Chiesa San Ferdinando di Palazzo Napoli

E' una delle chiese del quartiere più antico di Napoli, rettoria sacra al santo Gesuita, Francesco Saverio, sita in piazza Trieste e Trento, in uno spazio urbano che funge da terminale sud al rettifilo di Via Toledo.

Nonostante i fregi, le volute, gli affreschi, le tele e gli sfarzi interni alla chiesa siano stati concepiti e finalizzati per la celebrazione e la divulgazione dei fatti della vita di San Francesco Saverio, la chiesa comunque risponde al titolo di San Ferdinando.

E più precisamente al titolo di San Ferdinando di Palazzo, conferitole dai Cavalieri Costantiniani, i quali, in omaggio al re Ferdinando IV, la titolarono al suo santo omonimo dopo l'espulsione dei Gesuiti dal regno nel 1737.

Sta inglobata nell'isolato della Galleria Umberto I, mentre l'impaginato di facciata è attribuibile a Gian Giacomo di Conforto, almeno per la straordinaria coincidenza dello schema simile alla facciata della chiesa dei Santi Marcellino e Festo sulla collinetta del Monterone quattro passi sotto il Gesù Vecchio, e la stessa composizione della chiesa della Verità e della Madre di Dio a Santa Teresa degli Scalzi.


La chiesa appartiene oggi alla Reale Arciconfraternita di Nostra Signora dei Sette Dolori.

Alle spalle di questa chiesa è agganciata l'abside della chiesa di Santa Brigida di Svezia con ingresso che spunta sull'omonima via.

  • Il piccolo cancelletto in ferro battuto che chiude e protegge il varco all'edificio sacro anticipa e posticipa di pochissimo l'ingresso alla Galleria Umberto I, al portico carrozzabile del Regio Teatro San Carlo, nonchè posta di fronte agli ingressi laterali del Palazzo Reale di Napoli e della scenografica piazza del Plebiscito ove s'affaccia mastodontica e regale la chiesa di San Francesco di Paola. Da considerare come prioritaria rispetto alla complessiva e multiforme scenografia, l'altare maggiore come l'opera più importante di Domenico Antonio Vaccaro, notizia estratta dalla documentazione ecclesiastica presso il Museo Diocesano della città.Dal 1742 al 1743 eseguito dai maestri marmorari Pietro Nicolini e Francesco Colella che venne a sostituire dopo moltissimi anni un altare settecentesco forse in legno Il "Paliotto" è interamente occupato da decorazioni plastiche indubbiamente di matrice vaccariana. Il "pavimento della navata" è opera di Filippo Pardo, 1748. Le "Due Acquasantiere" splendidi capolavori dell'arte marmorara barocca sono state ralizzate a partire da un disegno mistilineo di Cosimo Fanzago. La chiesa appartiene oggi alla Reale Arciconfraternita di Nostra Signora dei Sette Dolori, data ad essa in uso “pleno jure” nel 1828 direttamente dal Re Francesco I, così come confermato dallo stesso Re Carlo di Borbone, il quale volle, il 31 Marzo del 1743, con suo rescritto ascriversi a detta Congrega quale suo Superiore perpetuo e Fratello Maggiore. Seguirono la Regina e tutti i principi e ininterrottamente dal 1861 in poi tutti i membri della famiglia reale appaiono ascritti tra i confratelli e le consorelle, partecipando a tutte le allora numerose funzioni religiose. Da quella data e fino al 1946 gli unici sovrani di Casa Savoia che hanno onorato questa Arciconfraternita son stati Vittorio Emanuele III e Umberto II. Alla data del rescritto medesimo, si legge sul documento che dev'esser Superiore Perpetuo e Fratello Maggiore della venerabile Arciconfraternita, da sempre come per sempre, il Capo della Real Casa di Borbone delle Due Sicilie. A motivo di questa tradizione, dal 1743 il Priore pro-tempore della Congrega porta il titolo di Vice Superiore. Posa della prima pietra si è registrata con gran cerimonia nel febbraio del 1636, solo sei anni più tardi completata la maestosa cupola della chiesa e dopo l'interruzione dei cantieri si giunse alla consacrazione della prima parte della chiesa solo dopo il maggio del 1641.

