Architettura fascista a Napoli

I monumenti millenari della nostra storia debbono giganteggiare nella necessaria solitudine1.
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La giovane disciplina del restauro dei monumenti su tutto il territorio nazionale italiano, degli anni Trenta e Quaranta del Novecento, incamerò, gioco forza, molta della volontà politica del regime fascista2, dal quale, va ricordato, venne in massima parte raggiunto da un elevatissimo grado di consapevolezza3.

Il fascismo, nel perenne tentativo di disseminare il territorio della Patria di province simbolo della rinascita della romanità, richiamò giovani architetti alla più pura delle generalizzazioni d’opere dell’architettura che da allora ebbe a chiamarsi architettura di Stato, moderne nella tecnica, nello stile, nella forma, nel gigantismo delle strutture, nella sostanza degli edifici fatti di materiali solidi, quali, mattoni e marmo, archi, colonne, nicchie e statue, aquile imperiali, fasci e stemmi.

Elementi questi che concorsero alla mediterraneità delle costruzioni di un numero considerevoli di città eterne, avvolte tutte da un senso Barocco geometrizzato, squadrato, assolutamente retorico oltre che molto funzionale4.


Le seduzioni fasciste nelle applicazioni architettoniche napoletane.

Le città dunque, risorsero ricollocate in un disegno urbano gigantesco, che visto nel suo insieme, esitò una precisa epoca della storia imperiale italiana del Novecento, insinuando il Fascio, e la novella romanità, persino nelle evoluzioni della tecnica del costruire e del restaurare, realizzando scopi sociali che in tutta evidenza si divisero per opere indubbiamente moderne, ed in altre che invece apparvero subito obsolete e per niente condivise.

  • A Napoli5 (5bis) in primo luogo, diversamente che a Roma6, il proposito di una città ricostruita sul preciso, glorioso passato dell’Impero Romano, non poteva che dirsi fattibile, dal solo recupero fisico delle tracce presenti negli edifici, riducibili a poche, forse pochissime occasioni, oppure, diversamente, solo grazie all'opera di sventramento del vecchio e ricostruzione del nuovo7. Mussolini spesso intervenne, anche di persona, per definire le cosiddette scelte consolidate8 per la città napoletana che egli stesso consacrò “Regina del Mediterraneo” in un suo altro celebre discorso tenuto al San Carlo di Napoli9, quattro giorni prima della presa del Potere10. Il fervore delle opere fasciste a Napoli non produsse chissà cosa, le opere furono di portata modesta, piuttosto si tentò nell’ultima ora del regime di colmare spazi rimasti vuoti all’indomani della rimozione delle macerie dei palazzi distrutti dalle bombe del 1943; diciotto anni prima rispetto a quella data, il nuovo Governo richiamò, oltre alle Cattedre universitarie, gli artisti dell’epoca a confrontarsi con gli intellettuali; il popolo, incapace di darsi voce politica, fu l’unico a prendere una parte più attiva e a muovere critiche più sincere, anche se rimaste tutte disattese, verso le nuove opere fasciste installate nella propria città, ormai non più consolidata né più borbonica. È nota alla storia italiana, la stima del duce nutrita nella persona di Benedetto Croce, dal quale si aspettò meno intransigenza, ma sapendolo vivo focolaio di pensiero e di giovani menti accaldate al palazzo Filomarino della Rocca a Spaccanapoli, il duce, non smise mai di rendere sempre più pubblici gli apprezzamenti per il filosofo napoletano.

Gli effetti della bonifica fascista sulla città di Napoli.

Mussolini occupò le stanze del Potere in Italia, proprio quando l’Italia ancora scontava gravi criticità lasciata dalla crisi profonda della Prima Guerra Mondiale.

