Architettura del ferro a Napoli fine '800

Questa era piuttosto tesa a razionalizzare comportamenti del tutto spontanei legati soprattutto al commercio, tra cui, spiccano interventi a carattere urbanistico e con propria funzionalità, come ad esempio, la vecchia Sala della Borsa a palazzo San Giacomo, a piazza Municipio.
Infine emblematica dell’impiego nell’uso effimero del ferro e del vetro, è espresso nella concezione urbanistica e architettonica della Galleria Umberto I, installata sullo scomparso rione Santa Brigida al centro storico della città, occupante buona parte del quartier San Ferdinando.
Poco prima dell’unificazione d’Italia, Napoli ancora vigeva sottoposta all’egida politica del protezionismo degli stati italiani frammentati.
Il patrimonio immobiliare di quegli anni e di quella architettura.
Solo nel capoluogo campano, la produzione di stabilimenti in ferro e vetro costituì in breve, patrimonio architettonico industriale rappresentativo, assieme alla Real Fonderia, all’Arsenale, e ai cantieri navali di Castellamare di Stabia, l’ossatura portante del sistema siderurgico della giovane Italia3.
- Nonostante le precarie condizioni dello stato sociale, nella periferia, soprattutto lungo la direttrice di penetrazione costiera, sorsero in breve tempo, impianti produttivi elevati a rango di macrostrutture statali. La fonderia di Pietrarsa, nei pressi di Portici, fondata nel novembre del 1840, già nel 1853 divenne il più importante stabilimento di produzione siderurgica di tutto il Paese, 44 anni in anticipo sulla costruzione della Breda di Milano e 57 anni prima rispetto alla FIAT di Torino4. E poi l’edificio per la produzione delle caldaie in ferro nella zona di Borgo Loreto, laddove ancora restavano in piedi i Granili di San Giovanni a Teduccio, l’opificio meccanico Gruppy del 1852 a via Nuova Marina. Ed ancora: il grande opificio C&T.T.Pattison, lo stabilimento Granier, successivamente venduto al Corradini, ed altre opere d’architettura industriale minore, tipo l’opificio meccanico di Luigi Oomens, la fonderia dei fratelli Della Morte e non ultimo, la fonderia Morthenson&C. Va tra l’altro considerato un fatto importante per la produzione dei manufatti in ferro, soprattutto a Napoli: nel 1880, l’uso in Italia di 16.000 tonnellate di ghisa e scarse 100.000 tonnellate di acciaio e ferro, per giunta il 30% di questo materiale era importato dall’estero, dimostrava ampiamente lo stato di arretratezza del Paese in rapporto al nuovo sviluppo industriale e, a permanere come motivi unici di dipendenza dagli stati esteri fu proprio la mancanza di un’industria siderurgica nazionale, un’adeguata conoscenza dei prodotti tecnologici innovativi ed un’insufficiente rete di comunicazioni. A dare mano forte per la poca crescita del settore, concorsero com’è noto, la revisione dei prezzi alla dogana imposti sui prodotti del tessile ed il crollo dei prezzi relativi ai prodotti agricoli per l’arrivo di merce americana e russa, e a favorire ancora tutto ciò, il colonialismo inglese in Europa in rotta di collisione con l’imperialismo francese ed il sempre più crescente potenziamento militare dei tedeschi. In Italia, non si potè che pilotare l’atteggiamento del governo a proteggere la crisi e a difendere il paese dalla razzia operata dagli stranieri, motivo per cui si scelse di aggredire con severi blocchi daziari l’arrivo di merci non considerate prioritarie come ferro ed acciaio. Era il 1872, ed il costruttore Cottrau invia un documento di sintesi al senatore Scialoja su quale, approfondisce le linee di produzione italiana del ferro e dell’acciaio, considerando i tre livelli della stessa produzione: l’estrazione del materiale grezzo dalle miniere italiane, la lavorazione del ferro in laminato ed in fine la trasformazione del prodotto in manufatti compiuti: caldaie prima di tutto e poi i solai e le tettoie. Per quanto riguarda il sistema tasse sui ferri in arrivo dall’estero, fu pure affrontato il problema anomalo per cui, le imprese coinvolte nell’importazione di ferro di seconda lavorazione riuscivano ad eludere la tassa più alta imposta per 112 franchi ogni tonnellata, entrando in Italia con prodotti presentati come ferro di prima lavorazione semplicemente smembrando gli assi e riassemblandoli in travi semplici o a doppio T.
