Sedi Universitarie di Napoli
Secondo le ricerche condotte dal professore emerito, Giancarlo Alisio, nel corso della storia, dalla fondazione ad oggi, e sulla sua sede delle origini, comprendendo il buio periodo del Viceregno, da quello Borbonico alla Rivoluzione Napoletana, fino alla Unità d'Italia le sedi napoletane universitarie son state il collegio del Gesù Vecchio, i monasteri di San Domenico Maggiore, San Gregorio Armeno e San Lorenzo Maggiore circoscritti tutti nell'area del Centro Storico della città1.Relativamente all'era moderna e contemporanea le sedi universitarie prima dell'avvento del regime fascista hanno trovato ospitalità presso gli edifici del palazzo dei Regi Studi a Santa Teresa, l'attuale edificio che ospita il Museo Archeologico e dal 1884 in poi anche contemporaneamente presso gli edifici dell'isolato delle Cliniche Universitarie.
A tutt'oggi il sistema delle varie sedi universitarie centralizzate nella sede del rettore magnifico al Rettifilo, in relazione con le aree della prossima periferia è regolato essenzialmente da una legge del giugno 1935 grazie alla quale, l'intero ordinamento universitario di quegli anni fu regolato dalle decisioni prese per diritto dal governo centrale di Roma. Il movente politico che fino a quegli anni determinò l'andamento generale della vita all'interno delle mura universitarie ”sparve” n luogo di esigenze più tecniche e più logistiche. Quindi alla sede centrale dell'Università vennero inglobatele le sedi fino ad allora distaccate di Giurisprudenza, Lettere e filosofia, Scienze, Medicina e chirurgia, Farmacia, Ingegneria2, Architettura, Agraria3, Veterinaria4, Economia e commercio5 con una ridotta capacità per gli studenti di poter scegliere liberamente la materia delle proprie attitudini, in quanto, fu proprio di quell'epoca la decisione di distinguere gli insegnamenti in ”fondamentali e complementari”, allargando quindi dalle quattro o cinque di allora, a dieci le facoltà di oggi.
Le sedi universitarie a Napoli
Il complesso della sede centrale. | Santa Maria di Donnaromita. |
Santi Marcellino e Festo. (il Di.S.T.A.R) | Palazzo Orsini (Architettura). |
Donnaregina Vecchia (Storia dell'Arte) | Santi Demetrio e Bonifacio (Sociologia) |
Palazzo Latilla (Architettura) | Conservatrorio Spirito Santo (Architettura) |
Orto Botanico (Agraria) | S.M. Angeli alle Croci (Veterinaria) |
San Pietro Martire (Filosofia) | Palazzo Cosenza (Economia e Commercio) |
Palazzo De Laurentiis (Culture digitali) | La Reggia di Portici (Agraria) |
Villa Le Ginestre al Vesuvio | Ingegneria a piazzale Tecchio. |
Ingegneria a via Claudio Fuorigrotta | Ingegneria ad Agnano |
Cappella Cangiani (Medicina) | Montesant'Angelo (Matematica) |
Sant'Aniello a piazza Bellini (Lettere) | Porta di Massa (Filosofia) |
Musei Scientifici di Mezzocanone | I restauri universitari |
Le sedi universitarie dalla loro fondazione ad oggi.
Pare sia stata fondata si presume con un documento inviato il 5 giugno 1224 da re Federico II a tutti i sudditi, i prelati, i giustizieri, conti, baroni e baiuli del Regno.
