Chiesa Pietà dei Turchini a Napoli

E' la chiesa Pietà dei Turchini a via Medina di Napoli1 poeticamente descritta come la fabbrica dei cantori napoletani del Sei e del Settecento, sede del nascente naturalismo del Caravaggio1bis e della svolta barocca di Luca Giordano.

Sorta contemporaneamente alla costruzione di San Pietro a Majella, all’apice di Via San Sebastiano, è infine conclusa e trattata solo come elemento di semplice raccordo al vicinissimo edificio del marchese di Genzano e Fondi2(3).

La sua costruzione risale al 1595(4), anno in cui furono ultimati i lavori, di cui ancora oggi sopravvivono diverse opere di restauro, la pianta originale costituita da una navata centrale e da dieci cappelle laterali.
Nel 1633 Felice Marino, l’allunga parzialmente oltre ad aggiungervi il transetto, mentre la cupola resta imbrigliata da un cerchio di ferro che le impedirebbe di collassare dal 1688, anno in cui un terribile terremoto ne stava causando il crollo.
Nonostante sia inscritta al patrimonio sacro come la chiesa di Santa Maria dell’Incoronatella, il suo nome storico rimane Pietà dei Turchini, immutato in ricordo principalmente del colore dell’abito "[…] modesto, e decente, di color torchino, lungo a modo di sottana ecclesiastica"(5) indossato dagli iscritti allo studentato del prestigioso conservatorio la Pietatella(6).


Il fronte fascista in cui è collocata la facciata della chiesa dei Turchini. 

Tra l'altro la Pietatella è il titolo storicamente accertato per la vetusta chiesa delle origini di Santa Maria dell’Incoronata, nota come "Incoronatella" o “Pietatella”, oggi meglio localizzata nel cuore del borgo di Rua Catalana, alle sue spalle, e definitivamente inglobata dalle azioni del Risanamento napoletano del 1925 assieme alle chiese chiuse di Santa Barbara dei Cannonieri, Graziella al Porto e San Giacomo degli Italiani.


La struttura immobiliare dei Turchini e le trasformazioni epocali. 

L’intera struttura, soprattutto con l’aggiunta di lasciti e donazioni di edifici confinanti, andò ad assumere una conformazione strutturale molto complessa, quasi labirintica; non sempre in maniera semplice si riesce ad avere una visione d’insieme delle diverse superfetazioni architettoniche sviluppatesi intorno al nucleo originale nel corso dei secoli.

  • Per volere di Paolo V, a partire dal 1607, la direzione spirituale e disciplinare del conservatorio fu affidata ai "Padri Somaschi"; ad essi subentrarono, in un secondo momento, "…sei sacerdoti secolari scelti nella Congregazione dell’Assunta, nel Collegio dei padri Gesuiti, detta del Padre Pavone"(7)La cura dell’Istituto, invece, fu affidata in un primo momento a sei Governatori il cui mandato durava un anno, due eletti tra gli abitanti delle ventinove contrade in cui era amministrativamente ripartita la città di Napoli – le cosiddette ottine , due tra i confratelli dell’oratorio della Santissima Pietà e due tra i residenti di altre strade della città, purché fossero confrati scritti al libro della chiesa di Santa Maria dell’Incoronata(8). In un secondo momento, i Governatori passarono a tre e furono scelti solamente tra i confratelli dell’oratorio. Una delle funzioni dei Governatori era la nomina dei "deputati", i quali avevano il compito, secondo le aggiunte alle antiche Capitolazioni, di recarsi per le strade della città con le apposite cassette a chiedere offerte per assecondare le necessità dell’Istituto. Con il tempo, questo compito andò scomparendo e l’Istituto sostituì la questua con forme di finanziamento più sicure, come l’impiego degli stessi allievi in attività esterne al conservatorio; gli allievi erano molto richiesti per cantare e suonare non soltanto nelle chiese, nei conventi e nelle case private, ma anche durante le processioni, le feste pubbliche e i funerali e, nel tempo, formarono delle vere e proprie compagnie musicali. I Governatori avevano anche il compito di reclutare personalmente, nei quartieri più disagiati della città, i fanciulli che potevano essere ospitati nell’orfanotrofio; a partire dal 1585, due anni dopo la fondazione, nell’Istituto furono accolti anche quei ragazzi che spontaneamente ne facevano richiesta.

