Chiostro San Marcellino Napoli

È il chiostro annesso al monastero di San Marcellino a Napoli1(2) un ambiente all'aperto, ex claustrale collegato all'omonima chiesa, famoso per il portico con un braccio mancante ed al suo posto s'apre una terrazza belvedere sistemata da Luigi Vanvitelli3, trovato in qualche documento antico col termine ”chiostrino”, talvolta anche come il ”Loggione”.

Un sistema di scale4 supera la difficoltà rappresentata sul posto da un dislivello di quota che separa tra loro due diverse strutture architettoniche5(6).

Al maestro Vanvitelli va assegnato ad ogni modo il pregio di aver saputo recuperare egregiamente ”quell'angolo di chiostro sprecato” a vantaggio del ” … venerando monistero” che ha così potuto guadagnare una vista sul panorama di ineguagliabile bellezza7.

La scelta progettuale del chiostro così come lo si osserva oggi fu decisa dall'architetto Vincenzo Della Monica e le benedettine ivi residenti, in forza degli eventi che accorparono i due monasteri ed i due chiostri, lasciarono i locali e vennero per qualche tempo ospitate presso il monastero di San Gregorio Armeno a Spaccanapoli, così come amabilmente racconta la suora ribelle di San Gregorio, suor Fulvia Caracciolo8.


Descrizione del chiostro dei  San Marcellino.

L'ingresso al chiostro è dal Largo San Marcellino oltre il quale è aperto il varco al primo portico settentrionale del chiostro medesimo.

  • Dal confronto tra due mappe antiche della città, la mappa del Duca di Noja, (1750 – 1775) e quella relativa al Cinquecento, conservata in Archivio presso la sede universitaria installata all'interno dello stesso complesso, si ha modo di verificare diverse analogie storico-architettoniche con la chiesa di San Gregorio Armeno, grazie alle quali, è possibile pure conguagliare molte diverse differenze tra i due complessi, come la direzione della chiesa di San Marcellino, ad esempio, orientata nord-sud per le enormi dimensioni del suo chiostro così come oggi lo si osserva. Francesco Antonio Picchiatti vi prenderà parte nei lavori d'opera del cantiere nel 1663, terminando in quegli anni il portico fronte a mare lasciato incompleto dal Della Monica. Del periodo relativo ai due chiostri tra di loro separati ci resta un'importante testimonianza che si riporta quasi integralmente. Scrive un autore di una guida napoletana che, ” …. nel claustro di figura quasi quadra, pilastrato di piperno con loro archi scorniciati formando quattro corridori coverti da lamie a croci, mattonati nel suolo, ed in mezzo di esso in uso di delizioso giardino diviso in dette porzioni la prima in uso della Comunità, ed è aperto a tutti, e l'altro custodito da bassi muri di fabrica ben contornati con cancelli di legno diviso da stradoni di bussi, che formano due quadri piantati con agrumi e frutta..."9 il portico meridionale del chiostro è a sei campate interrotto sull'ultimo tratto prima dell'aggancio col braccio orientale. Quest'interruzione la si può spiegare solo con l'intenzione del suo architetto di lasciare libero in quel punto la bellissima visuale che si ha sul mare, tralasciando l'appunto che oggi questa vista è inquinata da elementi estranei al panorama delle origini, ma anche tralasciando l'appunto, secondo quanto suggerito dalla Cantone, che il Della Monica realizzò il chiostro a C, e poi il Picchiatti riprese il lavoro realizzando il cosiddetto Chiostro di tre lati e mezzo interrompendo nuovamente i lavori e 'sta volta per mancanza di fondi. Questa parte del chiostro, quella cioè occupata dalle ultime sei campate e poi tutto il resto che c'è dopo son solo pilastri, è detta area del loggione del chiostro, visibile praticamente tale e quale su una mappa della fine del Seicento e comunque non dopo il 1720, visto che su quella mappa mancano le Rampe del Salvatore. È questa una pinata del chiostro realizzata per esser poi aggiunta al materiale giudiziale di una vertenza all'epoca in atto tra il centro monastico benedettino col Collegio del Gesù Vecchio. Il disegno del cantiere mostra chiaramente oltre al chiostro anche una bozza di progetto, uno schizzo al margine del portico superiore che indica in quel posto una fase di posta in opera, il futuro largo San Marcellino. L'ultima vera e propria descrizione storica attendibile del chiostro è una relazione datata 1742 e graficizzata da Aldo Pinto sulla quale è visibile l'area del chiostro per intero così come veniva visto tra la data dell'inizio lavori dell'ultimo restauro e la fase dismissiva del cantiere; il profilo definitivo della planimetria mostra quello che oggi è di fatto lo spazio claustrale; un ambiente all'aperto circondato per tre lati da portici più il lato corto a sud dove è stato sovrapposto il giardino secondo la suddivisione antica dei due chiostri. Il mezzo portico è anche detto ”il chiostrino”, le cui arcate son state trasformate in finestre. È sviluppato su tre registri e ad esso si contrappone l'Oratorio, costituito da un'esedra, anche questa di tre registri di cui, al primo, sui suoi lati, sono stati addossati i rampanti curvilinei ed al centro un corpo convesso avanza da una base semiellittica, la cui copertura fa da ballatoio alla scala. Al secondo registro dell'esedra il collegamento alla Scala Santa ed un altro al chiostro superiore, dal braccio mancante o sempre come già detto dal mezzo portico. Per quanto riguarda il fronte di facciata della cappella della Scala Santa, e la stessa Scala Santa si sa dall'apprezzo del 1742 che furono entrambe interamente stuccati nel 1773 dallo stuccatore Pasquale de Matteis10. All'interno dell'oratorio la Cappella della Scala Santa è stata realizzata da Pasquale Manso, sempre da un disegno di Luigi Vanvitelli lasciato sul posto sembra perchè il maestro avesse preso a cuore la situazione delle benedettine di San Marcellino.