- La lettera è nota allo studio come generales lictarae con la quale re Federico II volle istituire uno studium generale ed un calmiere per gli studenti desiderosi di iscriversi. La scrittura ha per incipit le seguenti parole: ” … Deo propitio per quem uiuimus et regnamus, cui omnes actus nostros offerimus, cui omne bonum quod agimus imputamus...” Ed ovvero: ” vogliasi offrire a tutti gli studenti un luogo di delizie (Napoli) dove poter abbeverarsi alla fonte della scienza, per attendersi benefici in un futuro finalmente governato dalle leggi della giustizia, col favore di Dio, grazie al quale, viviamo e regniamo.”. Non si conosce per la verità l'autore del documento, anche se, il noto studioso e ricercatore, Giancarlo Alisio, considera verosimili alcune ipotesi avanzate da altri, come Romualdo Trifone6 e cioè, possa esser stata redatta o da Pier delle Vigne, letterato di Capua che ben conosceva la città di Napoli o da Roffredo di Benevento, altro accademico di razza, strappato all'Università di Bologna per lasciarlo all'insegnamento del diritto a Napoli e frequentare i luoghi amabilmente descritti sulla lettera, nella quale, si parla di questa zona del Regno come di una possibilità di poterci stabilire fisicamente e giuridicamente una sede universitaria per la gioventù poichè, vi si trova scritto: ” …. questo è un luogo in cui tutto ciò che abbisogna alla vita degli uomini può esservi trasportato via terra come via mare, le case son grandi, la gente del posto usa costumi benigni ed è ricca di frumento, vino, carni e pesci”. Con questa lettera quindi si evince il volere del re di diffondere la notizia agli interessati e di istituire una sorta di equo canone per i futuri ospiti e nello scritto non vi si trova nulla che la faccia pensare come fondata su principi religiosi, ma anzi, pare vi sia stata volontà suprema di volerla fin da subito laica, a controbilanciamento nei confronti delle allora già erette sedi universitarie di Bologna e Parigi. Quindi, l'atto fondativo di per sé chiarisce l'aspetto della fondazione di un'università avulsa ai poteri dello Stato pontificio espressione di dominio esteso per tutto quanto l'allora Regno di Sicilia. Fu pertanto un'espressione diretta del suo fondatore, Federico II di Germania considerata da quest'ultimo alla stregua di una sua conquista personale. Spesso la teneva chiusa o quando aperta la proibiva ai riottosi delle sue leggi, e a tutti quelli rimasti obbedienti al papa. Vi fu insegnato Diritto Civile, quello Canonico, Teologia, Filosofia, Grammatica e l’Ars Dictaminis furono le materie assegnate per quel che fu considerato il primo anno di storia millenaria della Federico II.
Dopo tutto è ancora incerta la sede delle origini.
E nonostante alcune persistenti riserve, molti, se non quasi tutti, concordano che la prima sede universitaria si sia trovata ad esser stata per qualche tempo la chiesa dei Tavernari, in zona Nilo7.
- Si tratta della nota chiesetta dei Santi Apostoli Andrea e Marco in zona Nilo, già celebre per aver dato luogo all'equivoco sulle due donne divenute sante per errore, Candida la Vecchia e Candida la Giovane, rispettivamente madre e figlia, la prima mai esistita, ma per qualche tempo catalogata nell'albo dei santi cattolici poi espunta nel 1956, la seconda invece personaggio realmente esistito ma di essa non vi è cenno alcuno a processi di canonizzazione. La chiesetta di cui si parla si trova collocata nello stretto di via Palladino al suo apice, tra i monasteri di Santa Maria in Donnaromita e la chiesa con annesso monastero di Monteverginella, quindi accosto al collegio del Gesù Vecchio. Tutto lo si evince dalla testimonianza di Giovanni Villani arricchita ed impreziosita secondo Giancarlo Alisio da prudenti considerazione dallo studioso Origlia, che del quale ebbe a dire che: ” … sebbene di molte favole avesse la sua cronaca riempiuta, quel che del suo tempo scrive non lo si può supporre come studiato in guisa alcuna di esser alterato.” Più tardiva giungerà dalle ricerche l'esatta fondatezza della notizia sulla prima delle sedi universitarie napoletane con la precisazione che questa sia stata altrimenti non un vero e proprio studentato ma uno hospitale per ragazzi poveri ricavato da spazio sottratto al palazzo dei Duchi ed il Praetorium Civitatis, ovvero la vecchia sede della magistratura dell'era legionaria. Da tenere bene in considerazione che per hospitale deve intendersi spazio dedicato ai meno abbienti e non agli infermi. Una sorta di area erasmus dei suoi tempi. Quest'area anticamente era circoscritta diversamente