Araldica di Via Benedetto Croce

Il numero civico 1 di Via Benedetto Croce a Napoli(1), corrisponde all’ingresso secondario della chiesa del Gesù Nuovo, sul quale campeggia ancora in marmo bianco scolpito ed applicato nel timpano ad arco, lo stemma degli autentici proprietari dell’immobile. I Sanseverino, i Feltre ed i Della Rovere.

Lo scudo dello stemma si presenta ondulato a testa di cavallo, cimato da una corona di sette punte. Per quanto riguarda l’Arma rilevata nella prima fascia dello scudo è presente la casata Sanseverino. 


Più precisamente lo stemma è stato così definito:

  • " ... nel 2° partito di tre: nel 1° bandato di tre con l’aquila, con volo abbassato e capo dell’Impero, sta nel verso tra le bande; la casata dei Feltre; nel 2° al gonfalone pontificio. Nel 3° troncato: nel 1° alla rovere (Della Rovere); nel 2° interzato in palo; nel 1° fasciato (Ungheria); nel 2° gigliato (Angiò) ed infine nel 3° alla croce di Gerusalemme".

Complessivamente dotato, lo stemma riporta quasi erroneamente male raffigurata la casata d’Aragona, della quale, mancano i pali nella sua ultima parte ed anche della potentissima famiglia Della Rovere, l’Aquila, segno distintivo, è posta al centro delle bande, collocazione, quest’ultima, non ufficialmente documentata(2).

Al numero civico 12 di Via Benedetto Croce,

  • il portale d’ingresso del palazzo Filomarino della Rocca, è sormontato dallo stemma dei Filomarino della Rocca, bianco, di marmo scolpito, sagomato su fondo accartocciato lo sormonta una corona principesca intagliata nello stesso marmo. L’Arma è di verde a tre bande d’azzurro bordate d’argento3(4).

Al numero civico 19 presso il palazzo Capone,

  • sul soffitto, vi è lo stemma Capone, dipinto su muro, semi-appuntato con in cantoni smussati e sormontato da una corona a dieci punte. L’Arma rilevata è quella d’Oro al gallo passante, rivolto al naturale sulla cima maggiore di un monte al naturale di tre colli con al capo tre stelle. A differenza dell’Arma ufficiale dei Capone che si presenta invece d’Argento al cappone, fermo sul medio di tre monticelli di verde moventi dalla punta ed accompagnato da tre stelle di rosso ordinate nel capo. Anche qui, per errata blasonatura, con scarsa fortuna di colori ma anche di tempo, sarà sufficientemente verosimile credere di non ritrovare mai più, sotto lo stemma dipinto, la Figura del Leone di San Marco, simbolo dell’antichissima ambasciata veneta a Napoli. Motto documentato dei Capone Si quid mea carmina possent.

Al numero civico 23 di Via Benedetto Croce,

  • lo stemma sul portale è dei Tufarelli, sempre di color bianco, di marmo scolpito, si presenta sagomato in controscudo a volute e cartocci; è sormontato da una corona di cinque punte; l’Arma è d’azzurro al braccio destro vestito di verde movente dal lato sinistro dello scudo. Una mano di carnagione impugna tre rose di rosso gambute e fogliate di verde, il tutto sormontato da tre stelle di otto punte disposte secondo l’ordine 1-2. Della famiglia a Napoli a parte una nozione di tale notaio Tufarelli presso la chiesa dell’Incoronatella a Rua Catalana, si sa solo che il pontefice Leone XIII, al secolo Gioacchino Pecci di Carpineto, la decorò il 20 dicembre del 1881 del titolo di duchi per i figli maschi primogeniti e per i servizi resi alla città di Napoli la famiglia verrà legittimata come nobile schiatta dallo stesso re Vittorio Emanuele III, il 9 agosto del 1926 ed RR.LL.PP. 13 gennaio 1927 ad usare il titolo anche di conte.