La chiesa dei Turchini nel XVII secolo.

  • Nel 1600, un nuovo regolamento prevedeva l’ingresso nell’istituto solo per quei fanciulli bisognosi e senza padre, di età compresa tra i sette e i quindici anni, limite che poi fu esteso a ventidue anni e, in casi di eccezionale bravura, poteva anche essere protratto in età più avanzata. A partire dal 1615, accogliendo la tesi di Salvatore Di Giacomo9, con l’ingresso ufficiale della musica come insegnamento all’interno delle Pia Istituzione, si verificò un nuovo cambiamento che prevedeva l’iscrizione al conservatorio di alunni paganti "i cosiddetti "pensionisti", napoletani o forestieri, a condizione che non fossero nati da matrimoni illegittimi né avessero pendenze penali presso corti ecclesiastiche o laiche10.

La chiesa dei Turchini al su interno ed il sistema delle cappelle.

La chiesa al suo interno veste il caratteristico splendore barocco che le è stato conferito dal repertorio iconografico di Michelangelo, Mattia Preti e Luca Giordano principalmente.

  • A partire dalla prima cappella abbiamo: Santa Maria delle Grazie, nota anche come dell’Agonia di San Giuseppe, il cui patronato apparteneva dal 1759 a Giuseppe Della Mura. Sull’altare, in marmi policromi, opera di Francesco Raguzzini, è collocata una pala lignea con al centro un dipinto di Paolo De Matteis raffigurante il Transito di San Giuseppe; mentre la cimasa, raffigurante Il Padre Eterno, è attribuibile a Pompeo Landulfo. Alle pareti troviamo due tele di Domenico Fiasella11: a sinistra La Madonna in gloria con la veduta di Genova, a destra la Crocifissione.
  • Proseguendo troviamo la seconda cappella Cappella del Crocifisso; qui l’altare è sormontato da un Crocifisso ligneo databile seconda metà del Seicento. Nella volta a tutto sesto, affreschi raffiguranti Scene della Passione di Cristo attribuibili a Onofrio de Lione; alle pareti, invece, due tele di artista ignoto, molto probabilmente della scuola di Domenico Antonio Vaccaro: a sinistra l’Orazione nell’orto, a destra la Flagellazione. Il patronato della cappella è dei Soria dei Morales e, molto importanti, sono i due monumenti sepolcrali: quello sul lato sinistro di Diego Soria, sormontato da un busto che lo raffigura e opera di Pietro Ghetti, quello di destra in memoria del padre dello stesso Diego, databile 1641.
  • La terza cappella, Cappella San Vincenzo, fu dedicata al Santo medesimo dal marchese di Collenise della famiglia De Ponte, nel 1621. L’altare è di Carlo Dellifranci e su di esso spicca la grande tavola dell’Annunciazione di Belisario Corenzio; sulle parenti troviamo un ciclo di affreschi che raffigurano Le Storie della Santa Vergine, in alto la Visitazione e infine, a destra, la Presentazione di Gesù al Tempio e la Presentazione di Maria al tempio. Al centro della volta è raffigurata l’Assunzione della Vergine.
  • La quarta cappella Cappella di San Nicola di Bari fu venduta nel 1642 dal rettore della chiesa a Isabella d’Aquino; in seguito il patronato della cappella passò alla famiglia Ferri, come è testimoniato dall’iscrizione presente sulla lastra tombale al centro del pavimento. L’altare settecentesco è ancora una volta opera di Carlo Dellifranci: su di esso è presente una tela secentesca, di autore ignoto, raffigurante San Nicola di Bari. Sulle pareti troviamo affreschi di Agostino Beltrano databili 1641: a sinistra la Contemplazione dell’urna con i resti di San Nicola, e un tondo con San Nicola che guarisce uno storpio; nella volta San Nicola in Gloria, a destra San Nicola che distribuisce la comunione e l’Istituzione dell’Eucaristia.
  • All’interno della quinta cappella Cappella dell’Angelo Custode, prima di proprietà della congregazione dell’Oratorio dei Bianchi, in seguito dei Cavalcanti dell’Ufficio del Corriere Maggiore e infine alla famiglia Marinetti, uno dei capolavori della pittura naturalistica napoletana, ovvero il dipinto di Filippo Vitale l’Angelo Custode, opera databile tra il 1620 e il 1630. Il pavimento è costituito da quadranelle maiolicate in terracotta, ed è databile alla fine del Settecento. Un’altra opera presente all’interno della cappella è la Resurrezione di Cristo di Paolo De Matteis.
  • Nel 1780 furono affidati a Nicola del Giacomo e Emanuele Ascione i lavori per la costruzione del Cappellone collocato nel transetto sinistro. Le tele presenti al suo interno sono tutte attribuibili a Giacinto Diano: a sinistra troviamo l’Adorazione dei Magi, l’Adorazione dei Pastori e la Presenza di Gesù al Tempio; in alto le due opere, collocate ai lati di una fascia centrale, hanno come soggetto la Strage degli Innocenti, mentre più in basso sono collocate altre due tele che raffigurano i Profeti Geremia e Isaia. Ancora, alla sinistra del finestrone, troviamo Il Sogno di San Giuseppe La fuga in Egitto.
  • L’Altare Maggiore, realizzato tra il 1770 e il 1773, è opera di Giovanni Atticciati, mentre la balaustra che lo precede è un lavoro di Carlo Dellifranci. Nell’abside possiamo ammirare il dipinto di Giacinto Diano la Pietà; a sinistra dello stesso troviamo la Deposizione di Luca Giordano, mentre alle spalle dell’altare sono collocate due tele del Vaccaro: l’Andata al Calvario a sinistra e Cristo dinanzi al Pilato a destra. Infine, un’altra tela del Giordano è collocata al di sotto della Pietà di Andrea Vaccaro: si tratta dell’Invenzione della Croce, opera dipinta negli ultimi anni del XVII secolo.  