da oggi da una serie di portici realizzati sulla piana scoscesa del Monterone, proprio laddove oggi sorgono i possedimenti dei Gesuiti napoletani in zona Nilo. Le varie fasi della storia universitaria della Federico II dall'istituzione della prima cattedra del Manfredi alla successiva epoca angioina apertasi con la cattura e la decapitazione di Corradino di Svevia in piazza del Carmine, zona Mercato, in seguito alla quale esecuzione, l'Università di Napoli fino a quel punto rimasta libera da condizionamenti politici divenne, come tutte le altre università, una scuola di parte guelfa. Carlo I d'Angiò nulla aggiunse e nulla tolse all'atto fondativo scritto per mano di Federico II e durante il suo regno si pretese appena che si rispettassero le prescrizioni imposte nel ”Castro di Nuceria Christianorum”; dunque si chiese, pretese ed ottenne il rispetto delle regole vigenti che però non erano più quelle del periodo svevo, in un clima di rifondata università tutt'altro che confessionale. Fu a quel punto che alla prima lettera si aggiungerà il secondo documento redatto dalle mani di un re in favore dell’università napoletana, col quale, sostanzialmente vi si aggiunge la figura del Giustiziere degli Scolari, quella figura giuridica interposta tra lo studentato e lo Stato. Sarebbe a dire l'odierna figura del Rettore. E di questo periodo è il distaccamento delle sedi universitarie dedicate allo studio della teologia, più in particolare per le sedi di San Lorenzo Maggiore, San Domenico ed il convento di Sant'Agostino alla Zecca.
Gli anni dell'Università durante il Viceregno Spagnolo.
Il viceregno spagnuolo come lo chiama Giancarlo Alisio in relazione alla storia della Federico II altro non fu che un rincorrersi di re e di sedi vacanti8.
- Tra il 1505 ed il 1585, in soli 80 anni l'università fu chiusa ed aperta un numero impressionante di volte tutte corrispondenti ad eventi ora funesti, ora delittuosi, ed anche capricciosi; se ne ricordano solo le date salienti di quell'aspro periodo: dal 1503 al1507 tanto per cominciare fu chiusa solo per l'arrivo degli Spagnoli e delle guarnigioni militari; poi ancora per due anni tra il 1527 ed il 1529 tanto quanto servì a Lutrec per assediare la città dalla Collina cimiteriale; addirittura dal 1531 al 1562, più di trent'anni chiusa per le pesti e le carestie che vi si susseguirono. Nel 1547 invece chiusa per i rovinosi tumulti organizzati dagli uomini di Roberto di Sanseverino contro l'introduzione in città del tribunale spagnolo noto col termine tribunale dell'Inquisizione. Poi tutto finirà e l'era buona per l'Università napoletana sorgerà con l'arrivo in città del Don Pedro Fernandez de Castro, conte di Lemos, viceré, un letterato, uno che in luogo del presidio militare scelse per la rappresentanza una corte completa di uomini letterati ed artisti: ”Lope de Vega, di Luis de Gongora, di Esteban Manuel de Villegas”. Lemos fu a Napoli il fondatore dell'Accademia degli Oziosi che, assieme ad un'appropriata riforma degli studi, imposta un modello di offerta formativa tale e quale all'Università di Salamanca, essendone stato esso stesso un suo alunno. Ma più di tutto fu il Vicerè preoccupato di procurare all'Università la sua sede definitiva. Per quest'occasione non mancò di recuperare la struttura servita alle guardie spagnole del tempo del vicerè Ossuna, un edificio usato come cavallerizza viceregnale, ovvero, l'attuale palazzo che ospita il Museo Archeologico Nazionale all'apice di piazza Cavour, da sempre con ingresso ufficiale lato salita Santa Teresa degli Scalzi. Questa nuova situazione disciplinare, invero,molto svecchiata rinvigorì di talento l'università napoletana, anche se comunque, negli anni a venire fattori socio-politici esterni, nonché quelli legati alla salute del popolo ripiombarono l'università nuovamente alla chiusura, e infatti, prossimo evento che ne causò l'inattività fu la rivolta di Masaniello del 1647, la peste del 1656 e la ribellione del principe di Macchia del 1701. Il regio palazzo degli Studi costò molto danaro al Vicerè Ossuna e molto danaro ne servì ancora per attivarlo alla sua diversa destinazione d'uso durante il viceregno Lemos, ed ancora altro denaro per riportarlo all'uso dopo le devastazioni del generalissimo di Masaniello, un certo Gennaro Annese ed infine, quasi per capriccio di sorte il palazzo perse nuovamente questo privilegio e l'università tornò, come scrive, Giancarlo Alisio, alle solite cinque stanze del monastero di San Domenico Maggiore9. Al palazzo dei Regi Studi vi trovarono ufficio ancora una volta i soldati.