  • A Napoli i programmi che avrebbero dovuto avviare la ristrutturazione e l’ampliamento della città rimasero in parte incompiuti e quelli compiuti si fermarono alle carte, disegni, progetti, planimetrie; indiscutibili esigenze in termini di improrogabilità arrestarono anche il processo di industrializzazione della città napoletana; per non parlare del deficit economico del Comune di Napoli a quell’epoca afflitto anche e soprattutto da una recessione paurosamente vertiginosa. Fu questa una brillante occasione per il duce di riproporre la forza del Fascismo propriamente detto e nacque, così, nel 1925, l’Alto Commissariato per Napoli e per la Provincia, tenuto fino al 1932 dal prefetto Castelli e dopo di lui da Pietro Baratono; all’Alto Commissariato dunque, vennero affidate la gestione delle amministrazioni competenti al Ministero dei Lavori Pubblici, quelle del Comune, del regio Commissariato per le opere del Porto di Napoli, tutta la sistemazione della zona industriale, la zona orientale, la definitiva bonifica delle aree un tempo paludi, gli stabilimenti industriali, le case operaie e popolari, la spianata del Campo di Marte assediata dalle piste dell’aeroporto militare Ugo Niutta. Ed ancora: il tratto della direttissima Napoli-Roma interessata dalle stazioni sotterranee costruite nel pieno del centro storico, l’ammodernamento della Cumana e delle due funicolari del Vomero e di buona parte della collina dei Camaldoli a partire dalla zona dell'Orsolone e Cappella Cangiani.

Il patrimonio immobiliare fascista di Napoli.

Si segnarono come vistosi cambiamenti, l’isolamento definitivo del Maschio Angioino, la nascita della nuova Corsea, nell'area di nuova fondazione del rione San Giuseppe-Carità.

  • Fascisti sono, il palazzo degli Uffici della Provincia, il palazzo delle Poste, il palazzo degli Uffici Finanziari, il palazzo della Questura ed il palazzo del Banco di Napoli a Via Toledo e della Banca Nazionale del Lavoro all’apice di Via Armando DiazE di lì a poco, regolate del PRG del 1939, sorgeranno il collegio Costanzo Ciano a Bagnoli e nell’area di risulta del vecchio quartiere di San Pasquale a Chiaia, vennero rifatte ad opera delle società consorziate tutta via Caurducci,via Dei Mille, via Filangieri, Via Chiaia, dal suo ponte fino al palazzo della Prefettura a piazza del Plebiscito. E’ fascista tutto il complesso fieristico della Mostra d'Oltremare di Fuorigrotta, la stazione cumana di piazzale Tecchio e la fermata di via Leopardi. E' fascista il complesso Torre Ranieri sulla collina di Posillipo e la villa Oro a via Orazio E’ fascista tutta l’edilizia che guarda ai Quartieri Spagnoli dalla destra della salita Maruccella a Materdei. E' fascista parte di piazza Carità, quasi tutta piazza Giacomo Matteotti e, molto "sicuramente", tutta quanta l'area del Rione Carità, che le comprende. E' fascista la realizzaizone armoniosa e decorosa dei giardini del Molo Siglio sotto la Galleria della Vittoria, fascista pure questa, assieme al frontone occidentale; è fascista buona parte del borgo Santa Lucia a Mare10. Fascista è il ponte d'accesso a Castel dell'Ovo presso il Borgo Marinari. Fascista l'edificio storico del Mercato del Pesce. 

Di borbonico in città è rimasta, sostanzialmente intatta, piazza Dante Alighieri con squisito arredamento pubblico di gusto barocco, disegnato anche nelle facciate di tutte e quattro le chiese che affacciano su di essa; piazza Mercato, tutta quanta l’anticaglia dal palazzo Avellino all’ingresso del Borgo dei Vergini a Via Foria, ed infine, a testimonianza del glorioso passato di Napoli capitale, piazza Carlo III e la facciata del Palazzo Albergo dei Poveri.