Presso il numero civico 38 di Via Benedetto Croce,

  • lo stemma di marmo ovviamente bianco, sul portale del palazzo Pinelli è della famiglia Foglia; si presenta sagomato in controscudo a volute e sormontato da una corona di 5 fioroni inframmezzati da relative punte. All’albero piantato su di un monte e sostenuto da un leone rampante sul lato sinistro; con al capo 3 stelle di 6 punte. Vi è dipinto sulla volta dell’ingresso altro stemma sempre dei Foglia; questo si presenta sagomato in controscudo a volute d’oro, affiancato da due fasci di grano dello stesso. Posto nel cuore di manto movente dalla corona di principe. L’Arma rilevata è all’albero fogliato e piantato, sostenuto da un leone rampante sul lato di sinistra, tutto al naturale con a capo tre stelle d’argento di 8 punte disposte in fascia. Scritto su un nastro bianco accartocciato Che per fredda stagion foglia non perde.

Ed infine al numero civico 45 di Via Benedetto Croce,

  • vi è lo stemma sul portale dei Carafa della Spina, il più grande di tutti, magnifico per composizione e per lavorazione; si presenta come un unico blocco di marmo bianco intagliato di rosso, sta subito sotto il balcone del piano nobile del palazzo ed è fintamente sostenuto dai satiri-telamoni posti ai lati del portale, che, sulla via stretta, è grande quanto un arco di trionfo. Lo scudo è sagomato su fondo accartocciato con a capo piecola corona di 5 punte. L’Arma ufficiale è di rosso a tre fasce d’argento con una spina di verde posta in banda ed attraversante sul tutto. È questo immobile che in effetti apre e chiude la parata immobiliare di Via Benedetto Croce da sud ed è notevole oltre modo per aver dato residenza a don Girolamo Carafa, 2° principe della Roccella, imparentato con Diana Vittoria Borghese, sua moglie, nonché nipote di papa Paolo V dell’onnipotente famiglia Borghese in quel di Roma. Dal loro matrimonio ne nacquero undici figli; Margherita andò in sposa al principe Spinelli di Cariati, Maria Felice, fatta monaca domenicana, Francesca Maria, maritata col marchese d’Avalos del Vasto, Fabrizio, 3° principe della Roccella, Carlo, cardinale di Alessandro VII Chigi, Gregorio, Gran Maestro dell’Ordine di Malta, Giovanni, Arcivescovo di Rossano, Scipione, Vescovo d’Aversa, Francesco, un semplice padre Teatino, Francesco Maria, priore della Roccella, ed infine, Fortunato, cardinale di papa Innocenzo IX, al secolo Facchinetti del 1591. Questa nobilissima famiglia, nonché potentissima per aver dato vita ad una sola dinastia accorpata dai rami detti, della Spina e della Stadera, fu insignita del titolo di principe di S.R.I dal 1583, di Conte palatino dal 1622, principe della Roccella dal 1594, di Duca di Bruzzano dal 1626, di Marchese di Castelvetere dal 1581, Grandi di Spagna e conti della Grotteria dal 1496, di Marchese di Brancaleone in successione alla famiglia Staìti ed infine, e non da meno, ognuno dei rampolli dei Carafa dinastia della Spina-Stadera e che abitarono in questo palazzo furono riconosciuti patrizi napoletani e nobili di Bianco Bruzzano, Condejanni, Motta e Siderno. A partire dal 1496, chi vi abitò divenne per dignità papale, un Grande di Spagna ed conte della Grotteria. Più recente è l’acquisizione della famiglia da parte di Vincenzo Carafa, principe del Sacro Romano Impero, che, nel 1749, sposando Ippolita Cantelmo Stuart acquisì maritali nomine il medesimo cognome di Carafa dinastia dei Cantelmo-Stuart, gli stessi proprietari del palazzo Roccella a via dei Mille presso il quartiere di Chiaia.