Il periodo borbonico dell'Università di Napoli.
I periodo Borbone dell'Università di Napoli vide rinascere il regio palazzo degli Studi, ovvero, l'attuale edificio che oggi ospita il Museo Archeologico Nazionale.
- Invero anche a San Domenico Maggiore l'Università fu per qualche tempo chiusa, specie durante il primo periodo borbonico, 1704 – 1714. Si era più o meno tutti concordi in quel tempo nel chiedere ai nuovi sovrani di restituire all'Università il palazzo dei Regi Studi a Santa Teresa tenuto chiuso troppo a lungo, in forza della qual richiesta si suggerì persino di sottrarre ai Domenicani i 600 ducati che spettava loro per la gestione dell'Università, ” … per quelle misere scuole che concedono al pubblico” ed investirli diversamente nel recupero materiale dell'immobile anzidetto che rovinava sempre più se solo la soldataglia che vi si acquartierava avesse trovato riparo altrove. E nonostante le suppliche, i ricorsi, i reclami inoltrati alle loro maestà, durante la fase di interregno a Napoli tra austriaci e Carlo di Borbone, il palazzo dei Regi Studi, restaurato per l'ennesima volta, riprenderà la sua funzione di casa per lo studentato solo nel 1736 e in quell'anno l'inaugurazione avvenne precisamente il 3 novembre con pronuncia ufficiale del panegirico del re a voce di Giambattista Vico. Il palazzo dei Regi Studi di quel secolo fiorente di discipline fu un ricettacolo di nuove idee, di risorse umane e sociali sempre in crescita e disponibili, ed in esso, per quanto poco che fosse stato vi ci si trasferì il bello ed il ricco patrimonio di re Ferdinando IV, tipo le due sue biblioteche divenute pubbliche: quella Farnesiana e quella Palatina, un suo museo privato poi divenuto il Museo Ercolanese, l’ Accademia di Pittura; Scultura e Architettura, Scienze, Belle Lettere, un Museo di Storia Naturale, un Orto Botanico ed un laboratorio personale per fare la chimica. Va precisato però che sempre a norma delle decisione adottate dal sovrano il regio palazzo degli Studi a Santa Teresa potè dirsi configurato secondo la prammatica universitaria solo quando tra le tante prescrizioni rispettate vi fu anche il tacito assenso dei professori di sostenere l'ardito atteggiamento tenuto da re Carlo di Borbone contro il potere del Sant'Uffizio su Napoli ed in generale lo stesso Meridione, nonché il sostegno della sempre più corposa amministrazione laica della città contro lo strapotere ecclesiastico, realizzatosi giuridicamente solo con la cacciata dei Gesuiti nel1767, contestualmente alla diffusione della Storia civile del Regno di Napoli a cura di Pietro Giannone e l'insediamento dei locali gesuitici rimasti ” … vuoti e inutili” assieme ad altre abitazioni nella circoscrizione del Monterone, laddove si trovava il Collegio Massimo dei Gesuiti che fu per la verità molto tempo prima e per cinque secoli di storia una delle sedi originarie dell'Università napoletana10. In questi spazi ad ogni modo i Gesuiti insegnarono ” … grammatica, retorica, poetica, logica, fisica, metafisica, sfera, matematica, teologia, etica, casi di coscienza”11.
La Repubblica Napoletana e l' Università di Napoli.
Allo scoppio della Repubblica Napoletana l'Università di Napoli si riempì di intrusi e di frati per sfuggire ognuno ai doveri della loro condizione sociale.
