Sala dell'Archeologia a Santa Chiara di Napoli

E’ Sala dell’Archeologia presso il Museo dell’OperaSanta Chiara di Napoli1 all’interno della quale son esposte le testimonianze archeologiche del complesso conventuale, del chiostro maiolicato, il monastero delle Clarisse e parte del materiale lapideo rinvenuti dalle strutture sommerse dell’area archeologica più propria di Santa Chiara come anche dai bagni termali limitrofi alla sua forma urbana.

L’accezione che contraddistingue i reperti della Sala e la nuova esposizione di essi, sta tutto nel riuso che se ne è fatto di questi oggetti. Molti di questi son stati recuperati dalla chiesa di Santa Chiara crollata durante i bombardamenti del 4 agosto 1943.

Sotto le macerie vennero recuperati i pezzi di maggior significato storico e contestuale e che pochissimi sanno che in realtà questi pezzi oggi in esposizione erano già stati in parte riutilizzati durante le varie fasi di restauro profondo del Settecento e dell’Ottocento e che durante il corso del Novecento furono sepolti dalle "nuove sistemazioni di altra roba aggiunta" e che proprio il disastroso crollo ha potuto mettere in evidenza.


Il filo logico delle composizioni repertistiche della sala archeologica.

Quindi questi oggetti sarebbero di datazione ancor più antica e l’esposizione in sala del materiale segue effettivamente un criterio essenzialmente filologico dato da composizioni frammentarie di pezzi esclusivi di date storiche certamente coincidenti con situazioni di intervento architettonico registrato nel corso dei secoli.

  • Altro problema rilevante che ha dato significato concettuale all’esposizione del materiale è stata data dalla provenienza del materiale non certamente della sola città napoletana, ma spintosi anche oltre nelle direzioni dei territorio vesuviano, le primazie dei villaggi pompeiani dispersi sopra e sotto la costa del Golfo ai margini del Vesuvio; ma anche nella direzione di Roma prima e dopo la congregazione delle comunità rurali dei Campi Flegrei. Il registro della Cancelleria angioina, infatti, ricorda di un trasporto di grandi quantità di marmi da Roma, richiesti per le fortificazioni della Basilica francescana, per la chiesa conventuale dei Minori a San Lorenzo Maggiore e per il monastero di Donnaregina Vecchia a Settembrini. In sala una colonna di marmo cipollino, un nucleo di frammenti di ceramica romana ed esemplari del XIII e XIV secolo, rappresentati esclusivamente da pezzi d’anfora rinvenute nel circuito vascolare delle terme sotto Santa Chiara che negli anni dell’Alto Medioevo napoletano vennero utilizzate come una sorta di discarica.

I pezzi appartenenti alla ceramica di Santa Chiara.

Dalle perforazioni in sottosuolo lungo il braccio occidentale del convento, sono stati portati alla luce pezzi ceramici datati tra il XII ed il XIX secolo. Pezzi riferibili alle produzioni tardo antiche in ceramica da fuoco, pezzi policromi e monocromi, in parte invetriata ed in parte marmorizzata.

Si tratta di ceramica comune, ceramica invetriata e maiolica.

  • Per quanto riguarda la ceramica comune prevalgono le anfore di piccole dimensioni adatte all’uso da tavola dipinte in sottilissime striscioline rosse.
  • La ceramica invetriata è rappresentata dalle ciotoline a spirali in bruno e a spirali in galloni bruno e verde.
  • La maiolica è documentata da ciotole impreziosite dal fondo stilizzato e policromo e disposto a croce.
  • In esposizione i pezzi della ceramica del Quattrocento rassegnata da frammenti di calici decorati a lustro, molto probabilmente di fattura arabo-spagnola. Del Cinquecento sembrerebbero esser i piatti dipinti a motivi geometrici nelle forme peculiari dell’arte di Montelupo in Toscana, ed altri che apparterrebbero alle produzioni dette ”turchine” dei Castelli d’Abruzzo ultimo quarto del XVI secolo. Di entrambe le diverse località di produzioni sarebbero i frammenti del ”compendiario” che si presentano come semplici ghirlandine in blu e giallo. Le produzioni ”all’uso di Genova” e dei liguri sono datate tutto il Seicento ed il primo Settecento; sono scodelle e crespine di bianco e di blu con fondo marchiato del segno della fabbrica di Albisola e Savona. All’attività delle fabbriche napoletane si debbono attribuire anzitutto lo scodellame copiato dai genovesi, i piatti di maiolica monocroma d’uso corrente. Poca roba si riferisce alla produzione delle maioliche regio meridionali documentati da piatti e scodelle decorati a spugnetta, a graticcio, con coperchio e sigla di Santa Chiara.


Spazio note

 (1) Liberamente estratto da: Monastero di Santa Chiara Guioda Electa Napoli a cura di Annalisa Alabisio BNN SEZ NAP VI B 1625