Palazzo Penne ai Banchi Nuovi Napoli

E’ uno dei palazzi della sezione Porto di Napoli1, periziato il 3 dicembre del 1741 da Domenico Antonio Vaccaro e conosciuto come il palazzo di Antonio di Penne, personaggio storico, rappresentante della colta borghesia forense alla corte di re Ladislao, il re di Napoli di cui oggi se ne ammira il suo sepolcro nella chiesa di San Giovanni a Carbonara.

Antonio Penne fu dunque suo segretario e consigliere particolare, nonché fedele sostenitore dell’assoluta primaria funzione dell’esercizio dello Stato sulle pretese dei feudatari.

Dal carattere imperioso, costui da un provinciale delle sperdute terre d’Abruzzo quale fu giunse al fianco del sovrano angioino a Napoli, relegandosi anche dopo morte uno spazio privilegiato esclusivo della nobiltà dell’epoca al punto da erigervi un monumento funebre in suo onore nella seconda cappella a destra della basilica aulare di Santa Chiara a Spaccanapoli.

Il palazzo Penne è aperto con facciata bugnata in piazzetta Teodoro Monticelli, tra le vie Banchi Nuovi e l’Ecce Homo, in quell’angusto angiporto che immette alla lunga e stretta Scalea del Pennino del Sedile di Porto.


Il palazzo Penne e la lunga serie di vendite e compravendite.

Il sagrato di gusto purista di questo palazzo, protetto da un cancello, venne fuso nel 1860 con la chiesa accosta al palazzo dei Santi Demetrio e Bonifacio dei Chierici Regolari Somaschi, successivi proprietari del palazzo medesimo oltre che autori della sua totale trasformazione.

  • Dato agli eredi Fabrizio, Giovanni Sorgente e Giuseppe Giuliano Sapino di Penne, costoro lo vendettero alla famiglia Rocco del Sedile di Montagna e nel 1558 Aloisa Scannapieco sposa di Marcantonio Capano dona il palazzo al figlio Giovan Geronimo come suo personale regalo di nozze con Lucrezia di Sangro e dal quale matrimonio contratto in seconde nozze avranno, Carlo loro figlio. Ma nel 1662, nell’apprezzo del palazzo da parte del tavolario Gallarano, si sa che il primo figlio di Giovan Geronimo, tale Giuseppe, rivendicherà, il diritto di primogenitura reclamando legittima successione sul manufatto napoletano. La lite aperta sul possesso del palazzo tra i due fratellastri nel 1685 darà occasione a molti creditori di famiglia di averla vinta cedendolo in quietanza dei debiti sommati ai padri Comaschi che l’acquistarono col diritto di poterlo trasformare seconda delle proprie esigenze. Per la storia del palazzo Penne venne dato incarico ad un architetto di progettare su uno spazio solo in parte piano ed in parte in declivio pendente sul dislivello, che poi verrà detto declivio di Santa Barbara2, un grande muraglione di contenimento che di per sé è già un’opera di architettura.

Gli anni della fondazione e la protezione di re Ladislao.

Di quel che resta del palazzo Penne prima dell’acquisto dell’immobile da parte dei Somaschi è il sovrapporsi di interessi ed aspetti formali ampiamente descritti nell’elegante e raffinato gotico fiorito della facciata.

  • La facciata infatti fu progettata per prima e fu l'ultima cosa del palazzo ad esser finita, a differenza dell’impostazione romanica nei poderosi archi che s’ammirano nel cortile coperto assai simile a quelli che verranno costruiti mezzo secolo dopo nel palazzo Carafa di Maddaloni ed in Castelnuovo. Il palazzo, così come si legge sulla lapide di facciata, una lapide dominata da arco ribassato detto a giogo modellata in Portanova rosato e marmo bianco, c'è scritto quindi che fu fondato nel ventesimo anno di regno di re Ladislao di Durazzo corrispondente al 14063. La dedica forma un solo blocco con lo stemma di casa D’Angiò-Durazzo e la concessione del sovrano di fregiare il palazzo con le armi ed i simboli della sua casata ne significò l’incondizionata protezione. La facciata in generale colpisce per il grigio scuro del bugnato pipernoide alternata al giallastro della ”pietra dolce del monte” anche detta tufo piperino e più precisamente Trachite, la pietra di dolce estrazione, peculiare dei giacimenti tufacei dei Campi Flegrei e solo in questo caso cavata dalla zona alta del Borgo di Chiaia, al Rione Amedeo.