- Per questo motivo essa fu considerata infetta ed il corpo studenti passato al setaccio della Polizia, e i parroci deferiti e addirittura soppressa la cattedra di Teologia, realizzando a sei il numero legale delle cattedre attive. Durante la Repubblica Napoletana il palazzo dei Regi Studi restò chiuso per un periodo di tempo su ordine del ministro Acton. Costui ebbe dato comando al cardinal Ruffo e a le sue bande che lo ricordiamo erano tutti sanfedisti di tenere chiusa l'Università e di impedire ai professori passati di congregare come loro solito gli studenti nei luoghi degli studi. Furono quelli anni memorabili per l'ansia europea di realizzare il sogno francese di un'umanità più libera e furono in molti nei vari regni d'Italia a ritenere come fondata l'idea che Ferdinando IV fosse ormai non più capace di guidare il governo secondo la politica illuminata di Carlo di Borbone nel frattempo salito al trono di Spagna. Secondo Giancarlo Alisio infatti, le speranze di Benedetto Croce di vedersi per il giovane Paese un progresso degli intellettuali riformisti in giacobini era già avvenuto molto tempo prima che Maria Antonietta, sorella della regina di Napoli, fosse decapitata in Francia. Per i moti scoppiati in fede alla nuova Repubblica, il ritorno del governo borbone trovò il collegio dei professori già privato dei suoi migliori figli, tra i quali, uccisi nel nome della libertà, l'abate Francesco Conforti e Francesco Mario Pagano, noto allievo di Antonio Genovesi, nonché autore del progetto di costituzione della nuova Repubblica, di cui, la Federico II, a cura di Arturo Fratta, all'epoca di Antonio Bassolino sindaco di Napoli, pubblicò presentando all'allora Rettore, Fulvio Tessitore, una copia della costituzione tenuta sempre fuori commercio fin dai tempi dei Borbone. Ad ogni modo al ritorno dei Borbone subito dopo la soppressione dei moti repubblicani e i morti afforcati a piazza Mercato, l'Università di Napoli fu trasferita nel 1804 presso la struttura dei Frati Bianchi di Monteoliveto lasciando nuovamente alla mercè dei soldati il regio Palazzo degli Studi e permettendo il rientro dei Gesuiti contestualmente alla restituzione del Collegio del Salvatore a questi ultimi. Salvo però poi esser cacciati ancora una volta e questa volta allorquando Napoli fu dominio dei Francesi di Gioacchino Murat e quindi l'anno accademico per il primo anno del insediamento napoletano dei Francesi potè inaugurarsi il 24 novembre del 1806 ancora una volta presso il palazzo dei Regi Studi a Santa Teresa. Tutta via nonostante gli stranieri in città la medesima rifiorì di pregio per l'estesa riforma urbanistica ed architettonica che ne caratterizzò l'eccezionale mutamento orografico di Napoli, basti pensare ad esempio che per raggiungere la collina di Capodimonte, ancora essenzialmente terra vergine, non bisognava più passare per le mulattiere del borgo dei Vergini ma semplicemente servirsi del comodo ponte della Sanità. Anche l'Università subì la sua riforma e rifiorì in seguito alla riforma attuata da Giuseppe Zurlo su quanto ebbe già proposto Vincenzo Cuoco rientrato dal l'esilio. La riforma prevedeva la sostituzione massiva di insegnanti-docenti o troppo vecchi con le giovani leve oppure non sostituite da parti integranti del corpo docente che però ebbero subite le vessazioni e persecuzioni borboniche; l'Orto Botanico di Monteoliveto venne chiuso in luogo di quello aperto a Via Foria, inaugurato il 18 maggio 1809, il Museo di Zoologia nel 1813 presso il monastero di Monteverginella a via Nilo ed infine, l'apertura del parco della Reggia che fu antitesi al prospetto urbanistico della Collina di Capodimonte l'ammantato bosco. L'anno solare compreso tra il 1820 ed il 1821 segnò il ritorno nuovamente dei Borbone e di fatto il ritorno alle barricate ed ai disordini, quelli noti son del 1848, gli ultimi prima della fine di quel nobilissimo quanto cupissimo regno Borbone.
L'Unità d'Italia.