Spazio note

(1) Per i versi in epigrafe sono stati tratti dal celebre discorso di Benito Mussolini in occasione dell’ inaugurazione del Governatorato di Roma. Toglierete, voi, o saggi, la stolta contaminazione tramviaria che ingombra le strade di Roma, ma darete tuttavia, nuovi mezzi di comunicazione ai vostri fratelli fascisti e alle vostre città che sorgeranno in anello, intorno alle città antiche. Costruirete, o voi giovanetti dell’era romana, costruirete il rettilineo più lungo e più largo del mondo che colleghi Ostia a Roma. Darete case, scuole, cessi e giardini ai vostri fratelli fascisti che lavorano. Governerete le città nello spirito e nella materia, nella sostanza del passato e dell’avvenire. Così scritto in: Francesco Pistolese, Il Fascismo nei discorsi di Mussolini, ed. Masula, Napoli 1945, pagina 87 Giuseppe Basadonna individua nei discorsi di Mussolini, specie quelli che eserciteranno non poco l’influenza sulle scelte future in tema di urbanistica ed architettura, una sorta di capace reputazione di esprimere giudizi competenti, e come tutti i dittatori, di lasciare il segno del suo passaggio, nella pelledei palazzi quelli nuovi e quelli nuovamente rifatti.
(2) Liberamente estratto da: Il *Restauro a Napoli negli anni dell'Alto Commissariato (1925-1936) : architettura, urbanistica, archeologia / Luigi Veronese. - Napoli : Fredericiana editrice universitaria, 2012. - XX, 343 p. : ill. ; 24 cm. ((Bibliografia: P. 329-337 Codice SBN BVE0573767 ISBN 9788883381232 BNN 2012 b 1027 pp. 62 65 Altri contributi da: Cesare De Seta, La cultura architettonica in Italia tra le due guerre, Laterza, Roma-Bari 1972; AA.VV. Napoli: Urbanistica ed Architettura del Ventennio, ed. Il Cerchio, Napoli 1982, Claudio Varagnoli, L’Architettura italiana del periodo fascista, dalla conoscenza al restauro, in "Lo Spazio, mostre in biblioteca" a cura di Ciro Robotti. Di Rico, San Salvo 1994.
(3) Cesare De Seta La cultura architettonica in Italia tra le due guerre, Laterza, Roma-Bari 1972; AA.VV. Napoli: Urbanistica ed Architettura del Ventennio, ed. Il Cerchio, Napoli 1982, Claudio Varagnoli, L’Architettura italiana del periodo fascista, dalla conoscenza al restauro, in Lo Spazio, mostre in biblioteca, a cura di Ciro Robotti. Di Rico, San Salvo 1994
(4) Iconografia del gusto fascista. Renato Di Fusco, Napoli nel Novecento, Electa napoli 1994, pag. 89
(5) La vita napoletana durante il ventennio fascista non fu propriamente del tutto corrotta dal fascino di Mussolini; le opere pubbliche promosse dal suo governo non destarono molto interesse, e, piuttosto, allorquando, si avvertì la necessità di muovere contro l’ideologia fascista, ormai le grandi città italiane si ritrovarono ripulite di vecchi codici classisti, sostituiti dal più imponente codice neoclassico. In città, Nicola Foschini guidava la rivista “IX Maggio”, più popolare e più letta della “Critica di Fascista” di Giuseppe Bottai e su entrambe le riviste comunque riecheggiavano le ombre di una muta opposizione logisticamente acquartierata alla Federico II a Mezzocannone.
(5bis) Sul Bollettino del Comune di Napoli verranno propagandate dal Regime le foto di una città stravolta dai cantieri, ma soprattutto, il proposito mira all’esclusione totale di ogni "stereotipo molesto", con una esatta periodizzazione delle opere pubblicate solo con lo scopo ben preciso di rendere in termini di quatità, quanto e come Napoli stesse cambiano e diventato fascista. Estratto da: Università degli studi di Napoli Federico II Anno Accademico 2006-2007 Dottorato di Ricerca in Storia dell’Architettura e della Citta - XIX ciclo Coordinatore: Ch. mo prof. arch. Francesco Starace NAPOLI TRA INCISIONE E FOTOGRAFIA (1850-1930) Rappresentazione e trasformazione della città tra i due secoli attraverso la stampa periodica illustrata e inediti repertori fotografici Candidata: dott. arch. Nunzia Iannone Tutor: Ch. mo prof. arch. Alfredo Buccaro
(6) Architettura futurista, così chiameranno i fascisti l’Arte Nuova, dentro la quale, ci vedranno capitilastiche occasioni di propaganda concretizzata, poi, diversamente proprio dagli antifascisti napoletani che criticheranno le produzioni della prima ora come scarsamente significative rispetto allo scenario europeo. In: Mussolini e le Opere napoletane del ventennio. Giuseppe Basadonna. Arturo Berisio Editore. Napoli 1980 1061590 BNN sala distribuzione A 8640 pag. 9, Capitolo: "Fascismo e razionalismo".