Gli studi sulle attribuzioni del palazzo e la magnificenza della facciata. 

Si evidenziano, sempre sulla facciata, in una cornice ricavata dai pianetti, due Scudi con tre Penne, simbolo di casata sovrastati dai Gigli angioini disposti in sette file.

  • Esiste al centro dell’arco una figurazione difficile da interpretare: si nota un gruppo di nuvole in forma di petali di rose attraversate da raggi di luce e due mani spuntate a reggere nastri che si sviluppano lungo tutto l’arco; la presenza di tutto questo ornato ha indotto gli studiosi ad attribuire parte del disegno di facciata a Baboccio da Piperno, anche se è difficile supporre possa esser vero. Piuttosto, questi simboli segnano l’aspetto a devozione del committente, Antonio Penne. Un altro assai simile di fregio lo si trova sull’architrave maggiore della Cappella Brancaccio. Il frontone mostra gli archetti gotici trilobati con l’ornato fogliaceo d’acanto del tipo fiammato; al di sopra di essi chiudono il sostenuto cornicione in gran bellezza i segni della Croce di Gerusalemme, i Pali di Majorca e le fasce dei Durazzo al di sopra della Corona di re Ladislao. L’impiego del calcare detto ”travertino di Bellona” indica il proposito di realizzare tutta la facciata in accordo al colore giallastro del tufo piperino, il grigio più pesante del piperno vero e proprio ed il bianco latte della pietra di Bellona, stessa identica composizione cromatica che si osserva in tutto l’impaginato di facciata della Reggia di Caserta. La parte bassa del portale mostra due pilastri che poggiano su un pezzo di mattone in ”cotto ferrigno” messo lì apposta onde evitare il collasso delle colonne minacciate dal terremoto del 1732. Il portone di questo palazzo è ancora in legno di quercia nonostante le superfetazioni del Risanamento a bonifica della zona appestata dal colera del 1884. Il palazzo subisce diverse trasformazioni anche prima dell’insediamento dei Comaschi con la considerevole apertura di un ingresso sulla penninata di Santa Barbara e i "cinque vasci" che danno direttamente sulla strada oggi tutte botteghe e le relative stanze al piano superiore comunicanti con le cantine ed il muro di contenimento.

L'architettura catalana e le decorazioni quattrocentesche del palazzo.

La scala di questo palazzo del tipo d’architettura catalana, la stessa, tale e quale è disegnata negli affreschi quattrocenteschi della Cappella della Natività a San Giovanni a Carbonara, inscritta nei principali episodi della Vita della Vergine Maria nella prima e seconda tavola.

  • Le stanze del palazzo di Antonio di Penne, tutte quante ubicate in modo da esser indipendenti tra loro e con soffitto ad incannucciata, godono di un’apertura sul cortile interno nel luogo dei cosiddetti giochi d’acqua o cortile delle fontane con un accento che va dato all’acqua corrente di ”fonte viva” e di ”formale”, ovvero acqua sorgiva, condotta attraverso l’utilizzo in comune dell’Acquedotto del Formiello, distribuita in ogni spazio del palazzo e questo in un’epoca in cui non esisteva neppur il concetto di estesa rete idrica negli edifici poiché ciascuno dei palazzi erano serviti dalla propria canna da pozzo. Fino al 1748 al primo piano era ancora la camera dell’alcova col soffitto di finto stucco ed il letto con la trabacca, arredamento atipico e non di genere, che andò a sostituire la stanza del Quattrocento, in luogo del quale, per darsene un’idea di com’era fatta diciamo che venne tutta quanta affrescata di scene di vita quotidiana campestre con la stessa intensità di stile cromatico inconfondibile delle opere della Cappella Caracciolo del Sole. E’ del 22 aprile del 1696 la notizia della demolizione di alcune parti interne del palazzo confinanti tra il giardino e la chiesa di Sant’Aspreno per innalzarci nuove case per il Noviziato dei Chierici Regolari Somaschi.


Spazio note

(1) Liberamente estratto da: Il Palazzo Penne, un borghese a corte di Gennaro Borrelli, premessa di Mario Antonio de Cunzo, Napoli Arte Tipografica del 2000. BNN, SEZ.NAP. 7. A 1616 bis
(2) [BNN, Ms C 21, f. 233 t.]
(3) [ BNN Ms C21, f 233 t.].