“... In tre o quattro mesi io ho creato, permettetemi questa superba parola, io ho creato l’Università di Napoli. Io l’ho creata due volte."
- Parole del Ministro della Pubblica Istruzione Francesco De Sanctis. Furono da costui pronunciate il 28 gennaio del 1862 presso la Camera di Torino, ivi riunita per raccogliere e fare il punto delle soddisfazioni, come scrive Giancarlo Alisio, raggiunte dall'Università all'indomani dell'Unità d'Italia, che contava al quel tempo quasi dieci mila iscritti. La dignità di questo periodo storico del Paese si ascrive all'ingresso trionfale di Garibaldi a Napoli e alla realizzazione del sogno del De Sanctis di rendere l'Università napoletana la prima Università d'Europa, dotandola di servizi di qualità, rinnovandola nell'assetto di cattedre, professori e studenti della Provincia, riuscendo nell'inaspettata impresa di vedersi iscritti a Medicina circa 4600 partecipanti, il che costrinse non poco a rivedere persino la logistica. Fu quindi pensato di trasferire le suore del Monastero di Gesù e Maria presso l'Egiziaca a Pizzofalcone, e colmare l'enorme spazio vuoto oltre la zona di Santa Maria del Purgatorio ad Arco nella direzione di Caponapoli di edifici che poi verranno destinati all'Università napoletana onde ospitare la popolazione studentesca. Nasceranno così la ” … prima e la seconda Clinica medica, la Clinica chirurgica, la Clinica ostetrica, la Clinica ginecologica e la Clinica oftalmica” per un totale di 160 posti letto molti dei quali sottratti al vicinissimo ospedale degli Incurabili. Tutti i lavori compresi nell'adattare gli spazi ormai inutilizzati dei monasteri di Gesù e Maria e Sant'Andrea delle Dame iniziarono nel 1883 e si protassero fino al 1896. La nuova prestigiosa area universitaria che andava vestendo il colle alle spalle di Costantinopoli e le meravigliose prospettive di crescita intellettuale della città se solo si dotassero queste aree anche di rinnovata gioventù studentesca e di un corpo docente all'avanguardia nel settore, fu sicuramente all'origine della Legge del 1882 che autorizzava la spese ulteriore di 850.000 per l'ampliamento della sede universitaria anzidetta, e finalmente anche la promessa di vedersi realizzare un sontuoso monumento che fungesse da sede centrale dell'Università, ed ovvero, quel magnifico prospetto che accompagna il rettifilo verso l'imbocco di Via Mezzocannone, sul quale, è prospisciente parte del medesimo edificio, il quale, ancora, si sviluppa lateralmente anche su via Sant'Angelo dei Grassi.
Spazio note
(1) Liberamente estratto dal lavoro monografico della dottoranda DANIELA DE CRESCENZO tutor prof. arch. ANTONELLA DI LUGGO. in: GLI AUTORI, LE OPERE E LE TECNICHE DI RAPPRESENTAZIONE IL DISEGNO DI PROGETTO A NAPOLI DAL 1860 AL 1920. UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II DOTTORATO DI RICERCA IN TECNOLOGIA DELL’ARCHITETTURA E RILIEVO E RAPPRESENTAZIONE DELL’ARCHITETTURA E DELL’AMBIENTE. Università degli Studi di Napoli Federico II Dottorato di Ricerca in Tecnologia dell’Architettura e Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e dell’Ambiente ciclo XXVI Coordinatore del Dottorato Mario Rosario Losasso Coordinatore di Indirizzo Riccardo Florio Collegio dei docenti ICAR/17 Jean François Cabestan Massimiliano Campi Mara Capone Raffaele Catuogno Antonella di Luggo Riccardo Florio Francesco Maglioccola Alessandra Pagliano Tutor Antonella di Luggo. Cfr: G. C. Alisio, Il Gesù Vecchio a Napoli, in ‹‹Napoli nobilissima ››, n. s. , V (1966), p. 211. Id., Storia e trasformazioni del complesso universitario di via Mezzocannone dalle fabbriche monastiche al nuovo edificio in corso Umberto, in Lo studio del rettore e i dipinti di Armando di Stefano, a cura di A. Fratta, Napoli 1995, pp. 47-68. Si veda pure sull’argomento M. Errichetti, L’antico Collegio Massimo dei Gesuiti a Napoli (1552–1806) in ‹‹ Campania Sacra››, n. 7, 1976, e A. Pinto, Il restauro della sede del Dipartimento di Diritto Romano e Storia della Scienza Romanistica nel complesso.del Salvatore, in ‹‹ Fridericiana››, II, 1991.