(6bis) Ad esser sinceri, il fascismo, ha per così dire ripulito le strade ed i quartieri di Napoli dai vichi pregni di miasmi e di umidori e lo ha potuto compiere col solo mezzo del cosiddetto taglio risanatore o meglio sia da comprendersi come il buttar giù tutto, al punto che negli anni Trenta, non solo a Napoli, ma in tutta Italia, la procedura di ristrutturazione basata solo sullo sventramento ed i rifacimento ha condotto la storia dell’urbanistica a considerare fascismo e sventramento alla stregua di sinonimi. Così trovato scritto in Mioni, La città e l’urbanistica durante il fascismo, in Urbanistica fascista. Ricerche e saggi sulle città ed il territorio sulle politiche urbane in Italia tra le due guerre, Milano 1986 pag. 32
(7) Mussolini seppe fin dal sorgere delle ideologie di cui si fece promotore, che, se avesse voluto che le colonie fossero testimonianze del suo passaggio, si sarebbe dovuto rimettere ai codici dell’architettura tradizionale. Ma si rese anche conto che monopolizzare i simboli ed i loro rispettivi Ordini antichi non bastava; per raggiungere l’obiettivo, bisognava partorire nuovo linguaggio, linguaggio proprio, ed in questo i gerarchi fascisti non lo seguirono affatto, ed anzi, molti di loro, che alla fine torneranno nuovamente ad occupare posti di potere durante il Governo liberale, guarderanno già in epoca fascista a nuovi modelli di architettura avanzata, quasi come una sorta di riluttanza al dispotismo del duce. Senza calcolare, che se solo avessero voluto seguirlo, avrebbero dovuto importare regole architettoniche ed urbanistiche concepite dalla fervida mente di Albert Speer , sedotta com’era dall’esclusivismo del Führer. Perfino in Russia si respinse il presupposto che il progresso della tecnica e della macchina dovesse sostituirsi al lavoro dell’uomo, idea che ben poteva dirsi conciliabile col capitalismo, ma per niente l’avrebbero detta buona per i comunisti, i quali, videro, più politico lasciare che l’uomo restasse al centro dell’architettura delle loro città. Sicchè, mentre nel mondo, fatta eccezione per la Germania nazista, si guardava all’architettura unica ed indiscutibile dell’antica Roma, parimenti per la forza che questa seppe esprimere e per la capacità di adattarsi alle forme nuove dell’esistere del genere umano, in Italia, durante il Governo di Mussolini, ancora alla romanità ci si riferiva solo però, per recare sana e genuina l’impronta del Fascismo.
(8) (9) Giuseppe Basadonna, Napoli 1980, op cit. pag 6
(10) Appresso a Benedetto Croce, il duce non smise mai di corteggiare anche il commediografo, intimo amico di Salvatore Di Giacomo, Roberto Bracco, al quale fece giungere una cospicua somma di denaro in un momento di gravi difficoltà economiche di quest’ultimo. L’artista, rifiutò l’aiuto del duce, il quale, però, sempre desideroso di scalare il consenso dei maggiori esponenti del clima spirituale napoletano, tuttavia, alla morte del Bracco, non limitandosi ad un semplice necrologio, diede istruzioni alla stampa del posto di organizzare una pubblica ed ottima recensione sul personaggio. Ma alla manifestazione contro le limitazioni imposte dal regime al proprio pensiero, si strinsero col tempo anche altri illustri nomi della scena napoletana: Matilde Serao, che difese strenuamente, il palazzo Donn’Anna, a rischio di demolizione, Adriano Tilgher, sottoscrittore del Manifesto antifascista di Benedetto C roce, Gino Doria, Fausto Nicolini, Francesco Torraca, Giustino Fortunato e Lorenzo Giusso.
(10bis) [7]: *Pizzofalcone e Le Mortelle / Italo Ferraro. – Napoli : Oikos, 2010. – p. 606 : ill. ; 31 cm. ((In calce al frontespizio : Fondazione Premio Napoli ; MN Metropolitana SpA Codice SBN NAP0544539 ISBN 9788890147883 pagina pagg 118-119 (1ter) Napoli in posa 1850-1910 Crepuscolo di una capitale a cura di G. Fiorentino e G. Matacena, Napoli 1989 foto a pagina 149 via Partenope e Castel dell’Ovo, Sommer, 1875 ca. Napoli, Collezione Gafio
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