Chiesa Egiziaca a Forcella Napoli

E' la chiesa di Santa Maria dell'Egiziaca all'Olmo1, dominata dall'insula dell'Annunziata Maggiore e dalle storie leggendarie della Ruota degli Esposti e più a sud delle storie commerciali di palazzo Martone.

E' la seconda chiesa a Napoli a possedere il titolo dell'Egiziaca; l'altra chiesa, Santa Maria dell'Egiziaca al Monte, si trova nell'omonimo quartiere a Pizzofalcone, cuore urbanistico dei Quartieri Spagnoli.

Assieme a San Pietro ad Aram, Sant'Agostino Maggiore alla Zecca, San Pietro MartireSant'Onofrio de'Vecchi, Santa Maria Egiziaca all'Olmo è la quinta chiesa che affaccia sul Rettifilo o corso Umberto I, poco prima di piazza Nicola Amore, e fronteggia l'ultimo capoposto del Borgo degli Orefici.

E' questa una di quelle chiese storiche di Napoli che, secondo il Quaglia, per massimizzare il benessere edilizio, alla sua base ci devono stare i negozi e laddove può esser possibile ai piani superiori va fatto largo uso del balcone, anche al costo di procurare brecce nel muro maestro per le preesistenze che dovessero scampare all’opera di sventramento.


La chiesa dell'Egiziaca all'Olmo nella storia di Napoli.

Il partito delle masse piene, il palpito della pietra per dirla col Selvatico, dev’esser cambiato in nome del commercio.

  • Gli edifici, anche le chiese, in città non debbono esser più segno di potere consolidato, dei mausolei, luoghi di mistero, fortilizi, bensì devono essere arieggiati, soleggiati, aperti agli scambi e alla socialità. Fu costruita nel 1342, per volere della moglie di re Roberto d’Angiò, la regina Sancia2, con un monastero annesso che aveva la funzione di ospitare e dare assistenza alle cosiddette “donne traviate” pronte a redimersi, ripercorrendo quella che fu l’esperienza di vita della Santa3 a cui venne intitolata la chiesa. La funzione assistenziale non durò a lungo e già dopo pochi anni il monastero cominciò ad ospitare ragazze proveniente da famiglie agiate della borghesia cittadina, incrementando in questo modo, grazie alle cospicue donazioni, il suo già ricco patrimonio. Nel corso dei secoli sono state eseguite diverse opere di restauro e la prima di cui abbiamo testimonianza risale agli inizi del Cinquecento, quando la chiesa venne ricostruita dall’architetto Gabriele d’Angelo; dal 1595 ai primi anni del 1600, Giacomo Antonio Palmese diresse un intervento di restauro che interessò soprattutto il refettorio del monastero. Un ulteriore intervento di restauro venne pianificato a partire dal 1683 dall’architetto Dionisio Lazzari, medesimo autore della cappella dell'Assunta ai Girolamini, il palazzo Firrao a Via di Santa Maria di Costantinopoli, e del pulpito del Monacone al Rione Sanità. Il progetto prevedeva una pianta ovale ai cui lati si aprivano cinque spazi, tre dei quali destinati ad ospitare le cappelle, un navata centrale e una cupola4 a volta costolonata. I lavori della nuova chiesa procedettero in maniera celere e già pochi mesi dopo Giuseppe Troise poté occuparsi degli stucchi, mentre al maestro intagliatore, Nicola Schisano, fu affidata la costruzione di un altare in legno, sostituito nel 1713 da uno in marmo eseguito dallo scultore Gennaro Ragozzino. Con la morte del Lazzari nel 1689, la direzione dei lavori passò a diversi altri ingegneri, di cui ricordiamo nella prima metà del Settecento, Nicola Tagliacozzi Canale: a questo periodo risale anche lo splendido pavimento maiolicato di Domenico Attanasio che purtroppo andò distrutto durante i lavori di restauro del 1965. Tra il 1756 e il 1790 furono messi in cantieri i lavori per l’ampliamento del monastero e al 1765 risale la costruzione del chiostro che attualmente è l’unico ambiente rimasto integro dopo che tutto il complesso fu inglobato dalla fabbrica dell’ospedale Ascalesi.

Il patrimonio d'arte della chiesa dell'Olmo.

  • Notevole è anche il patrimonio pittorico conservato all’interno della chiesa, testimonianza della dedizione svolta dalla committenza religiosa tra la fine Seicento e l’inizio del Settecento: di Giacomo Fanelli, dipinta nella seconda metà del Seicento, è la tela con San Nicola di Bari che salva il fanciullo coppiere, conservata nella prima cappella di sinistra, mentre sull’altare maggiore è possibile ammirare una tela del Vaccaro, del 1668, la Comunione di Santa Maria Egiziaca. Di Luca Giordano troviamo un importante testimonianza all’interno del presbiterio, con due tele raffiguranti Santa Maria Egiziaca che ha la visione della Vergine e La fuga della Santa nel deserto; entrambe le opere sono databili intorno al 1702. Sempre del Giordano è una replica del quadro realizzato dallo stesso pittore per la chiesa romana di Santa Maria in Campitelli, ovvero Santa Anna che presenta all’Eterno la Vergine5. Altra grande testimonianza del barocco napoletano, sono le due grandi pale d’altare di Francesco Solimena: la Madonna del Carmine con i Santi Angelo e Chiara da Montefalco, datata 1696, conservata nella terza cappella di destra, e la Madonna del Carmine con i Santi Agostino e Monica, collocata nella cappella frontale, del 1690.


Spazio note

 (1) Tutte le informazioni contenute in questo scritto sono state liberamente tratte dal testo "Napoli Sacra, guida alle chiese di Napoli 9°itinerario" a cura della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Napoli e Provincia. Elio De Rosa editore, 1996, Napoli. La chiesa assunse la denominazione di Santa Maria Egiziaca Maggiore, detta popolarmente Santa Maria Egiziaca all’Olmo, per un grande albero presente nella piazza antistante la chiesa, nel 1639, per distinguersi dall’omonimo monastero fondato a Pizzofalcone.
 (2) Il monastero, grazie alla regina, godette fin da subito di una cospicua rendita che comprendeva anche alcuni terreni presso la città di Torre Annunziata.
 (3) Le fonti narrano di come Santa Maria Egiziaca, dopo una vita da peccatrice, avesse trascorso quarantasette anni nel deserto in completa solitudine.
 (4) Le decorazioni dei peducci su tela della cupola raffiguranti i Quattro Evangelisti sono opera del pittore casertano Paolo de Majo, discepolo del Solimena, che le dipinse nel 1739.
 (5) Il quadro fu trafugato, assieme ad altri dipinti, nel 1993.