(2) Anche la facoltà di Ingegneria ebbe un suo trascorso movimentato ed incerto come tutte le altre discipline. Nacque sul modello della scuola francese di: ”École des Ponts et Caussées” e dunque istituita a Napoli col titolo di Scuola di Applicazione di Ponti e Strade”, ottenendone un significativo apprezzamento da parte degli studenti universitari nonostante questo tipo di insegnamento fosse già a servizio presso l'Università e le lezioni spesso venivano date all'Accademia di Belle Arti. Nel 1863 cambiò nome in Scuola di Applicazione per gli Ingegneri ed ottenne due nuove sedi universitarie prima di raggiungere il piazzale Tecchio; quindi una presso il palazzo Gravina a Monteoliveto e l'altra presso il monastero di Santa Maria in Donnaromita sul fronte di Via Mezzocannone.
(3) Mentre invece la facoltà di Agraria nacque come scuola superiore in epoche ancor più antiche risalenti al governo di Carlo di Borbone nel 1728, presso l'edificio che da sempre ha ospitato una delle sedi reali dei Borbone lungo il Miglio d'Oro: il palazzo Reale di Portici. Nel 1933 la provincia acquista tutti i 65 ettari di terra che circondano il palazzo Realedi Portici e lo destina alla scuola Superiore di Agraria. Ne diviene facoltà universitaria solo all'indomani della promulgazione della citata legge del 1935.
(4) La facoltà di Medicina veterinaria, istituita da Gioacchino Murat a Napoli nel 1815 ebbe un pregresso borbonico in embrione presso l'edificio del Serraglio al Ponte della Maddalena, ma nacque ed ivi vi è rimasta presso il complesso monastico francescano di Santa Maria degli Angeli alle Croci in zona Miracoli. Divenne facoltà universitaria di diritto da che era Regio Istituto Superiore di Medicina veterinaria ufficialmente il 28 maggio del 1938, in pieno regime fascista.
(5) La facoltà di Economia e Commercio, fondato in forza di una legge del 1920, ebbe la sua prima sede in una sola aula universitaria concessa dal Monastero dei Santi Marcellino e Festo, sulla collinetta del Monterone, all'apice della rampa del Salvatore, non essendo ancora una vera e propria facoltà quanto piuttosto una sessione di Scuole Superiore di Economia ricadeva amministrativamente e sotto il punto di vista didattico dall'allora Ministero per l'Industria ed il Commercio. Solo nel 1922, al sopraggiungere di fondi governativi si potè acquistare l'hotel Hassler a via Chiatamone ed insediarci nei suoi locali la nuova sede divenendone sede universitaria a lavori ancora in corso.
(6) R.Trifone, L’Università degli Studi di Napoli dalla fondazione ai giorni nostri, Università di Napoli, 1954, p.
(7) Annotazione di Giancarlo Alisio riferito a: Giovanni Villani, Cronaca di Partenope, cap. XiV, ed. 1974. Cfr: G. Origlia, Istoria dello studio di Napoli, vol.I. p.107 ss, Napoli 1753, anastatica della Ed. Scientifica, 1983, Napoli.
(8) Nino Cortese ha dedicato un saggio ampio e molto bello all’università di Napoli nell’Età spagnola in Torraca.
(9) Annali Napolitani dal 1759 in avanti scritti da Vincenzo Florio, in ASPN, vol. XXXI p. 47.
(10) Annali Napolitani dal 1759 in avanti scritti da Vincenzo Florio, in ASPN, vol. XXXI p. 47.
(11) G.Cesare Capaccio, Napoli Anticai, Ms. pubblicato da B.Capasso in A.S.P.N. Anni IV- 1882. p. 68 ss.
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