La zona altare maggiore.

Continuando il percorso, alla destra dell’altare maggiore incontriamo Il Cappellone di Sant’Anna, fondata da Francesco Rocco nel 1667.

  • Al centro dell’altare è collocata la tela di Andrea Vaccaro Sant’Anna che offre Maria all’Eterno, del 1671, e alla sua desta la Morte di Sant’Anna. Nella parte superiore della cappella troviamo opere di Nicola Vaccaro che raffigurano l’Apparizione di Sant’Anna e diversi episodi miracolosi; ai lati del finestrone sono posizionati quattro dipinti di Giuseppe Mastroneo: a sinistra le Nozze della Vergine e La Cacciata di Anna dal Tempio, mentre sulla parete destra troviamo l’Annunciazione e il Transito di Gioacchino. Altri due dipinti del Mastroneo sono collocati nel sottarco, ovvero un Angelo musicante e l’Assunzione della Vergine. Il monumento sepolcrale di Francesco Rocco è situato sul lato sinistro della cappella ed è un’opera di Lorenzo Vaccaro del 1678.

Le cappelle di sinistra.

  • Proseguendo, incontriamo la prima cappella di sinistra Cappella dei San Liberatore, di patronato della famiglia D’Amore. Sull’altare in marmo di Carrara, risalente alla prima metà del Novecento, è posizionato un catafalco in alluminio e vetro contenente una statua di Santa Fara. Alla parete sinistra, due opere di Crescenzo Gamba: il Calvario e la Pietà, entrambe provenienti da San Giorgio dei Genovesi.
  • Nella seconda cappella di sinistra, la Cappella di San Carlo Borromeo, dal 1627 appartenente a Filippo Lantellieri, altri due dipinti di Andrea Vaccaro: la Flagellazione e l’Incoronazione di spine. L’altare della cappella subì delle modifiche agli inizi dell’Ottocento. Sull’altare della Cappella di San Giuseppe è posizionata l’opera di Battistello Caracciolo Trinitas Terrestris, commissionata dai patroni della cappella nel 1617. Altre due tele, in cattivo stato di conservazione, probabilmente del XVII secolo, sono collocate sulle pareti laterali della cappella. Infine, una statua in cartapesta, raffigurante Sant’Antonio da Padova risalente alla prima metà del XIX secolo, è collocata su un piedistallo all’interno della cappella.
  • Il marchese Leonardo Genoino, patrono della terza cappella di sinistra, la Cappella del Rosario, commissionò ad Andrea Molinaro la Tavola del Rosario, tutt’ora collocata sull’altare; le tele laterali sono di Luca Giordano: a destra la Visione di Santa da Lima, a sinistra San Giacinto che attraversa il Boristene.
  • Infine, la quarta cappella di sinistra Cappella di Sant’Antonio. Le prime notizie certe sulla cappella risalgono al 1778. L’altare è dominato dalla tela dell’artista napoletano Gian Battista Rossi, la Madonna tra i Santi Gennaro e Antonio da Padova; sulla parete sinistra si trova la Morte di Sant’Alessio, opera non attribuibile ma di origini seicentesche, mentre sulla parete destra abbiamo una tela di Giovan Francesco Romanelli proveniente anche questa da San Giorgio dei Genovesi e raffigurante il Beato Bernardo Tolomei che guarisce un’indemoniata; nella cappella è anche presente una Statua dell’Immacolata, databile al 1864.
  • Per concludere questo nostro percorso, sono da ricordare i due dipinti presenti nell’ufficio parrocchiale: il primo di un artista ignoto – risalente gli inizi del Novecento e che rappresenta l’Educazione della Vergine, il secondo di Juan Dò intitolato l’Adorazione della Vergine.


