adottato di Rinascimento1bis.

Oggi è una delle sedi universitarie della città antica, ai limiti del quartier San Lorenzo, sul confine dell’area di nuova fondazione del rione San Giuseppe-Carità, e dal 1935 centralizzata alla sede del Rettifilo.

Si presenta con attacco a terra della facciata principale, che è quella prospisciente via Monteoliveto, parzialmente alterata, con ampia cornice in piperno modanata che fa da basamento, risultando perciò interrata nel marciapiede antistante, in asse nel suo punto più alto con la chiesa di Sant’Anna dei Lombardi.

L’edificio fu fondato per volere di Ferdinando Orsini tra il 1513 ed il 15491ter ed espropriato dalle ricchezze del conte dei Camaldoli per pubblica utilità dal governo napoletano del 18491quater .
Ha la scala a tre rampe, sviluppata attorno ad un invaso centrale, rivestita in marmo ”lumachella”, portata fino al terzo piano dagli architetti Genovesi e Lopez, i quali, hanno, come per lo stesso Palazzo Reale a piazza del Plebiscito, dato forma ed immagine definitiva al complesso, e cioé, una ”bellissima fabbrica imperfetta”2 con quattro facciate3, di cui, una prospisciente via Monteoliveto di fronte al palazzo Valletta ed un cortile a cui mancò fino a tutto il Settecento il quarto lato, quello cioè a ridosso del lato occidentale dei giardini del Chiostro maiolicato di Santa Chiara.


Il palazzo Orsini di Gravina e le vicende legate a Mario Gioffredo.

Il lato mancante è stato poi aggiunto solo nell’Ottocento assieme al portale marmoreo della facciata, eseguito dal marmoraro napoletano Luva nel 1766 ma inizialmente progettato dall’architetto Mario Gioffredo.

  • Questo artista, ricordiamolo, fu ostracizzato dalla nobiltà napoletana dopo l’incidente al palazzo Casacalende in piazzetta San Domenico Maggiore a Spaccanapoli. Tuttavia, incassò maggior successo nei lavori di sistemazione del palazzo Latilla a Pontecorvo e parte del monastero di Santa Maria della Provvidenza ai Miracoli ed il Complesso dello Spirito Santo a via Toledo. Dopotutto i lavori svolti dal Gioffredo, anche nel caso del palazzo Orsini di Gravina, sono rappresentativi della sua programmatica resistenza all’architettura gusto barocco e rococò napoletano, contro le polemiche pressanti dei neocartesiani Galiani ed Intieri, nostalgici delle preesistenze architettoniche in città e degli impaginati classici di facciata, come nel caso dell’eccellente lavoro svolto per la fortunatissima facciata della chiesa del Gesù Nuovo di Napoli.

La storia delle destinazini d'uso del palazzo.

Il palazzo dalle sue orgini e fondazioni ai giorni della sua utlima destinazione d'uso, ha cambiato diverse volte ingaggio e interessamenti.

  • La residenza appartenuta alla famiglia Orsini, nobili del Regno, un cui componente verrà eletto papa nel 1724 col nome di Benedetto XIII, verrà sottoposta a restauri condotti via a via tra l’Ottocento e la prima metà del Novecento trasformandola da residenza napoletana di nobile rango in un ”casamento d’affitto”, poi acquistata dal governo dei Borbone che ne farà sede delle Regie Poste prima di collocarle al palazzo Grottolella nell’area di Via Santa Brigida. Poi verrà utilizzato per farci gli uffici dell’amministrazione del Registro, del Bollo e delle Finanze prima che questa occupasse il vecchio monastero di San Pietro Martire all’imbocco su Mezzocannone. Al secondo piano si ricordano ospitati gli uffici dell’Amministrazione Generale delle Acque e delle Strade, la Scuola di Applicazione degli Ingegneri ed il Dipartimento delle Acque e delle Foreste.

Il palazzo Orsini di Gravina e l'interessamento di Luigi Vanvitelli.

Il portale in marmo è l’unico elemento essenziale della prima autentica e sostanziale trasformazione dell’immobile aristocratico progettato dal Gioffredo.