Fu voluta dai Gesuiti e dedicata ad un santo spagnolo del loro stesso Ordine, Francesco Xavier.  

Poi ben presto dai napoletani chiamato familiarmente, solo e soltanto, Saverio.

  • Quindi, Caterina Zunica vedova del conte di Lemos Pietro Castro quale Vicerè spagnolo a Napoli tra il 1610 e il 1616, tiene in programma e in vero solo in parte riuscirà a realizzare l'ampliamento dell'annesso convento, la scuola e nonché la stessa chiesa per i soli dodici religiosi che dentro ci vissero in pianta stabile in condizioni così come lo ricorda il Minichini, ovviamente a sentir le loro lagne, in assoluta precarietà. Le notizie riguardanti i progettisti di questa chiesa consegnate nelle varie letterature sono molto discordanti. E' possibile però limitarsi a dar notizia in modo sommario data la complessità e talvolta anche le discrepanze offerta dalla letteratura sull'argomento e dei numerosi progetti e disegni come quello di Agostino Stoia, mentre è presunto che la chiesa sia stata edificata su progetto di Cosimo Fanzago. Fatto questo assai discutibile visto che il primo disegno, molto simile all'impianto attuale dell'edificio, aveva solamente due cappelle per lato; ma non venne mai realizzato come è appunto verosimile a vedersi e come è anche presumibile non ci sia stata la mano dello stesso Cosimo Fanzago.

Si ritiene invece che sia stata disegnata da Giovan Giacomo di Conforto.

Come lo dimostrerebbe un disegno ritrovato da Roberto Pane nel deposito del Museo di San Martino.

  • Poi pubblicato postumo al 1930. E se non altro per la straordinaria somiglianza della vecchia sistemazione barocca del disegno di facciata quasi identico alla chiesa della Madre di Dio a Santa Teresa degli Scalzi e alla chiesa dei Santi Marcellino e Festo sul Monterone. Ma Giovan Giacomo di Conforto muore nel 1630 il che fa escludere il nome di tale architetto nella progettazione dell'anzidetto edificio e pone la questione su chi sia stato per davvero a disegnarla e realizzarla almeno fino al 1642 anno in cui il Daloe denuncia l'apertura di una chiesa grandissima consacrata ma non completata. Vi è poi discussione assai sottile oltre che anche assai divertente circa l'opposizione mossa dal Conte di Castrillo data 1655 che interruppe i lavori della chiesa medesima, per poi intenzionarsi a distruggere la vicinissima cupola della chiesa di Santa Brigida onde aver libera la vista nei bombardamenti da eseguirsi dal torrione più a Nord del Maschio Angioino in direzione del fianco collinare dei Quartieri Spagnoli. La pianta disegnata mostra uno schema controriformista, con un'unica navata, cappelle ai lati, transetto con cappellone, cupola sulla crociera e profondo abside che sembra curvo, ma nella sezione risulta chiaramente poligonale. Esiste nel documentario diciamo anche un secondo registro datato tra il 1738 e il 1759 ove è stranamente visibile siano state rimosse le volute e la balaustra per il coronamento della facciata eretta in piperno e marmo bianco opera quasi sicuramente di Antonio Francesco Picchiatti con incisione del 1718 del Petrini. In chiesa poi fa bella mostra di sé sul soffitto dell'unica navata la decorazione a fresco del De Matteis, allievo di Luca Giordano lavoro eccellente che lo porterà alla ribalta nel 1645 nel proscenio dell' arte sacra. Nella volta della navata seguono per opera dello stesso artista gli episodi relativi al: “Trionfo della religione sull'eresia per intercessione dei santi Ignazio, San Francesco Saverio, San Francesco Borgia e tre santri giapponesi, mentre Maometto precipita giù con tutto il Corano”. Nella cupola è celebrata la "Gloria dei Santi Gesuiti" ma di questa decorazione resta solo la pittura dei pennacchi, dove, alle "Virtù teologali e alla Giustizia" si unisce uno stupendo coro di angeli che sfonda i limiti degli angusti spazi triangolari per invadere il cornicione sul quale è impostato il tamburo poggiante la cupola. Qui l'affresco originario è andato perduto causa la forza degli elementi e sostituito negli anni dieci del '900 con un intervento di Francesco Diana, il quale nella sostituzione ha rappresentato "...fiugre allegoriche, motivi decorativi e puttini."