Spazio note

(1) Giovan Battista di Crollanza, Dizionario storico-blasonico Pisa 1886, pagina 387
(2) Errata sembra anche l’attribuzione che il Catalani fa di questo stemma alla sola persona di Roberto dei Sanseverino, il nobile rampollo che osò sfidare il vicerè di Napoli sulla questione all’epoca molto ribattuta della riforma del tribunale dell’Inquisizione, voluta dal vicerè spagnolo composto esclusivamente di soli giudici provenienti dalle terre di dominio spagnolo, mentre invece, Roberto reclamava l’opportunità di un collegio inquisitorio equamente rappresentato anche dai nobili giudici napoletani. Vinse, com’è ovvio che fosse, il Vicerè Pedro de Toledo, costando cara la nobiltà di Roberto che dovette lasciare il palazzo e riparare altrove. Bernardo Candida Gonzaga, Memorie delle famiglie nobili delle Province meridionali d’Italia, Napoli, 1875. Vol. II, pagina 20. Esso racconta della successione di nobilissime famiglie tutte imparentate tra loro e tutte che reclamarono nella perduta genealogia del capostipite, la figura del governatore napoletano Marino, attivo a Napoli tra il 919 ed il 928; richiamandosi tutti quanti figli di questo personaggio, chiamato Marino, la discendenza prese nome di Fili Marino.
(3) Bernardo Candida Gonzaga, Memorie delle famiglie nobili delle Province meridionali d’Italia, Napoli, 1875. Vol. II, pagina 20. Esso racconta della successione di nobilissime famiglie tutte imparentate tra loro e tutte che reclamarono nella perduta genealogia del capostipite, la figura del governatore napoletano Marino, attivo a Napoli tra il 919 ed il 928; richiamandosi tutti quanti figli di questo personaggio, chiamato Marino, la discendenza prese nome di Fili Marino
(4) Allo scudo dello stemma, per un certo periodo di tempo vennero aggiunti anche i Gigli di Francia, per concessione di re Roberto d’Angiò, l’epoca è quella del 1300, Gigli a loro volta espunti dallo stemma con l’estinzione del ramo di famiglia Filomarino, detto, Filomarino dei Gigli con a capo la persona di Roffredo, il nobile al quale fu concesso l’uso propagandistico dei Gigli di Francia. Va precisato che l’estinzione della famiglia dei Filomarino dei Gigli, avvenne con la morte di Andrea, maggiordomo di settimana e gentiluomo di camera alla corte di re Ferdinando IV di Borbone. Gli successe il ramo cadetto dei Filomarino duchi di Cutrofiano e principi di Squinzano, questo a sua volta, estinto come principi di Squinzano alla morte di Marianna, consorte di Ascanio Filomarino della Torre, ucciso nel palazzo dei Corigliano nel 1799 dai generali di Masaniello, e come duchi di Cutrofiano estinti alla morte del primogenito dei Di Costanzo di Colla d’Anchise. Resta tuttavia tra i più in vista di questa nobile famiglia napoletana, il più che noto Cardinal Ascanio Filomarino della Rocca, arcivescovo di Napoli nel 1641, arcinoto alla storia della città napoletana, per essersi rifiutato, nel bene della città di consegnare al popolo nel 1644, il busto d’oro di San Gennaro e le reliquie del Sangue. Ad ogni modo, il ramo di famiglia Filomarino della Rocca, duchi di Perdifumo, si estinse nella famiglia Perrelli Tornacelli, per contratto nuziale firmato l’11 settembre del 1836 tra Teresa Filomarino e Domenico Perrelli Tomacelli, duca di Monasterace. Vittorio Spetri Enciclopedia storico-nobiliare italiana, Milano, 1936. Appendice, parte II, 90-91. l’ultima della dinastia dei Filomarino ad abitare il palazzo fu la marchesa Cattaneo di Montecaglioso, vedova del principe della Rocca attorno al 1845