Spazio note

(1) Liberamente tratto da Laura Donadio, “La chiesa e il Real Conservatorio di Santa Maria della Pietà dei Turchini. Note storiche”, contenuto in “Santa Maria della Pietà dei Turchini : chiesa e Real conservatorio” / [coordinamento scientifico di Laura Donadio, Vincenzo Pacelli, Fabio Speranza]. - Napoli : Paparo, [2005]. (1bis) Dell’artista a Napoli sopravvivono retaggi d’arte investiti come capitale perpetuo anche per il Martirio di Sant’Orsola, altro grande capolavoro iscritto nel patrimonio d’arte Intesa San Paolo, esposto alla Galleria Stigliano, piano nobile dell’omonimo palazzo a via Toledo.
(2) Nappi, 1993, opera cit. in “La chiesa e il Real Conservatorio di Santa Maria della Pietà dei Turchini. Note storiche”, p.22.
(3) "La certezza che anche l’ edificio apparteneva all’ istituto è data oltre che dai vari documenti ritrovati nel suo archivio storico, anche dal ritrovamento di una scala in pietra che lo collegava con la chiesa, ritrovata durante i recenti lavori di restauro" Donadio, p.23.
(4) Liberamente tratto da Nicola della Monica, “Guida breve della chiesa della Pietà dei Turchini”, contenuto in “Santa Maria della Pietà dei Turchini : chiesa e Real conservatorio” / [coordinamento scientifico di Laura Donadio, Vincenzo Pacelli, Fabio Speranza]. - Napoli : Paparo, [2005].
(5) Ms Regole e Statuti 1746, I capo 3, cc. 15-16, cit. in Donadio p.27.
(6) Il primo nucleo del conservatorio fu costruito nel 1583 per intercessione della Confraternita dei Bianchi che, in Rua Catalana, aveva come sede la chiesa di Santa Maria dell’Incoronata; i confratelli decisero, con l’aiuto di donazione private, di ospitare degli orfanelli raccolti per strada in una casa adiacente alla chiesa e di stabilirvi la sede di una scuola musicale. La prima stesura delle Regole del conservatorio fu affidata a don Orazio del Monte, il quale sottopose l’intero documento alla regia approvazione; questa sorta di patrocinio regale ebbe una ricaduta positiva sull’intero istituto e le donazioni da parte dei nobili, sotto forma di lasciti testamentari o semplici elargizioni di somme di denaro, nel corso degli anni furono numerose. L’attività dell’istituto ebbe riscontri positivi anche da parte di diversi pontefici che non esitarono a concedere indulgenze a tutti quelli che si fossero dimostrati sensibili verso le necessità del conservatorio. Tutto ciò non fece che accrescere la fama dei Turchini e, soprattutto per il numero dei ragazzi presenti e per il crescente sviluppo delle attività al suo interno, esso fu trasferito ben presto in un edificio più ampio. Nel 1592 i governatori dell’istituto fecero richiesta al viceré per ottenere uno spazio adiacente all’edificio; l’anno dopo fu deciso che il nuovo istituto sarebbe sorto lungo la via delle Corregge – l’attuale via Medina – nel largo dell’Incoronata, di fronte all’omonima chiesa. I lavori per la costruzione del nuovo edificio furono affidati, in tempi diversi, a Vincenzo della Monica e a Costantino Avallone, durando circa venticinque anni. Il nuovo istituto si sviluppava su diversi livelli collegati tra loro da corridoi e scale: al primo piano si trovava l’appartamento del rettore; al secondo quello del vicerettore e del sacrestano, nonché l’oratorio della cappella della congregazione dei Bianchi e la cappella. Sempre sullo stesso piano furono collocati il dormitorio – diviso in diversi ambienti per ospitare separatamente i ragazzi più grandi, i più piccoli e, in modo più appartato, le voci bianche –, l’infermeria e una farmacia che distribuiva medicine anche agli abitanti del quartiere. Completava il tutto un forno per la produzione del pane