Il quadro sull'altare maggiore è opera di Federico Maldarelli.

Ricordiamo con curiosità le vicissitudini per la definitiva sistemazione di questo quadro sull'altare maggiore.

  • All'atto, all'inizio della costruzione del tempio dedicato a San Francesco Saverio nel 1622 per indigenze dell'Ordine dei Gesuiti i lavori vennero per un tempo, questo va detto mai si è saputo quanto indeterminato, sospesi per esser poi ripresi per soli trentamila ducati e a spese della gentildonna vedova del Vicerè conte di Lemos Pedro de Castro, Caterina della Cerda y Sandoval. Fu così commissionato al pittore Salvator Rosa un gran quadro raffigurante San Francesco Saverio in gloria, ma il dipinto non piacque. La commissione della tela passò quindi al Fracanzano che egualmente non piacque. Si pensò allora di rivolgersi a Luca Giordano, il quale senza troppe cerimonie in sole trenta ore di lavoro, da solo, al buio, realizzò l'opera oggi trasferita per comando dei Cavalieri Costantiniani presso il museo borbonico, sostituito dall'opera del Sarnelli, allievo del De Matteis, che, a sua volta, verrà poi sostituito dall'attuale San Ferdinando del Maldarelli. Nella prima e seconda cappella a sinistra di Giovan Battista Rossi, i "Martiri gesuiti" e "La Sacra Famiglia"; terza ed ultima cappella un "San Luigi" di Paolo De Matteis In quelle di destra a partire dalla prima cappella la tela di Nicola Maria Rossi raffigurante "San Stanislao Kostka"; nella seconda attribuili a Giacomo Farelli l' "Annunciazione" e "La Natività". In sacrestia: "La presentazione al Tempio" ed "Il sogno di San Giuseppe" opere provenienti dalla distrutta chiesa di San Luigi di Palazzo. Nel transetto a sinistra dell'altare maggiore si osserva il dipinto dell' "Immacolata concezione" di Cesare Fracanzano e due sculture, una delle quali, raffigurante il "Davide" di Lorenzo Vaccaro poi terminata dal figlio Domenico, il quale finirà per terminare anche l'altra opera iniziata dal padre: il "Mosè". Addossato alla parete di fondo un bel monumento marmoreo opera di Tito Angelini, dov'è sepolta Lucia Migliaccio duchessa di Floridia moglie morganatica di Ferdinando IV. Nel transetto di destra il dipinto sulla "Visione di Sant'Ignazio" di Francesco Altobello e dove è anche rappresentato il "Cristo sotto il peso della croce" e "Quattro angeli in marmo di Giuseppe Sanmartino, quest'ultimo, ci piace ricordarlo, assieme a Tito Angelini son autori dei capolavori di sculture marmoree esposti a piazza Dante.


Spazio note

(1) Parte del materiale qui pubblicato è stato estratto da: Testo a stampa (moderno) Monografia SBL0458169 Descrizione La *nuova guida storica, artistica, monumentale, turistica della citta di Napoli e dintorni / Vittorio Gleijeses ; prefazione di Bruno Milanesi. - Napoli : Societa editrice napoletana, 1973. - VI, 495 p., [12] c. di tav. : ill. ; 22 cm + 1c. topogr. Dello stesso autore; cfr; Testo a stampa (moderno) Monografia CFI0200043 Descrizione *Chiaja : un quartiere storico napoletano tra miti e leggende / Vittorio Gleijeses. - Napoli : F.lli Fiorentino, 1989. - 255 p., [15] c. di tav. : ill. ; 24 cm.