Chiesa San Carlo all'Arena a Napoli
È una delle chiese del centro storico di Napoli1, con ampia facciata aperta sul tratto settentrionale di Via Foria all’incrocio di questa con via Cirillo e via Annibale De Gasperis, caratterizzata da uno stile imposto dall’ultimo restauro effettuato nel 1840 da Francesco De Cesare con i fondi di palazzo Reale, all’epoca del dominio di Ferdinando II.L’immobile ancora soffre delle terribili vicende legate ad un incendio divampato nel 1923 che la distrusse in parte, e ai danni materici e strutturali lasciati dal terremoto del 1980.
Il toponimo all’Arena, fu aggiunto ad indicare il punto di raccolta naturale delle acque piovane giunte dal Borgo dei Vergini e di lì poi, grazie al grosso solco scavato dalla forza dell’acqua, segnatamente per quel che oggi appare come il tracciato di Via Foria, raggiungeva l’altro invaso rettilineo per quel che oggi è detta via Arenaccia, nella zona orientale della città.
San Carlo all’Arena è la seconda delle chiese napoletane assieme alla chiesa San Carlo alle Mortelle ai Quartieri Spagnoli ad esser stata dedicata all’arcivescovo milanese Carlo Borromeo quando costui ancora non era stato canonizzato2.
Il tempio, sacro reliquiario storico, di forma circolare, con interno a pianta ellittica e sette altari, è attribuito ad un disegno del maestro fra’ Nuvolo, estratto dalla scuola dei Domenicani del vicinissimo Monacone alla Sanità, che non riuscì per il sopraggiungere della morte a completare la cupola finita solo nel 1680.
Fu inaugurato nel 1700, e consegnato al pubblico culto nel 1756. La prima versione della chiesa attuale fu fatta costruire per opera di Silvestro Cordella, nel 1602, molto più ad occidente dell’attuale posizione che occupa sul territorio, quindi, fu ricostruita vent’anni più tardi, laddove oggi si trova, per opera delle elemosine raccolte da don Giovanni Longo suo primo rettore.
Nel 1623, assunse il nome di chiesa di San Carlo e San Bernardo, in onore al fondatore dell’Ordine dei monaci Cistercensi3, ai quali venne affidata la ricostruzione della seconda chiesa4, che fu appunto scelta in luogo più prossimo all’antico perimetro murario, in posizione tattica rispetto all’alveo di acque piovane che hanno oggi determinato l’assetto di Via Foria, e fu anche costruito l’annesso monastero cistercense, quel che oggi è l’istituto tecnico per geometri Gian Battista della Porta.
I Cistercensi l’abbandonarono all’indomani della soppressione degli Ordini per loro avvenuta nel 1792, portando via un preziosissimo Angelo Custode di Massimo Stanzione e due dipinti del Sanfelice: Vergine con San Carlo Borromeo ed ancora: Vergine coi Santi Gennaro, Benedetto e Scolastica5.
Presto fu pensato di accordare ospitalità al Conservatorio del Cuore di Gesù, in seguito all’abbandono dei monaci, ma per i fatti accaduti in città circa gli episodi della Repubblica Partenopea, la chiesa venne adibita ad uso di stipo per il fieno ed il monastero come presidio militare6.
In omaggio a San Carlo, intercessore per lo scampato pericolo incorso nel colera del 1836, la chiesa fu nuovamente restaurata ad opera di Francesco De Cesare; passò agli Scolopi che attivarono l’Istituto delle Scuole Pubbliche, poi definitivamente soppresso nel 1867.
La facciata della chiesa di San Carlo all’Arena, mantiene le impostazioni che le sono state aggiunte dall’ultimo restauro, operato da Francesco De Cesare e le due colonne all’ingresso, dono del re in persona, sono molto più antiche dei materiali usati durante la fase del restauro.
Mentre più in alto sono stati collocati i due bassorilievi ritraenti, San Carlo che distribuisce ai poveri il ricavato della vendita del Principato d’Otria e San Carlo che comunica agli appestati.
La cupola è bassa e presenta un ciclo di affreschi che ne soffre il recupero: Angeli e Profeti sono opera di Gennaro Maldarelli; Angelo Cimmino aggiunse decorazioni in chiaroscuro.
Al pavimento della chiesa son stati aggiunti i marmi e le sculture tagliate a liste e provenienti dalla cappellaccia della Marinella, una sorta di edicola votiva fatta erigere col patrocinio di Carlo di Borbone nel 1749 in memoria dell’apertura dell’allora Via Marina poi fatta abbattere nel 1846 per l’allineamento del Corso Garibaldi.
Lo stesso Crocifisso di Michelangelo Naccherino, un tempo sistemato sull’altare maggiore, durante l’incendio del 1923 subì seri danni, successivamente ricostruito almeno in parte è stato collocato nella seconda cappella di destra e all’altare maggiore lo sostituisce una copia in bronzo. L’opera è firmata e datata 1599, ritrovata per un caso nel 1835 in alcuni locali della chiesa dello Spirito Santo all’omonimo complesso di via Toledo.