(7) MS De Lellis 1666-1688, IV, c.44r; Di Giacomo 1924, p.182, cit. in Laura Donadio, “La chiesa e il Real Conservatorio di Santa Maria della Pietà dei Turchini. Note storiche”, p. 25.
(8) Ivi. Pag 24
(9) Ivi. Pag 26
(10) Ricordiamo anche la pestilenza del 1645, che colpì la maggior parte dei conservatoristi, e quella del 1656, ancora più grave, che imperversò sulla città per sei anni decimando gran parte della popolazione del conservatorio. Negli ultimi anni del settecento, l’Istituto attraversò una profonda crisi da cui non seppe più riprendersi. Grazie all’intervento di Ferdinando IV di Borbone, che nel 1791 nominò come amministratore il calabrese Saverio Mattei, l’istituto conobbe alcuni anni di lenta ripresa in cui cercò di risollevarsi dalla precaria situazione di decadenza in cui versava; in tal senso, gli interventi del Mattei risultarono parzialmente efficaci. Tuttavia, alla morte dell’amministratore, avvenuta solo quattro anni dopo la sua nomina, i dissesti dell’istituto suggerirono all’arcivescovo di Taranto, monsignor Giuseppe Capecelatro, di inviare a Napoleone Bonaparte una relazione datata 30 agosto 1806 in cui chiedeva l’unificazione dei conservatori della Pietà dei Turchini e di Loreto a Capua – a sua volta frutto dell’accorpamento dei conservatori di Santa Maria di Loreto e Sant’Onofrio a Porta Capuana – nel Collegio Reale della Musica.La fusione avvenne nel gennaio del 1807 e, appena un anno dopo, il Collegio fu allocato nel monastero delle Dame di San Sebastiano; nel 1826, in maniera definitiva, esso prese dimora nel monastero dei padri celestini di San Pietro a Majella. Nel 1688, in seguito al terremoto, l’intera struttura della cupola fu imbrigliata tramite un cerchio in ferro per consolidarne la struttura; importanti lavori di restauro furono fatti anche successivamente, nel 1725, in seguito ad alcune perizie statiche degli ingegneri Filippo Marinelli, Giuseppe Stendardo e Cristoforo Sion. Tra il 1769 e il 1770, l’ingegnere Bartolomeo Secchione si occupò della progettazione e messa in opera di un atrio antistante la chiesa, oggi scomparso, ma di cui resta testimonianza nella pianta del duca di Noja (1775). Sempre secondo il Di Giacomo, tra il 1615 e il 1622, fu affidato al religioso Lelio d’Urso, il primo incarico di maestro di musica; subito dopo la direzione passò al maestro di cappella don Giovanni Maria Sabino e da allora, nei due secoli successivi, si sono alternati personalità di grande fama come Pasquale Cafaro, Lorenzo Fango, Leonardo Leo, Francesco Provenzale, Pasquale Sala, Francesco Saverio Mercadante, Nicola D’Arienzo. La vita dei conservatoristi era scandita, oltre che dalle lezioni di musica, latino, geografia e grammatica, da regole ben precise e da lunghe e impegnative pratiche religiose che comprendevano una catechesi rigida, che andava dalla recita mattutina dei salmi alla partecipazione della santa messa prima dell’inizio delle lezioni quotidiane. La vita del conservatorio non fu immune alle varie storie napoletane. È da ricordare, ad esempio, la tragica vicenda della rivoluzione del 1799, espressione delle nascenti ideologia repubblicane alla quale aderirono anche i “turchini”; essi parteciparono costituendo una sorta di comitato della musica composto da diciassette ragazzi che, in seguito, furono vittime di un’orribile repressione.
(11) In deposito dal 1980, della Monica, p.146.