  • Marmo bianco, in contrasto figurativo con le bugne basamentali in grigio piperno vesuviano, con colonne scanalate poggianti su dadi e sormontate da triglifi che reggono una trabeazione neoclassica impostata al di sotto della fascia marmorea che conteneva l’originaria iscrizione in latino violata dalla folle idea dal conte Ricciardi di trasformare l’edifico in una specie di ”residence”. In tema poi di interventi e sulla delicatezza di restaurare impianti già esistenti e pregevoli oltremodo, nel caso del Palazzo Orsini di Napoli vi fu anche l’interessamento mai condotto a termine del nemico giurato di Mario Gioffredo: Luigi Vanvitelli. Il maestro Vanvitelli accolse favorevole l’invito del cardinal Orsini per un ragguaglio sulla statica del Palazzo di famiglia a Monteoliveto, ma come solitamente gli veniva spontaneo, il maestro, colse quell’occasione di un operare tecnico in una propizia condizione di ripensare al palazzo riprogettandolo. Scrisse con un uno schizzo allegato alla lettera che la sua soluzione sarebbe stata ”savia, sicura, di poca spesa e di molta bellezza per un cortile di nobile schiatta in luogo di quel che invece sembrava esser piuttosto un portico per i Frati.”4. E sulla scorta dei successi ottenuti per il palazzo Reale, si fissò per la chiusura alternata delle arcate del portico del cortile di Palazzo Orsini a costo anche di alterare del tutto la spazialità originaria pensata, disegnata e tradotta in pratica da quel Gioffredo, di cui Vanvitelli, molto ne farà presente nelle lettere spedite al fratello Urbano, e nelle quali si lagnava dei pasticci che questo andava combinando in giro per Napoli, lagnandosi pure dello stesso cardinal Orsini che comunque gli dava retta e che per questo non si sarebbe mai aspettato di ottenerne in cambio qualcosa.

Il palazzo Orsini e la ritrasformazione statica secondo le impostazioni del Genovesi.

In un’incisione di Camillo Napoleone Sasso, il Palazzo Orsini di Gravina è ritratto secondo la nuova veste progettata ed eseguita da Nicola D’Apuzzo su importante decisione presa dal conte Giulio Ricciardi Orsini che l’ha preso in eredità da uno zio.

  • L’arditezza di trarne il massimo profitto avviando l’adeguamento funzionale dello stabile di via Monteoliveto, comportò l’apertura di botteghe nella parte basamentale bugnata e la realizzazione di un secondo ordine di vani-finestre a trabeazione rettilinea al piano nobile sostituendo gli oculi elaborati e decorati a fastigio contenenti i busti marmorei. Compiuti i lavori nel 1848 lo stesso Palazzo fu coinvolto nei moti rivoluzionari di quel secolo e profondamente danneggiato da un incendio scoppiato il 15 maggio di quello stesso anno. Gaetano Genovesi ispettore dei Corpi di Ponti e di Strade venne incaricato di restituire al palazzo Gravina la dignità storica perduta nel processo di trasformazione avviata dal conte Ricciardi in dovere delle sue istruzioni impartite sulla proprietà di via Monteoliveto, percepita come patrimonio della memoria collettiva distrutta da un’architettura in questo caso non affatto contemplativa del gusto e del bello. In quegli anni quindi col valido contributo di Lopez Suarez, con ampie operazioni dette di cuci e scuci, forti dell’esperienza maturata sul territorio, per quanto riguarda l’architetto Genovesi, si ricordano i successi ottenuti per la frammentarietà del palazzo Reale a piazza del Plebiscito ed il palazzo Buono a via Toledo, rifaranno il tetto del palazzo Orsini di Gravina a capriate lignee in travi di Venezia, rivestito completamente in tegole di laterizio e la definizione dello spazio dell’attuale corte quadrata con l’aggiunta di un nuovo modulo edilizio costituito dal doppio porticato di lava basaltica.  Su incarico del Genio Civile, nel 1916, Camillo Guerra attiverà l’ampia opera di sottofondazione che in tempi diversi si completerà ai primi anni del Novecento.