Sulla altare della seconda cappella a destra, un quadro di Giuseppe Mancinelli ritrae San Carlo che comunica ad un appestato del 1847, nella terza cappella sempre a destra, di Gennaro Maldarelli San Giuseppe Calasanzio e sulla sinistra della medesima cappella San Gennaro, di Michele Foggia. Alle spalle dell’altare maggiore, San Francesco di Paola di Michele de Napoli.
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Spazio note
(1) Napoli Sacra *15 itinerario pagg 898-899/ [testi di] Leonardo Di Mauro … [et al.]. – Napoli : Elio De Rosa, ©1993. – P. 65-128 : ill. ; 33 cm. Codice SBN NAP0159853 Fa parte di Napoli sacra : guida alle chiese della città.(2) San Carlo Borromeo venne fatto santo da Paolo V solo otto anni dopo la data di fondazione della chiesa napoletana che a da lui piglia nome. In altri termini devasi al popolo napoletano e alla porzione di quel popolo curiosamente devoto ad un santo che con Napoli nulla ebbe a che spartire. Si sa solo che i napoletani ne votarono il culto particolare per due fondanti motivi: primo perchè negli anni 10 del 1600 non era ancora attivo l'esemplare culto del sangue di San Gennaro; per questo bisognerà attendere la fine degli anni 70 dello stesso secolo; secondo pare che a Milano e nei ducati adiacenti la città proprio a quell'epoca fosse già espletata una primitiva forma del culto alla personalità di Carlo Borromeo morto in odor di santità nei tragici periodi di peste milanese.
(3) " ...al 30 del mese di settembre del 1625, con Breve apostolico firmato per mano dell'allora pontefice Urbano VIII, ai monaci venne consentito di sconsacrare la chiesa di San Carlo Maggiore e di declassificarla dall'albo delle parrocchie; l'anno seguente nel mese di maggio andò giù tutto e ai monaci passò il progetto per la costruzione di una nuova struttura. Nascerà nel segno dei tempi il tempio ancor'oggi visibile della chiesa di San Carlo, la quale per mano dei monaci stessi venne anche diversamente intitolata." Il dotto canonico Francesco Sorrentino rivela che la chiesetta ivi costruita minacciava rovina. Il D'Engenio diversamente esula la notizia del Sorrentino riportante una spiegazione che trova fondamento nella relativa contestualizzazione delle sue stesse fonti. I monaci di San Bernardo fin prima del loro insediamento in realtà non erano affatto soddisfatti della chiesa e poco garbava la faccenda di un monastero ancora tutto da edificare. Faccenda vuole che, però, gli stessi Cistercensi erano per così dire costretti ad alloggiare in zona per il dominio del territorio massacrato non solo dalle scorribande e dalle piraterie, ma anche dalla diffusione delle dottrine eretiche che nei prodigi del Sangue sciolto trovavano il loro culmine teologico. Per questo va anche ricordato che la stessa chiesa di San Carlo all'Arena conobbe un periodo in cui divenne edicola di storia sacra frammista alle leggende e alle tendenza profane di raccogliere e collezionare qualsivoglia oggetto ed intenderli tutti come sacre reliquie. Basti pensare alla Tovaglia che servì per imbalsamare il corpo di San Carlo Borromeo, che ivi trovò posto come in sacra esposizione presso una delle sue cappelle; pratica questa già conosciuta nella storia privata e napoletana della chiesa oggi museo di San Severo al Pendino; o addirittura un osso del santo custodito in un statua d'argento ritraente lo stesso Carlo Borromeo, in bella mostra all'altare maggiore, ingenua imitazione dell'arte orafa dedicata al Santo Gennaro martire per mano dei re angioni che secoli prima impegnando molte risorse dei bottegai di Borgo degli Orefici fecero plasmare nell'oro e nell'argento il busto di San Gennaro e nella cavità del cranio vi posarono i resti del santo oggi in custodia presso la Cappella del Tesoro di San Gennaro al Duomo di Napoli.
(4) Erano i tempi quelli in cui il Cardinal Carafa a Napoli, ispirato dagli ottimi risultati raggiunti dagli Agostiniani accasati presso la monumentale chiesa di San Giovanni a Carbonara e Sant'Agostino alla Zecca, abbisognava che trovasse alloggio opportuno per i monaci Cistercensi di San Bernardo. Al canonico Longo piacque cedere la porziuncola e il territorio ad essa limitrofo a fronte di un pagamento quietato dagli stessi Cistercensi in favore dello stesso canonico, a vita natural durante, e anche dopo sua morte, ai prossimi venturi, stimato in cento ducati per ogni dodici mesi. Ma cosi non avvenne nonostante i Cistercensi comunque s'insediarono ugualmente.
(5) Sul finir degli anni 50 del 1800 già cominciò lo spoglio totale della chiesa e dei suoi arredi e i monaci tratti in salvo il patrimonio librario ed archivistico, presero a fuggir via prima dell'arrivo delle soppressioni degli anni 60 di quel secolo.
(6) La Cronaca Militare e Civile delle Due Sicilie dello storico Luigi del Pozzo segnala la chiesa come posto adatto e buon per il deposito delle balle di paglia e l'annesso monastero sebbene in precario stato di stabilità una fortificazione della gendarmeria o diversamente una prigione provvisoria in dislocazione alla sua vicinissima tenenza legionaria sottratta al monastero di San Giovanni a Carbonara.
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