La Scala Santa del Vanvitelli.

La bravura del Vanvitelli come non potrebbe esser stato diversamente, ammanta di motivazioni sacre uno spazio che però alla fine è servito a tutt'altro.

  • Si tratta in sostanza di un'opera architettonica esornativa. Ovvero, la sistemazione del loggione dalla parte del mezzo braccio sembra sia servita a coprire il sospetto che le monache volessero proprio col mezzo braccio a quella maniera sistemato sfuggire alle rigide norme della clausura. I due rampanti curvilinei che ascendono dalla cappella inferiore alla cappella superiore dell'Oratorio di fronte, ovvero ciò che chiamano Scala Santa, mostra una situazione contestuale chiesastica in tutto e per tutto, sembrerebbe a guardarlo bene una sorta di presbiterio, in tutto e per tutto simile al presbiterio rialzato della chiesa del Monacone alla Sanità, o ai due rampanti d'accesso alla chiesa di San Giovanni a Carbonara.


Spazio note

 (1) Liberamente estratto dal lavoro monografico della dottoranda DANIELA DE CRESCENZO tutor prof. arch. ANTONELLA DI LUGGO. in: GLI AUTORI, LE OPERE E LE TECNICHE DI RAPPRESENTAZIONE IL DISEGNO DI PROGETTO A NAPOLI DAL 1860 AL 1920. UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II DOTTORATO DI RICERCA IN TECNOLOGIA DELL’ARCHITETTURA E RILIEVO E RAPPRESENTAZIONE DELL’ARCHITETTURA E DELL’AMBIENTE. Università degli Studi di Napoli Federico II Dottorato di Ricerca in Tecnologia dell’Architettura e Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e dell’Ambiente ciclo XXVI Coordinatore del Dottorato Mario Rosario Losasso Coordinatore di Indirizzo Riccardo Florio Collegio dei docenti ICAR/17 Jean François Cabestan Massimiliano Campi Mara Capone Raffaele Catuogno Antonella di Luggo Riccardo Florio Francesco Maglioccola Alessandra Pagliano Tutor Antonella di Luggo. Cfr: G. C. Alisio, Il Gesù Vecchio a Napoli, in ‹‹Napoli nobilissima ››, n. s. , V (1966), p. 211. Id., Storia e trasformazioni del complesso universitario di via Mezzocannone dalle fabbriche monastiche al nuovo edificio in corso Umberto, in Lo studio del rettore e i dipinti di Armando di Stefano, a cura di A. Fratta, Napoli 1995, pp. 47-68. Si veda pure sull’argomento M. Errichetti, L’antico Collegio Massimo dei Gesuiti a Napoli (1552–1806) in ‹‹ Campania Sacra››, n. 7, 1976, e A. Pinto, Il restauro della sede del Dipartimento di Diritto Romano e Storia della Scienza Romanistica nel complesso.del Salvatore, in ‹‹ Fridericiana››, II, 1991. 
 (2) R. M. ZITO, Chronica del Monistero di S. Gregorio Armeno in Napoli, scritta da Donna Fulvia Caracciolo (1577), in "La scienza e la fede", XXII (1851), pp. 300 e segg. Cfr. M. RADOGNA, L'abolito monastero dei SS. Marcellino e Festo e 'Educatorio Regina Maria Pia, Napoli 1875; G. CECI, S. Marcellino, in "Napoli Nobilissima", vol. IV (1895), p. 123. La Cronaca (1577-79) di Fulvia Caracciolo conservata in A. S. N., Mon. sopp., fasc. 3435.
 (3) Luigi Vanvitelli è autore anche del disegno dell'esedra prospiciente il cortile della chiesa di Sant'Agnello dei Grassi.
