Eruzione del Vesuvio del 1631

L’eruzione del Vesuvio del 1631 fu un episodio piroclastico, esplosivo, non lavico, anche se a partire dal 1865, lo scienziato belga Le Hon, diffuse quest’opinione lasciandola di fatto senza fondamento scientifico.

Un’altra attenta descrizione del fatto, è stata resa pubblica dalla celebre, oltre che colorita testimonianza del marchese di Villa, Giovan Battista Manso, forse realmente presente a Napoli così come ebbe a scrivere nel suo testamento2.

 Ma di più, l'eruzione vesuviana del 1631 contribuì fortemente all'avvio definitivo di molti simboli e leggende:

  • il mito di San Gennaro che ferma la lava,
  • San Gennaro che intercede per miracolo contro l'avanzata distruttiva del magma,
  • il Sangue del Santo ed il Vesuvio stesso elevati a simboli della città di Napoli.

E' infatti vero che ancor oggi è indetta la festa del Sangue di San Gennaro che si scoglie relativa alla data annuale fissata al 16 dicembre, giorno storico per quell'evento, celebre anche perché è ricordato nell'Epitaffio di Portici, trascritto nella lapide posta accanto al palazzo Ruffo di Bagnara, situato lungo il Miglio d'Oro, ed anche perchè, le sue lave giunsero al lambire il basamento di villa Teresa e del palazzo dei Gesuiti.


Torre del Greco fu una delle sette città portuali a subire i danni maggiori.

È stata ampiamente studiata dagli esperti, i quali, universalmente concordano essere iniziata alle 6, massimo 7 del mattino del 16 dicembre 1631.

  • Con una frattura eruttiva principale apertasi lato ovest-sud-ovest del Gran Cono, dalla quale, mosse tutta quanta la colonna pliniana durata per le successive sette, otto ore, causa primaria delle piogge di ceneri e pomici che caratterizzarono le fasi postume dell'eruzione. Su tutta quanta l’area del golfo di Napoli, compreso la città di Napoli oltre la zona delle paludi e del valico del Ponte della Maddalena la dichiarazione degli esperti è unisona nel ricordare le tre ore di terremoti che ne anticiparono l’acme eruttivo; gli esperti anche in questo caso concordano che il punto massimo d’altezza raggiunto dalla colonna sprigionata dalla violenta eruzione sia stato di 24 km non di meno e che il lancio dei materiali abbia potuto raggiungere le coste di Pozzuoli ed il fronte nord del golfo di Salerno. La potenza di quest’episodio unico nella storia mondiale della vulcanologia ha lasciato un segno profondo nella letteratura teologica. È infatti vero, che ancor oggi una festa si tramanda ad Istanbul in Turchia, allora chiamata Costantinopoli, per lo scampato pericolo occorso nel mese di dicembre di quell’anno e di quel secolo dall’arrivo di una nube dal cielo, grande abbastanza da schermare l’intera città alla luce del sole. Quella nube ebbe origini proprio da quest’eruzione del Vesuvio. La caduta dei flussi piroclastici determinarono il collasso del Gran Cono del Vesuvio avvenuto presumibilmente alle 11 del mattino del giorno seguente, il 17 dicembre, fenomeno questo che letteralmente distrusse le città adagiate sul fronte della montagna. Dalla discesa delle colate di fango durate fino al 24 dicembre, Torre del Greco fu una delle sette città portuali del Seicento all’epoca la più grande, a subire i danni maggiori e le maggiori perdite di vita umana. Nello stemma del Comune di Torre del Greco si legge ancora oggi: Post fata resurgo, “dopo le fatalità mi rimetto in cammino”, meglio tradotto con: ”risorgo dopo morto”3

Il 16 dicembre del 1831, il Cardinal Luigi Ruffo, esagerò con la processione per il secondo centenario dell’eruzione del Vesuvio.

Spesso nelle occasioni occorrenti, ed in particolar modo il 16 dicembre, il miracolo del Sangue del Santo che si scioglie è avvenuto con una certa regolarità.

  • Ma il più delle volte questo è mancato. Alla data della festa pubblica del 16 dicembre 1660 è coincisa col giorno in cui fu innalzata ed inaugurata la Guglia di San Gennaro in piazza Riario Sforza, proprio di fronte al palazzo del Pio Monte di Misericordia. Il 16 dicembre del 1831, il Cardinal Luigi Ruffo, elevato a rango di cavaliere dell’insigne Ordine della Corona di San Gennaro, un tanto esagerò con la processione per il secondo centenario dell’eruzione del Vesuvio, e l’ostensione della teca contenente le ampolle, non per questa ragione fu poi trasferita alla domenica seguente nel 1833 per ordine del Cardinal Filippo Caracciolo, riportata nuovamente al 16 del mese dal cardinal Sisto Riariio Sforza nel 1858 e da quest’ultimo fu attribuita all’ira di San Gennaro il catastrofico terremoto del 1617 che colpì per intero tutta quanta la Basilicata.


Spazio note

(1) Il *miracolo di S. Gennaro : documentazione storica e scientifica / del prof. Giovanni Battista Alfano e dott. Antonio Amitrano ; con bibliografia redatta dal prof. Giovanni Battista Alfano e dal P. Antonio Bellucci. – Napoli : tip. D. di Gennaro, 1924. – 309 p. : tav. ; 21 cm . Autore secondario Bellucci, Antonio BNN Distribuzione Vecchi Fondi XXXIII H 38*
(2) *Gio. Battista Manso nella vita e nelle opere / Michele Manfredi. - Napoli : N. Jovene e C., 1919. - VIII, 267 p. ; 23 cm. ((Sul front.: Memoria premiata nel 1915 dalla R. Accademia di archeologia, lettere e belle arti, di Napoli. Codice SBN SBL0483630 Autore Manfredi, Michele