Sala dei Marmi a Santa Chiara di Napoli

E’ la Sala dei Marmi a Santa Chiara di Napoli1, dove son raccolti i marmi provenienti dalla Basilica aulare e dal Monastero delle Clarisse.

Essa è collocata successiva alla Sala della Storia nell’ambito del Museo dell’Opera di Santa Chiara a Spaccanapoli.
In essa si custodiscono pezzi di marmo smembrate ab antiquo, tipo le sculture rappresentanti la Fortezza e la Giustizia che un tempo impreziosirono le cappelle della Basilica, segno più forte del patriziato napoletano abbandonato dai legittimi e lasciando alle monache il potere di agire su di esse.

Il susseguirsi, quindi di altre famiglie, ha modificato la linguistica sepolcrale ed su di essa anche l’assetto del simbolismo iscritto nell’uso dei marmi. Ne è un esempio classico, quanto mortificante per l’opera stessa, lo Scrivano e la Balaustradel monumento caro a Penna, riutilizzato nel 1627 come un altare che venne addirittura dedicato alla Santissima Trinità, a partire dal ritrovamento di un documento murario avente per suggestione il Thronum Gratiae.


La sala dei Marmi ed il pulpito di Giovanni e Pacio Bertini.

Ed anche la lastra di marmo attribuita a Tino da Camaino ritraente la Crocifissione, già rielaborata nel Quattrocento, ad uso di cortina alla tomba di Agnese e Clemenza e Durazzo, riscoperta poi per un puro caso durante la rimozione delle macerie dopo il disastroso evento bellico del 4 agosto 1943.

  • Diversamente invece la Visitazione, delicatissimo rilievo marmoreo del Trecento, venne scoperto nel 1916 mentre nello spazio del presbiterio della Basilica aulare veniva installato la copia dell’originario altare maggiore. Il pulpito della chiesa di Santa Chiara Vergine, nell’ambito delle attribuzioni storiche ai fratelli Giovanni e Pacio Bertini, poi ridimensionate in un allegro imitatore napoletano quasi certamente collaboratore anche nella realizzazione del rilievo marmoreo ritraente la Storia sulla Leggenda di Santa Caterina, testimonia da solo la controversa vita sociale della basilica nel suo insieme prima e dopo i bombardamenti del 1943. Oggi si trova esposto in questa sala smembrato, completamente divelti i pezzi che lo componevano inizialmente. Era costituito da una cassa pentagonale a cui mancava la facciata relativa alla zona del passaggio del predicatore. Quindi è pensabile che le colonne, a loro volta poggiate su leoni stilifori a sorreggerlo in alto fossero state più di quattro, e cioè il numero delle colonne visibile dal documentario fotografico prima dei bombardamenti, e, va aggiunto, comunque, quello fotografato prima del 1943, è ancora un ulteriore rimaneggiamento in stile barocco tra l’altro non nella posizione sua originaria, venne infatti spostato dal pilastro dell’ultima cappella di sinistra, all’ottavo pilastro dello stesso lato. E nello spostamento mutò anche forma, la cassa divenne quadrangolare. Addossandolo alla parete della cappella è verosimile credere che le venne sottratto qualche pilastro d’appoggio, furono rifatte le modanature. Di quest’oggetto oggi al museo dell’Opera restano i due leoncini stilofori, due capitelli frammentari, i resti di tre bassorilievi ed il bassorilievo più grande un tempo ospitato alla Sala Maria Cristina, sul quale, son stati scolpiti le scene di re Massenzio che da una finestra osserva il martirio della moglie Faustina, protetta dalla mano benedicente della Gratia Divina; mentre sui frammenti, vennero istoriate su fondo scuro, le vicende del Martirio di Santa Caterina d’Alessandria; il supplizio di San Giovanni il Battista nella vasca d’olio bollente, dinnanzi alla presenza della Regina Giovanna d’Angiò. Probabilmente è una scena allegorica atta a simboleggiare la forza del bene della Fede ed il Male che ne è conseguenza qualora non vi fosse Fede.


Spazio note

(1) iberamente estratto da: Monastero di Santa Chiara Guioda Electa Napoli a cura di Annalisa Alabisio BNN SEZ NAP VI B 1625