Spazio note

(1) [Liberamente estratto da: Restauro, ripristino, riuso : il palazzo Orsini di Gravina a Napoli 1830-1936 / Renata Picone ; con una presentazione di Stella Casiello. - Napoli : Clean, [2008]. - 119 p.: ill. ; 21x23 cm. Sez. Nap BNN Settimo B 232]. Cfr: Giuseppe Ceci, Il Palazzo Gravina , in “Napoli Nobissima” Vol. VI , Fasc. I e Fasc. II gennaio-febbraio 1897, p. 26.Il primo contributo monografico attendibile sul tema della costruzione del palazzo in linea con gli andamenti filologici dei suoi tempi è stato Ceci che ricorda la fine dei lavori di costruzione del palazzo Gravina compresa tra due date: la prima è quella del completamento del suo tetto, data 1549 data dal Filangieri; la seconda è quella che stabilisce l'avvio dei lavori del cantiere, data 1513, portata alla ricerca dal professor Alisio e da questi, ”fortunatamente” ritrovata nelle carte del fondo Monasteri Soppressi. (Archivio di Stato, Carte dei Monasteri soppressi, Vol. 2699.) Precisamente, scrive il Ceci, il palazzo Orsini occupa lo spazio antico del giardino, forse, il Biancomangiare di Santa Chiara, dato in censo proprio dalle Clarisse per centoventitrè ducati a don Ferdinando Orsini duca di Gravina. Giuseppe Ceci, Il Palazzo Gravina , in “Napoli Nobissima” Vol. VI , Fasc. I e Fasc. II gennaio-febbraio 1897, p. 26.
(1bis) Integralmente si riporta su questa scheda la nota lasciata dal professor Giancarlo Alisio sul suo documento di ricerca relativo alle sedi universitarie napoletane. " ... Adotto il temine “Rinascimento” nell’accezione convenzionale di tale categoria storiografica, benché consapevole degli esiti problematici di alcune rigorose ricerche che hanno messo in dubbio la possibilità stessa di definire i lineamenti di tale “stile”. Valga per tutte quella sorta di testamento spirituale rappresentato dal volume di Manfredo Tafuri, Ricerca del Rinascimento, Einaudi , Torino 1992. La bibliografia sul Rinascimento a Napoli è d’altronde molto vasta. Per inquadrare la costruzione del Palazzo Gravina nel più ampio spazio storico nel quale si colloca, mi limito a segnalare gli studi di Roberto Pane, che includono peraltro pagine non trascurabili sull’opera in esame : Roberto Pane, L’Architettura del Rinascimento in Napoli , Epsa, Napoli 1937 (in particolare pp. ??????????); Id., Il Rinascimento nell’Italia meridionale, Edizioni di Comunità, Milano 1977 (in particolare pp. 249-53).
(1ter) La data riportata sostanzialmente rettifica quanto ebbe riportato invece Jacob Burckardt, che nel suo Cicerone indicava la data di fondazione del palazzo ancor prima della fine del XV secolo ” … il cui ordine antico - scrive - era della più grande bellezza”. Jacob Burckardt, Cicerone. Guida al godimento dell’opera d’arte italiana, Firenze 1855, p. 218.
(1quater) (Umberto Chierici, Il Palazzo Gravina, in “Napoli Rivista Municipale”, Anno 62°, nn 9 – 10, settembre- ottobre 1936, pp. 63-68. Cfr: Roberto Pane, Il Palazzo Orsini di Gravina e la Facoltà di Architettura, in “Bollettino dell’Università degli Studi di Napoli”, Anno VI , n 3, 1955-56, pp. 79-84. Tra i più recenti contributi, oltre all’agile ma colta sintesi da Anna Andreucci, Il Palazzo Orsini di Gravina in Napoli, in “Palazzo Gravina Notiziario della Facoltà di Architettura”, n 1, 1998 , pp 1-4, si veda il pamplhet monografico di Giovanna Loggia, Il Palazzo Orsini di Gravina in Napoli, Fratelli Fiorentino, Napoli 1997 (con documentati riferimenti di archivio e ampia bibliografia sul tema). 257
(2) [B. De Dominici Vite de' Pittori, scultori ed architetti napolitani, Napoli 1743, tomo II Vita di Novello San Lucano architetto pp 68-69]
(3) [Su quelle minori rimaste incompiute verranno prolungati i trattamenti a bugnato, riproponendo mimeticamente gli spartiti cinquecenteschi e sulla facciata postica su vico dei Carrozzieri verrà riproposto il piano di disegno architettonico degli altri tre schemi.]
(4) [Lettere di Luigi Vanvitelli della Biblioteca Palatina di Caserta a cura di Franco Strazzullo, Galatina del 1976-1977 nota 39 alla lettera del 30 ottobre del 1761]