Chiesa Santa Maria di Donnaromita Napoli
E' la chiesa di Santa Maria di Donnaromita a Napoli1 pieno centro storico, praticamente incastonata assieme al suo monastero, al centro di una fortificazione urbana moderna che la nasconde alla vista, se non per la sola cupola, che resta visibile da piazzetta Nilo.Se ne ammira la copertura esterna classica e ad embrici maiolicati, assai simile alla cupola del Monacone alla Sanità visibile dall'omonimo Ponte ed occupa uno degli spazi antichi tra i più belli del decumano inferiore, raccontati con efficacia illustrativa da Mario Napoli circa le fortissime potenzialità conferite a questa zona in epoca romana con la costruzione del palazzo del Pretore.
Tutto ciò è riferito com'è ovvio che fosse, quando la chiesa e la zona tutto introno era ancora protetta dalle mura, ricca di acqua e, sempre secondo le ricerche di Bartolomeo Capasso, con ampi spazi destinati agli orti ed ai giardini.
Le ragioni del toponimo, Santa Maria di Donnaromita non hanno mai trovato unanime consenso e rimasti pressocchè discordi tra loro gli storici tendono a riferirsi con Donnaromita al nome della moglie di Giovanni Gaetano, duca di Napoli, che si chiamava per la precisione, Domina Aromata2.
Quindi è per questa accezione dello storico Capasso che sotto il titolo di Santa Maria di Donnaromita, il complesso abitato dalle figlie della nobilissima corte medievale, nei più di vent'anni compresi tra il 1431 ed il 1457, andò allargandosi sempre più fino ad inglobare e far sparire della mappe antiche il monastero di San Giovanni, e le cappelle di San Biagio, Santa Maria a Termine, Santi Andrea e Giovanni, Santa Lucia e Sant’Andriano.
La chiesa di Santa Maria di Donnaromita nella storia del comprensorio di Spaccanapoli.
La chiesa di presenta a navata unica originariamente con cinque cappelle per lato divenute poi quattro in occasione dell'ampliamento del monastero durante il Seicento.
- La pianta della chiesa riprende lo stile architettonico caro alla Controriforma, secondo in zona solo alla chiesa dello Spirito Santo a via Toledo, altezza piazzetta XX Settembre. I lavori di ammodernamento poterono dirsi fattibili solo all'indomani della vendita di alcune case di nessuna utilità alle suore di San Basilio, concesse, così come letto da un documento dell'archivio storico diocesano datato 15793, per soli mille ducati a Isabella Sanseverino, e grazie ai quali, con l'aggiunta di altri duemila ducati potè iniziare l'opera di costruzione della chiesa sotto la direzione di Vincenzo Della Monica4, che durerà dal 1580 complessivamente dieci anni, e quindi terminati nel 1590; per quel primo intervento si osserva la chiesa costruita fino al transetto occupato dalle colonne del chiostro piccolo. La chiesa non è visibile nella pianta del francese Lafrery, di contro però colma le suggestioni della pianta di Alessandro Baratta del 1629, sulla quale si osserva nitido il piccolo tracciato del vicolo dei ”Pitocchi o Pitacchi o ancora e direttamente Pidocchi”, poi invertito in vico dell'Università nel 1854 per motivi di pubblica decenza. Soltanto dall'istituzione della nuova sede centrale dell'Università sul rettifilo si decise di intitolare questa piccola stradina stretta a Giuseppe Orilia5.
Chiesa e monastero nelle voci di Ambrogio Mendia e Fortunato Padula.
Secondo le dichiarazioni di Ambrogio Mendia, relatore ingegnere, il monastero prima della fine del Settecento mostrava su piazzetta Nilo un fronte composto di torrini6(7).
