Chiesa Concezione a Montecalvario di Napoli

E' una chiesa1 di Napoli capolavoro delle attività ed opere di Domenico Antonio Vaccaro, che l’ha resa uno dei più illustri esempi di architettura sacra del primo Settecento nonché rappresentativo del nascente stile Barocco.

Essa è però anche l’ultimo risultato di un continuo avvicendarsi di proprietari censuatari, primi fra tutti la "Congregazione dei Nobili di Montecalvario” che ne promossero la fondazione di un annesso convento nel 1586 diretti, allora, dall’osservante fra’ Antonio Elia da Nola e nel 1620 riappare alle cronache del Galante come "Ritiro delle Vergini" diretta dalla monaca di Donnalbina Beatrice Capano.

La chiesa sta all’apice della prima metà di una traversa aperta su Via Toledo, in una strada trasversale di questa che è stata denominata “Concezione a Montecalvario” un tempo conosciuta come “Salita dell'Imbrecciata”, famosa per esser stata battuta su e giù per duecent'anni dai partecipanti alle processioni di Pompeo Battaglino l’allora presidente della Regia Camera della Sommaria.

Alle pendici del Monte oggi non più noto dell'Ermico, quindi, dalla sommità di Montecalvario, dal vico Noce è possibile raggiungere la chiesa da nord e dalla vicinissima via Girardi, nella medesima strada dove sta ubicato il palazzo del conte di Magnocavallo, dimora storica della famiglia Vaccaro.

Più volte portata a lavori di consolidamento, costituita nei lavori di restauro tra i quali i più significativi sono ricordati nei progetti depositati dal professor Loreto Colombo e dall'ingegner Mario Tarallo, direttamente finanziati dalla Legge 292 del 14-3-1968 e portati a compimento da Giuseppe Scarano di Portici, il quale ha però visto invano realizzarsi il lavoro di restauro innanzi alla chiesa nuovamente imbruttita dagli scossoni violenti del sisma del 1980; il piano d'intervento e di recupero dello stato materico fortemente danneggiato son stati registrati da lavori di ripristino a nota del 23-11-1980 e del 14-2-1981 grazie alle risorse estratte dalla Legge 219 del 14 maggio di quello stesso anno.
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Presentazione e storia brevissima della chiesa Concezione a Montecalvario.

La monumentale chiesa nei marmi commessi è per intero frutto del genio e dell'inventiva del Vaccaro del 1720 affiancato dai regi colleghi ingegneri Giuseppe Lucchese e Filippo Marinelli con stucchi e decorazioni profuse dappertutto, ma con moderazione senza appesantirne la scenografia e la concezione pittorica originaria.

Tuttavia aggiungendo che all'esterno i lavori terminarono due anni prima rispetto alla decorazione interna, venne realizzata per decisione della nobiltà napoletana del "Pio Sodalizio" ufficialmente rappresentate dai Nobili presso l'eletto governatore Giovanni d'Avalos, da Orazio de Lanonia Principe di Sulmona e Scipione Orsino conte di Pacentro.

Mentre a sovrintendere il volere del popolo fu Giovanni Geronimo di Gennaro. Il tutto sotto la guida spirituale di Frate Antonio di Elia da Nola, guardiano del vicino convento dei Frati Osservanti insediatisi presso la vicinissima chiesa di Santa Maria della Mercede a Montecalvario.

La chiesa Concezione a Montecalvario venne eretta su di una chiesa preesistente, ancora più piccola e decisamente assai diversa dall'attuale, e a sua volta edificata su di un pezzo di terreno acquistato dalle rendite lottizzate dalla Real Casa dell'Annunziata e affidata ai Francescani Osservanti e ad un gruppo di terziari riunitisi in congregazione intitolata sotto il nome dell'Immacolata Concezione nell'anno 1579, erigendovi appresso alla chiesetta un ritiro per le Vergini che avessero inoltrato istanza all'educazione delle Figlie del Popolo sull'edificio già sorto in verità ed incontrato nel suo lungo viaggio dal Celano che nella sua memorabile “Guida Sacra alla città di Napoli” afferma di averlo trovato operante già dal 1589 diretto da Suor Beatrice Capano, monaca di Donnalbina, di elette virtù e dotata di grande spirito d'iniziativa e promotrice di lodevoli manifestazioni popolari a sfondo religioso.

