Edificio dell'Università centrale di Napoli
Si tratta della sede centrale dell'Università di Napoli1 residenza del magnifico rettore, con facciata principale collocata per 120 metri lineari e 2950 metri2 di copertura totale.Faccia a vista sul Rettifilo, è stato necessariamente garantito l'isolamento dal Corso per mezzo della scalinata centrale e da cancelli in linea con le testate.
Si tratta di un organismo architettonico che ha più volte cambiato forma2(2bis) nato così come lo si osserva oggi già diverso dai disegni redatti dai suo autori, gli ingegneri Pier Paolo Quaglia e Guglielmo Melisurgo3 che lo pensarono assai simile alla configurazione caratterizzante Palazzo Reale a piazza Plebiscito e palazzo dei Regi Studi a Santa Teresa, ovvero il palazzo che oggi ospita il Museo Archeologico Nazionale all'incrocio tra piazza Cavour e via Costantinopoli4.
Fu quindi restaurato l'ultima volta e ritrasformato nella forma neoriascimentale che tutt'oggi mantiene durante il triennio 1926 -1929 e destinato sin dalla posa della prima pietra, avvenuto il 28 ottobre 1896, a rappresentare in emblema la rinascita della città di Napoli all'indomani dell'Italia Unita.
Fu giudicato alla luce del suo primo secolo di vita un'opera di indubbio valore architettonico specie se confrontato col contesto immobiliare in cui è venuto a trovarsi, e definito dagli storici dell'architettura e dell'urbanistica del ventesimo secolo un tipo di tessuto connettivo adeguato alla scala della città, una sorta di continuum edilizio lungo il Rettifilo tracciata per le sue tre piazze tra l'altro le più importanti del centro storico, piazza Garibaldi, Nicola Amore meglio nota come piazza Quattro Palazzi e piazza Borsa, già piazza Bovio.
Descrizione minima della sede centrale dell'Università di Napoli.
È riconoscibile per il suo aspetto sobrio, ma al tempo stesso magniloquente isolato dal contesto floreale del Corso Umberto e dalla minima piazza antistante.
- L'impaginato di facciata è aperto sullo stesso corso con tre corpi di fabbrica due laterali ed uno centrale che aggetta minimamente rispetto allo sviluppo laterale. È tutto in pietrarsa ed è coronato da un attico piano con al centro il gruppo scultoreo di Jerace che ritrae Federico II e Pier elle Vigne ed altri personaggi minori cofondatori dell'Università5. Due file di aperture corrono lungo due livelli in elevato totalizzando il numero di 27 aperture per ogni piano sul fronte del corso e 5 rispettivamente sia sul fronte di via Mezzocannone sia su quello orientale di via Tari. Le aperture su qualsiasi lato le si osservano mostrano rispettivamente ed alternativamente timpani ora curvi ora triangolari6. Per la stilematica si osserva che l'edificio è composto di un ”dolce gentile dorico” che veste tutto quanto il pian terreno ed un ” corinzio gigante” che altrimenti interessa tutte e due i piani superiori7. Al piano inferiore sottoterra vi sono gli archivi ed i depositi dell'Università centrale, e al primo livello fronte strada un vestibolo centrale smista le direzioni da e per le scale di accesso alle aule ed immediatamente dopo un'area di verde sfrutta spazio all'aperto inutilizzato. Il primo livello quindi ospita le facoltà di Giurisprudenza, Lettere e Filosofia; da ricordare che sia questo livello che quello superiore sono dotati di altrettanti vestiboli centrali che li collegano agli scaloni connessi alle testate e dunque grazie ad aree foyers è possibile raggiungere aule e scale di servizio. Al livello superiore nell'ala orientale, son stati allestiti gli spazi per ospitare la sede dell'aula Magna che resta invariata nella posizione centrale, corrisposta ai fianchi dalla sala per il Consiglio di Facoltà. Nell'ala che guarda via Mezzocannone furono sistemati il rettorato, il segretariato, l'economato, l'ufficio cassa, la sala del Consiglio Accademico. Mentre invece, le aule proprie del Magistero, la sala del Corpo Accademico e l'Accademia medico-chirurgica oltre alla Società Reale stanno posizionate tutte nella zona orientale del secondo livello.Fu realizzato nell'ambito della riorganizzazione del polo immobiliare universitario dedicato alla popolazione studentesca del centro e della Provincia raddoppiata nel corso del decennio 1875-1886, anche se alla base storica della sua costruzione vi fu però l'ampliamento ritenuto prioritario e necessario di via Mezzocannone a sua volta giustificato dalla necessità di collegare piazza San Domenico Maggiore col Corso Umberto I. Fu terminato quasi contemporaneamente alla realizzazione delle Cliniche Universitarie in zona Caponapoli, con le quali, condivide il progetto all'uopo redatto dagli ingegneri Melisurgo e Quaglia nel 1896 relativamente al massiccio intervento volto alla ridistribuzione sul piano funzionale dello spazio occupato da patrimonio immobiliare appartenuto al collegio gesuitico. Alle tre arcate d'ingresso inizialmente furono installati cancelli in ferro bronzato recanti in bella mostra gli stemmi delle Province coinvolte nel consorzio lavori pubblici per realizzare il manufatto ed infine si ricorda che tutti gli sforzi impiegati per completare il ciclo decorativo per gli interni dell'edificio si poterono dirsi conclusi non prima del 1917. L'ingresso è noto è occupato da un vestibolo coperto da volta a padiglione con bassorilievo in stucco e conduce all'atrio centrale. Questo spazio è caratterizzato da archi e pilastri con paraste doriche e da fregi e metope