Ingegnerie e le architetture investite dalla produzione e importazione del nuovo materiale.
Per questo motivo, ad esempio, la ditta Gruppy&C., di Napoli riuscì ad importare travi legate a doppio T fabbricate in Belgio per costruire i nuovi mercati generali di Firenze5 con pagamenti daziari irrisori.
- Medesima cosa accaduta per l’installazione delle capriate Polonceau nella realizzazione, sempre del Cottrau, della copertura a doppia falda vetrata della stazione ferroviaria di Napoli Centrale6. A Napoli dalla ditta Gruppy&C., furono eseguite le coperture per le stazioni funicolari di Chiaia e Montesanto, e a Casamicciola, l’Impresa di Costruzioni Metalliche realizzò la copertura per un ospizio balneare di proprietà del Pio Monte di Misericordia. Ed infine, si ricorda che a questo sistema appartiene anche la copertura del palazzo Cuomo a via Duomo. Nel mutato scenario delle arti, le ingegnerie e le architetture investite dalla produzione e importazione del nuovo materiale, Napoli seppe in un qualche modo dare segno di elevata professionalità, forse addirittura maggiore rispetto alle reali risorse disponibili della città; Scognamiglio ed i suoi soci, Scoppa e Rendina, prevederanno a seguito del bando di concorso indetto il 21 febbraio del 1864 una gigantesca struttura in ferro e vetro per il quartiere di Chiaia, garantito dal modello già collaudato a Londra nel 1851, a New York nel 1853 e Sydenham nel 18547.
Il ferro, l'architettura e l'anima di Lamont Young.
Lo scopo fu quello di anticipare gli eventi dell’Esposizione Italiana del 1864 e di attrezzare il quartier San Ferdinando, relativamente alla Salita del Gigante, via Santa Lucia ed il Chiatamone, di una serie di padiglioni in ferro previsti anche per la Villa Comunale.
- In questa poi resterà in vita solo la Cassa Armonica8, mentre verrà buttato giù invece, nel 1876 il Giardino d’Inverno, costruito sedici anni prima. Va ricordata anche l’emblematica personalità utopistica di Lamont Young, l’unico tra gli architetti naturalizzati napoletani, ad intuire il ferro come uno strumento utile a realizzare svariate opere al servizio di un’idea nuova di territorio, più ampia ed organica, ponti, viadotti, alberghi, case per colonie, tutto nell’osservanza del principio del ferro come elemento non protagonista, essendo le costruzioni sempre e comunque rivestite di materiale decorativo plastico, mantenendo effettivamente non effimera la coerenza e conseguenzialità tra la struttura e l’architettura. Esempi di architettura mista in cui il ferro è mascherato da materiale lapideo con le quali collabora saldamente e forma ambienti più spaziosi senza necessariamente caratterizzarli esteticamente, sono diffusi oltremodo in città, a partire dall’Ospizio Balneare ischitano di Casamicciola, iniziata dal Florio e poi continuata dal Breglia, in quanto il Florio fu chiamato alla collaborazione su scala nazionale dalla società per il Risanamento di Napoli. Il mastodontico edificio dell’Hotel del Londres a piazza Municipio adeguata all’uso di coprire fino a nascondere del tutto la disordinata condizione urbanistica della calata San Marco a Rua Catalana fino a comprender gli spazi di piazza Francese alle spalle del teatro Mercadante.