 (4) Opera egregia del catalogo di Luigi Vanvitelli, e di questi la sua espressione più matura raggiunta negli ultimi anni della sua presenza nel sud dell'Italia. È qualche volta anche ricordata come architettura rarefatta, un'architettura cui si azzarda il termine ”architettura senza ordini” per il fornice privo di modanature e le paraste a doppia fascia senza capitelli. Cesare De Seta indica come soluzione archittettonica analoga a queste scale la scala esterna posta nel giardino della villa del marchese Fogliani in quel di Piacenza, ed il vestibolo con due rampanti presso il convento di Sant'Agostino a Siena. Mentre invece Arnaldo Venditti ricorda qualcosa di simile presso la Corte della Caserma al Ponte della Maddalena e, per quanto riguarda il fornice al centro della facciata lo accosta senza esitazione al motivo che domina per intero la facciata della reggia di Caserta. A. VENDITTI, L'opera napoletana di Luigi Vanvitelli, in AA. VV., Luigi Vanvitelli, Napoli 1973, p. 154. Cfr. A. VENDITTI, Architettura neoclassica a Napoli, Napoli, ESI, 1961.
 (5) Le dimensioni del chiostro di San Marcellino furono calcolate in funzione di un altro chiostro preesistente sul posto, quindi in esso inglobato, divenendone uno soltanto, dettero luogo all'apertura del cantiere sul monastero, per cui fu prevista la collaborazione indispensabile di Giovan Francesco Mormando. In effetti i monasteri furono due: il monastero dei Santi Marcellino e Pietro ed il monastero dei Santi Festo e Desiderio, fusi insieme per conferma del primo sinodo diocesano del 29 dicembre del 1565, ratificato il 26 marzo dell'anno successivo e dato all'uso claustrale benedettino col titolo contratto di Monastero dei Santi Marcellino e Festo. Tutto questo accadeva con stipula sottoscritta da tutte le parti il 2 agosto del 1567, secondo quelle che la ricercatrice, la dottoressa, Gaetana Cantone, definisce, la costumanza benedettina di fare isola, e l'appartenenza di più di un solo elemento patrimoniale al medesimo Ordine religioso ha dato luogo spesso a queste abitudini di improntare tutto sull'interdipendenza. Tuttavia è cosa saputa che i due chiostri restarono per lungo tempo ancora separati se in queste condizioni li si osserva sulla pianta di Alessandro Baratta del 1629.
 (6) La discesa da un luogo ad un altro per mezzo di comode scale è una sistemazione antica, voluta a tutti i costi dalle benedettine prima che a queste capitasse di dover lasciare le strutture in tempi moderni. Questo tipo di sistemazione è anche spesso ricordata sui documenti antichi come ”inquadramento”, ovvero la delimitazione di una parte dell'insula conventuale che per le sue ragioni orografiche sarebbe stata sprecata per così dire se non fosse stata in questo senso recuperata. Quindi la realizzazione degli impianti architettonici di discesa verso la porzione più bassa del Monterone, ha dato luogo alla sistemazione di questo punto del chiostro che per definizione ideale ha preso il nome di Loggione. L'organizzazione è comunque complessa ed ha visto progettare ed eseguire scale curvilinee dall'esedra e scale a tornanti accessibili direttamente dal lato meridionale del mezzo portico.
 (7) (8) Un'organizzazione spaziale che fissa l'evoluzione dell'architettura tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento. Un angolo di chiostro in cui si sviluppa in verticale un insolito ordine architettonico di rampanti che collegano tra loro due diverse dimensioni strutturali attorno ad un cortile che presenta una profondità al suo centro, mirabile vertigine irripetuta nel vasto circondario delle chiese chiuse di Napoli.
 (9) Come dalla relazione redatta nel 1742, di sicuro da un tecnico, in occasione della Sacra Visita del cardinale Spinelli, A. S. N., Mon. sopp., fasc. 2878, parzialmente pubblicata in F. STRAZZULLO, op. cit., pp.21-24. Cfr. la stesura integrale nella rassegna dei documenti a cura di Aldo Pinto in Il complesso di San Marcellino. Storia e restauro, a cura di A. Fratta.
 (10) A. S. N., Mon. sopp., fasc. 2826, f. 497, ricerca di Antonio Sauro.