- Nel progetto di relazione di questo ingegnere che preparava il monastero ad accogliere gli studenti di ingegneria, si legge che su via Paladino il muro del monastero si presentava compatto che quasi sembrava non si uscisse da nessuna parte, mentre invece, dietro questo muro, a qualche decina di metri di distanza ve ne era ancora un altro, che sarebbe stato poi quello della struttura claustrale delle origini. Tra questi due muri si ergevano poco più alti i torrini, strutture, c'è scritto sul documento, di pianta quadrata, alti che superavano di poco l'altezza del muro si da osservare il mondo al di là del muro. In pratica, aggiunge l'ingegnere, questi torrini, che oggi non esistono più, sarebbero state le cucinette delle monache che avevano ognuna la propria camera da letto giusto di fronte, precisamente, viene annotato col termine: di rimpetto. Entrambi gli ambienti erano collegati da un corridoio laterale illuminato da ” … finestrini ingredienti”. Quindi per mano dell'ingegner Fortunato Padula, si sa che non prima del 1865 questi torrini ancora dovevano evidentemente osservarsi dal piano di superficie di piazzetta Nilo essendo ancora lì dov'erano e com'erano dalla loro fondazione. Queste informazioni oggi sono reperibili negli archivi di palazzo San Giacomo, nella nota dal medesimo scritta al sindaco di Napoli nel 1863, e sulla quale, egli assicurava che era tutto pronto, le aule per gli studi scientifici, quelle per gli esperimenti di matematica applicata, le esercitazioni di chimica e quello di indirizzo teorico, mancava solo di rifare terribilmente la facciata che dava su via Paladino, l'ingresso cinquecentesco al monastero di Santa Maria di Donnaromita. Questo tipo di impresa fu realizzata solo nel 1890, innalzando su questo lato della strada un fronte di muro alto quanto un piano, ottimo per coprire alla vista le nascenti aule, ed una di queste fu l'aula di lezioni annessa al gabinetto di Meccanica applicata alle Costruzioni. Lo stesso Mendia provvederà a descrivere con note particolareggiate ai margini dei disegni che correderanno poi le note informative la reale descrizione dei luoghi del monastero adattato a facoltà di Ingegneria. Dice che la sala delle Macchine ed il suo Gabinetto stava al pian terreno, assieme al Gabinetto delle Ferrovie, l'aula col corrispondente laboratorio per le lezioni complesse di Chimica, la Sala del Disegno ed i laboratori di Mineralogia e Geologia. Al primo piano invece vi furono sistemate la Direzione, la Biblioteca, ancora un altro piano con altre aule ed infine al terzo piano le aule per l'insegnamento della Geometria Descrittiva. L'importanza di queste piante così come conservate negli archivi sta nel fatto che nonostante rendano conto dei lavori strutturali posti all'impianto in epoca successiva all'Unità d'Italia ancora però mostrano evidenti le tracce dello stato dei luoghi prima dell'avvento unitario e risalenti anche molto prima dello stesso Ottocento.
Spazio note
(1) GIANCARLO ALISIO, Il Gesù Vecchio a Napoli, in «Napoli nobilissima», n.s., V (1966), p. 211. Per le ipotesi sulla murazione cfr. Mario Napoli, Napoli grecoromana, Napoli, Berisio, 1959, p. 30. Cfr: Archivio di Stato di Napoli (d'ora innanzi AS Na), Monasteri soppressi, vol. 3984, foll. vari, e . MARIA RAFFAELA PESSOLANO, La chiesa di Donnaromita e le superstiti strutture conventuali, in «Napoli nobilissima», II 1975), p. 55.(2) Nel testamento di Maria d’Ungheria del 1316 il convento è detto di «S. Marie de Romata», e distinto da quello di «Sancte Marie de Perceio».
(3) Archivio Storico Diocesano di Napoli (d'ora innanzi ASDNa), Acta Apostolica, Lett. D, fsc. 5, n. 15, doc. del 31 marzo 1579 a firma di Pietro Antonio Vitro.
(4) AS Na, Monasteri soppressi, vol. 3999, fol. 156 e pass.
(5) AS Na, Monasteri soppressi, vol. 3999, fol. 156 e pass.
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