Spazio note
(1)Per il testo in epigrafe si riporta quanto trovato scritto: Cfr., W. Benjamin, Schriften Frankfurt, 1955, tradotto in Italia col titolo: Angelus Novus, saggi e frammenti, Torino 1962(1bis) Liberamente estratto da: Galleria Umberto I. architettura del ferro a Napoli di Ugo Carughi prefazione di Giancarlo Alisio, Franco Di Mauro Editore. Il presente volume nasce da una ricerca condotta nell’’ambito dei programmi dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, ISBN-88-85263-86-0 BNN distribuzione 2008D12. Cfr., Giulio Emery, L’uso del ferro nelle costruzioni e sua influenza sul carattere delle medesime, in “Atti del Collegio degli Ingegneri ed Architetti in Napoli, a Napoli 1879; cfr., C. A. Guerra e F. Mazzolani, Riesame statico della Galleria Umberto I in Napoli, , in Atti del Convegno. L’arte del fabbricare, Napoli 6-7 ottobre 1989, pagine 197 e 198. Da un saggio di Giulio Emery publbicato a Napoli nel 1878, E. Winkler, Determinazione degli sforzi molecolari ammissibili nelle costruzioni in ferro in conformità degli esperimenti del Wohler sull’effetto degli sforzi ripetuti pel Dr. Winkler, inserito nel Giornale del collegio degli Ingegneri ed Architetti d’Austria, anno 1877 vol. III
(2) Il netto ritardo rispetto agli altri paesi europei, già sotto il profilo tecnologico e di produzione, fu dovuto principalmente alla vocazione di una terra tutto sommato agricola, all’assenza di un mercato nazionale, alla scarsezza di mano d’opera, e a nessun tipo di esperienza imprenditoriale; condizioni per cui fu impedita la crescita economica italiana rispetto all’Inghilterra, Francia e Germania. Napoli per quell’epoca sostanzialmente viveva ancora delle risorse ricavate dai pesanti dazi doganali imposti sui prodotti provenienti dall’estero. Si presentava ancora capitale di un regno ormai destinato alla fine, con la corte fastosa e ricca, l’esercito numeroso e forte, la marineria abbastanza consistente, e la burocrazia efficientissima, a parte, solo tutto intorno una desolante campagna deserta e depredata, la scomparsa dei latifondi, la rete viaria impraticabile, la fame e la povertà diffusa all’inverosimile alla stessa maniera dell’incapacità di diffondere il messaggio della scolarizzazioneAlfredo Buccaro, 1864. Napoli. Progetto di un “Palazzo per l’Esposizione italiana”, in AA.VV., Le Grandi Esposizioni in Italia. 1861-1911. La competizione culturale in Europa e la ricerca dello stile Nazionale, Quaderni Di n° 6/1988, Napoli 1988 pagina 85; cfr., A. Buccaro, Opere pubbliche e tipologie nel mezzogiorno preunitario, Napoli 1992, pagina 255
(3) V. Castronovo, L’industria italiana dall’Ottocento ad oggi, Milano, 1990, pagina 21
(4) G. Alisio, Le origini dell’Industria a Napoli, in G. Alisio (a cura di) L’industria napoletana nell’Ottocento, Napoli 1993.
(5) R. Jodice L’Architettura del Ferro. L’Italia. 1796-1914, Roma 1985 pagine 36 e 37
(6) L’impianto della stazione ferroviaria di Napoli Centrale è attribuito dallo Jodice all’Alvino in collaborazione con Bonino, Spasiano e Nicola Breglia. L’impianto alla sua epoca si presentava in stile neorinascimentale, con le capriate ribassate per non interferire nel fuoco visivo del Vesuvio su piazza Garibaldi, mentre all’interno, le file di colonne di ghisa, richiamavano senza obra di dubbio allo schema architettonico impostato per la Gare dell’Est a Parigi. La stazione di Napoli Centrale fu una delle prime realizzazioni dell’Impresa di Costruzioni Metalliche di Cottrau, autore già di 27 coperture in Italia per 27 rispettive stazioni ferroviarie e 17 pensiline. R. De Fusco, L’architettura dell’Ottocento, Torino 1980, pagina 223.
(7) J. De Martino Napoli farà da sé, in Nuova Antologia, Napoli 1 agosto 1979
(8) G. Alisio Lamont Young. Utopia e realtà nell’urbanistica napoletana dell’Ottocento Roma, 1978 pagine 129 e seguenti. Altre simili proposte vennero inoltrate da progetti a firma Pianell, Fiocca e Magnenant.
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