  • La lunghezza del suo asse maggiore è di 35 mteri,
  • 29,50 quello minore;
  • 29,50 è pure l'altezza dal pavimento fino al punto Nord dell'interno della cupola,
  • 32,50 se si ammette anche la punta più estrema del lanternino sormontato in alto alla cupola.
  • La larghezza degli arconi è di 19 metri;
  • il diametro minore alla base della cupola è di 11,55
  • mentre il diametro maggiore misura 14,20;
  • le imposte dei finestroni della cupola internamente appaiono tagliate a 95°,
  • mentre esternamente hanno un andamento detto variabile nel senso che guardano il sole nelle varie ore della giornata, da Oriente ad Occidente di modo che il volume della chiesa risulti esser illuminato a tutte le ore. Un capolavoro dell'architettura.

La luminosità e le ombre si alternano in giochi sapienti e bizzarri al tempo stesso, in questa chiesa come per tutte le altre chiese della sua epoca concorrono a creare quegli effetti scenografici che furono tra le maggiori aspirazioni degli autori dell'arte barocca.

Gli artisti delle epoche più classiche dell'architettura e della scultura, spinti dal vigore del loro genio creatore, hanno curato al massimo l'elemento ornamentale, in linea rigorosamente classica, mentre i seguaci di questi, altrettanto degli artisti anche loro e non di meno anche dei geni, hanno gettato lì i germi delle forme che nei secoli successivi son divenute programmatiche ed hanno fatto giustamente pensare ad un'arte della decadenza.

Tenendo presente che in archtiettura si è sviluppato, e particolarmente nelle chiese, l'uso dei pilastri, le colonne son rimaste d'uso puramente estetico. Così dunque, paraste e lesene alla fine son rimaste accoppiate, i marmi preziosi sfoggiano i loro colori cangianti e lì ove non è stato possibile operare col marmo per ragioni costruttive oppure economiche si è provveduto allo stucco colorato; è stato curato il dettaglio come fosse elemento a sé stante, le varie modanature accentuarono la loro funzione chiaroscurale con le superfici sporgenti: nasceva pian pianino l'arte detta poi del Barocco.

la chiesa quindi si presenta su uno sviluppo planimetrico che manifesta chiara chiara l'intenzione del Vaccaro a fondere la pianta centrale con quella allungata preesistente anche se non è impostata sulla forma ovale così come sembra dalle planimetrie oggi esistenti, ma su un rettangolo ad angoli smussati, stessa tale impostazione geometrica imposta alla cupola, la quale non ha una pianta ellittica né policentrica come potrebbe sembrare, ma a rettangolo, con gli angoli sostituiti da archi di ellisse, fatto per cui risulta suddivisa in otto spicchi, ciascuno con un finestrone centrale.

  • Esternamente la cupola è circolare; il sapiente passaggio dalla sagoma allungata dell'opera di fondazione prima del 1560 è evidenziata dal differente spessore murario dei tagli delle finestre alla base della cupola e di almeno un metro più profondo quello delle finestre sull'asse minore e meno di mezzo metro quelle dell'asse maggiore.
  • La forma allungata del volume centrale ha coinvolto l'artista Domenico Antonio Vaccaro in forme trapezoidali insolite sul deambulatorio di cui egli ne approfitta per trovare soluzioni ingegnose a mezzo di volte oblique su cui insistono i quattro coretti.

