Atrio San Marcellino Napoli

Si tratta dell'atrio della chiesa di San Marcellino a Napoli1 di datazione ancora sospesa tra 1696 e 1742(2).

Il portale di ingresso alla chiesa è ascritto alle più belle delle opere d'arte realizzate a Napoli da Dionisio Lazzari, autore di altri capolavori d'arte in città, specie nella chiesa del Monacone alla Sanità, e del quale gli studiosi di storia dell'arte se ne riferiscono per separare il prima e il dopo della storia stessa dell'atrio di questa stessa chiesa.

Come scritto sui testi antichi: ” …è di figura quadra e comoda larghezza”, del quale però, nonostante gli studi condotti, non è ancora certa la sopravvissuta esperienza architettonica di Gian Giacomo di Conforto che ne è stato il suo autore, né tanto meno quanto della mano di Luigi Vanvitelli possa dirsi sopravvenuta fino a modificarne l'aspetto delle origini3.


Nello spazio al secondo ordine dell'atrio vi è il coro delle Monache.

È quindi da considerarsi prioritariamente un elemento architettonico realizzato per spezzare la contiguità in essere a quell'epoca con la chiesa dirimpettaia dei Santi Severino e Sossio.

  • Ma è anche un manufatto importante per il suo aspetto formale che l'avvicina per impegno tecnico virtuosistico che ci è voluto per realizzarlo al coro di San Gregorio Armeno a Spaccanapoli. Un gioco di campate differenziate, quadrate al centro e rettangolari ai lati, determina un diverso rivestimento nell'imbotte degli archi, mentre tutta quanta la copertura dello spazio totale è con volta a crociera sostenuta da terra dall'innalzarsi di quattro colonne di marmo bianco bardiglio, colonne che si ipotizza, sostituiscano i pilastri originari in pietra di piperno, spariti per abbellire un portico che mostra chiaramente l'imposta degli archi raddrizzata. Ancora di bianco marmo bardiglio son rivestiti anche i capitelli tardo barocchi che ne impreziosiscono il disegno. Infine, oltre la volta dell'atrio, vi è spazio occupato dal coro delle monache di San Festo e dunque il suo pavimento è di mattoni rossi. Più dettagliatamente il fatto che le colonne sostituiscano i pilastri di piperno è suffragato da un certo numero di particolari, tipo per esempio, l'imposta dell'arco sulla prima colonna che non cade a piombo, ma visibilmente fuori asse e tutto sommato anche l'aggancio tra colonne e capitelli racconta quanta approssimazione ci sia stata negli anni del restauro dell'atrio nonostante vi siano stati ulteriori lavori in date successive. Tra l'altro l'altezza stessa di queste colonne, esuberante rispetto alle paraste laterali, indica che in effetti potrebbero esser state qui collocate anche se non per questa funzione esser state fabbricate, e quindi possibile che si trattino di colonne recuperate e perciò reimpiegate all'uso. Il portale d'accesso alla chiesa sta al centro dell'atrio. Ed è di marmo bianco scorniciato, affiancato a destra e a sinistra da ornamentazioni che risultano, secondo quanto detto dalla professoressa Gaetana Cantone, un innesto sbadato e pleonastico. Queste sono inserite ” … nella sottile striscia di muratura tra piedritti e paraste”. I lavori dell'atrio attribuiti a Gian Battista Manni e Luigi Vanvitelli. L'ammodernamento dell'atrio, data approssimativa fine dei lavori, 1694, è da attribuirsi a Giovan Battista Manni. Costui fu l'ingegnere che succedette alla direzione dei lavori del cantiere lasciato scoperto dal sopraggiungere della morte del Picchiatti. E lui e solo lui avrebbe potuto azzardare un accorgimento simile, cioè, sostituire colonne di marmo al posto di pilastri di piperno in un ambiente che richiama uno stile adatto solo al piperno. Gian Battista Manni, tra l'altro, non avrebbe poi tanto sofferto a credere in una simile ipotesi di lavoro avendolo in un qualche modo già fatto per Cosimo Fanzago e la controfacciata della Certosa di San Martino.


Spazio note

(1) Estratto dal documento di ricerca del professor Giancarlo Alisio relativo al rintraccio della sede delle origini tra quelle esistenti delle università di Napoli. E per esso, il riferimento per questa scheda è ai lavori di Gaetana Cantone, qui riportati: G. CANTONE, Intorno a San Marcellino. L'architettura della trasformazione a Napoli dal Cinque al Settecento, in Il complesso di San Marcellino. Storia e restauro, a cura di A. Fratta, Napoli 2000, pp. 19-55. Per questa trattazione la ricercatrice, la dottoressa Cantone si è riferita alle seguenti fonti: Per la bibliografia si ricordano: F. STRAZZULLO, Il monastero e la chiesa dei SS. Marcellino e Festo, Napoli 1956, estratto da "Archivio Storico per le Province Napoletane, n. s., vol. XXXV (1955); A. PINTO, La nuova sede della Facoltà di Scienze politiche nell'ex convento dei SS. Marcellino e Festo, in "Notiziario dell' Università degli Studi di Napoli Federico II", n. s., a. II (1996), nn. 11-12, pp. 37-48; s. a., Il restauro della chiesa dei SS. Marcellino e Festo, in "Notiziario", n. s., a. V (1999), nn. 26-27, pp. 65-91. C. DE SETA, Il monastero dei Santi Marcellino e Festo e il Museo di Paleontologia. Vicende urbane e architettura, in A. Fratta, a cura di, I Musei scientifici dell'Università di Napoli Federico II, Napoli 1999, pp.59-80.
(2) A. S. N., Mon. sopp., vol. 2724, "Distinto e copioso ragguaglio nel quale si descrive l'origine della chiesa e Monistero di ss. Marcellino...", 13 ottobre 1696.
(3) Venditti assegna i capitelli a Vanvitelli: "...vivificò le colonne...con i ricchi capitelli ionici con festone", cfr. A. VENDITTI, L'opera napoletana di Luigi Vanvitelli, in AA. VV., Luigi Vanvitelli, Napoli 1973, p. 154.