Dotata di un narcete racchiuso tra due nicchie laterali, la chiesa conta anche due cappelle alle estremità del braccio trasversale della croce greca e quattro cappelle minori negli intervalli tra le estremità dei due bracci.

Sul fondo è l'altare maggiore.

  • Le cappelle sono collegate da un ampio ambulacro che cinge gli otto grandi piloni, i quali, ravvicinati assieme a due a due sorreggono la cupola. La quota di colmo delle quattro volte sui bracci della croce è raccordata all'imposta della cupola da quattro pennacchi di sagoma singolare poiché in pianta la congiungente ideale di ognuna delle coppie di pilastri non seca il rettangolo centrale secondo angoli di 45°, ne deriva dunque che la pianta non è triangolo isoscele, ma semplicemente uno scaleno.


Pietro Napoli Signorelli, nel suo saggio “Gli artisti napoletani della seconda metà del sec. XVIII” pubblicato in Napoli Nobilissima edizione del 1921 alla pagina numero 10 di questa, ha espresso un giudizio lusinghiero sull'opera dell'artista Vaccaro e sulla sua genialità manifestatasi, dice, in pieno “regime” neoclassico pur condannando però tutte le decorazioni settecentesche che ancor'oggi vestono questa sacra chiesa definendoli “...cartocci, fregi, torcimenti, frutti, fasce tutta roba che ferisce il gusto ed offende chi è avvezzo alle cose semplici e al prodigio che queste compiono in loro” ed ha aggiunto come il Vaccaro valoroso del suo tempo e che comunque per il coraggio che ha avuto nell'edificare questi lavori gli si dovrebbe la stima e le egregie e addirittura il Dalbono in “Storia della pittura in Napoli e in Sicilia dalla fine del 1600 a noi” non ha esitato a definire la chiesa e l'opera ch'essa esprime tanto copiosa e dotta di larghe vedute che la preferirebbe alle linee guida del Sanfelice. Il pavimento, molto usurato per la mancata manutenzione o purtroppo da una manutenzione poco attenta e non sempre specifica, è in cotto, di cui i colori dominanti son il verde, il nero, il giallo carico e l'arancione, è ancora quello originario, costituito da piastrelle molto dipinte, variegate non nelle forme quanto nelle tinte a mo' di quelle che vestono oggi il Chiostro maiolicato del Monastero di Santa Chiara per altro è opera dello stesso Vaccaro.

All'esterno il prospetto della Chiesa, molto ben conservato gioca sull'effetto del chiaroscuro dato dall'intonaco molto più recente e dalle paraste in piperno settecentesco, dalle lesene e dalle cornici variegate e mistilinee il tutto sormontato da un originale arcone sul quale poggiano le volute in pieno contrasto con la geometria che disciplina rigorosamente i due terzi della facciata.

Alla destra dell'altare maggiore un locale di ampie dimensioni, coperto da volta a vela comunica con l'ambulacro attraverso una ricca grata bronzea munito di sportello di legno con serratura attraverso la quale le monache dell'annesso convitto potevano assistere alle funzioni liturgiche.

Nei due pannelli posti ai lati della mensa all'altare maggiore si nota un intarsio che raffigura il Caduceo di Mercurio e le Torri di un castello su campo rosso: è lo stemma nobiliare di Suor Maria Rosalia Mercurio che per sua devozione e personale munificenza, nell'anno 1725, quand'era superiora dell'annesso monastero fece costruire l'altare maggiore, il quale insiste su una pedana marmorea.

Gli seguirà il sacerdote Giuseppe Astarita, già Padre Spirituale dell'Arciconfraternita del SS Corpo di Cristo. Morirà il 15 luglio del 1955.

Il giorno successivo per ingiunzione delle mani del venerabile cardinal Marcello Mimmi, affiderà la parrocchia al sacerdote Carmine Genovese docente di Lettere e di Psicologia Sociale al Seminario Diocesano di Napoli.