che ritraggono ancora ben visibili gli stemmi delle Provincie antiche proprietarie dello stabile; infine, sempre di questo spazio è la balconata. sormontata da un ricco soffitto cassettonato che affaccia direttamente col portico di aggancio allo scalone centrale. Ai lati del vestivolo anche i due foyer inquadrati dall'impressionante sequenza di arcate che si alternano ai pilastri, motivo decorativo questo caro all'architettura rinascimentale. L'aula magna dell'Università centrale sta all'apice degli scaloni che dai due foyers di dipartono dal primo livello e sono accompagnati da balaustre in ghisa e volte rampanti a cassettoni ottagonali. L'interno dell'aula magna è caratterizzata dalla decorazione di venti semicolonne di stile ancora una volta corinzieggiante, stuccate a lucido come si conviene a questo tipo di ambiente. Son semicolonne perchè son state installate col proposito di dover sostenere delle statue. Ciò accadde per un certo tempo prima che queste venissero rimosse per dar seguito ad una ristrutturazione considerata col senno di poi irrispettosa dei canoni estetici che le stesse statue esprimevano. Le statue raffiguravano personaggi molti noti della storia dell'Università di Napoli fin dalle sue origini. Resta invece al suo posto la grande tela di Paolo Vetri ritraente, la Scuola di Pitagora a Crotone, appesa al centro del soffitto. Presso la sala del Senato Accademico un affresco alla parete racconta del ”passaggio dell'Università di Napoli dal convento di San Domenico Maggiore a Spaccanpoli al palazzo dei Regi Studi a Santa Teresa ”, opera egregia di G. D'Agostino. Mentre nell'altra sala,quella del Corpo Accademico un altro affresco racconta della presenzza di Carlo di Borbone agli scavi di Ercolano e la fondazione dell'Istituto ercolanese.
Storia minima della sede centrale dell'Università di Napoli.
La costruzione del complesso centrale fu parimenti giustificata dalla necessaria dotazione alla Facoltà di Scienze Naturali dei gabinetti di chimica e di fisica8.
- I lavori per realizzare questo edificio causa la continua interferenza ostativa della commissione Gianturco iniziarono solo nel 1899 per mano dell'impresa Ciufici, sotto la direzione dell'ingegnere del Genio Diego Blesio e del professor Lombardo, ritenuto quest'ultimo il deturpatore dell'opera. Ma per attuare il grande disegno architettonico che tutt'oggi caratterizza l'impianto fu promossa la sinergia tra consorzi sia del centro città che della provincia medesima e la partecipazione del governo di allora impegnato a finanziare tutta quanta l'operazione ch'ebbe inizio nel 1891, dai progetti dell'ingegner Guglielmo Melisurgo, il quale, da solo, non ancora affiancato dal Quaglia, che si presenterà solo l'anno successivo, a sue spese disegnò il progetto della nuova sede partendo dalla necessaria sistemazione degli ex conventi all'epoca assegnati all'Università molti dei quali, prospiscienti via Mezzocannone. Come anzidetto nel 1892 nella proposta di progetto per la costruzione della nuova sede centrale, nella stesura dei piani esecutivi, entrerà nel consesso dei progettisti anche Pier Paolo Quaglia, direttore dell'Ufficio d'arte della Società per il Risanamento presente in città a nome dello Stato italiano; Quaglia, è un bene ricordarlo, fu uno dei progettisti anche della sistemazione delle Cliniche Universitarie sotto Caponapoli, responsabile in parte anche della demolizione dell'ex convento della Sapienza e della Croce di Lucca ai Tribunali. Il disegno del progetto, che in realtà è anche un bene ricordare che furono più di uno, quindi i disegni relativi al progetto di realizzazione della nuova sede centrale dell'Università di Napoli, firmati, Quaglia e Melisurgo furono esposti pubblicamente presso la grande sala della Biblioteca Universitaria, oggi ancora all'ex collegio dei Gesuiti a via Palladino e furono esposti in occasione dell'apertura dell'anno accademico 1893-1894, assieme ad un plastico in gesso della nuova sede, quasi pressocchè identico a quello che attualmente si osserva su strada. Quindi i fogli ritraenti il disegno complessivo della nuova sede, appesi al muro della Biblioteca Universitaria, redatti dal Quaglia per il loro aspetto formale e dal Melisurgo per quanto riguarda le strutture e gli estimativi, furono presentati col titolo: “Progetto di ampliamento e sistemazione degli edifici universitari in Napoli”, anche all'ufficio del Genio Civile nell'aprile del 1896. Come dai progetti ancora oggi in custodia e come è anche possibile osservarlo dal vivo, la nuova sede centrale dell'Università di Napoli, sorse lì dov'è e più o meno anche com'è oggi dall'unanime consenso dei due ingegneri di dover per forza ampliare la cittadella universitaria di quell'epoca ancora arretrata solo alle rampe del Salvatore e alle sole strutture antiche dei Gesuiti e quindi di trascinare giù a valle la sede centrale e darle corpo strutturale nello spazio disponibile tra l'allora piazza Bovio, oggi piazza Borsa e piazza Garibaldi, a fronte, come si è detto, del nascente Rettifilo, a quell'epoca conosciuto col toponimo di Corso d'Italia. Il prospetto di facciata sul Rettifilo è lungo 120 metri e complessivamente copre 2970 metri2 di sviluppo. Inizialmente si sarebbe dovuto sviluppare il massiccio corpo di fabbrica sporgente sul Rettifilo su tre livelli ed uno interrato e soprattutto si sarebbe dovuto avere il corpo centrale molto più avanzato rispetto ai corpi di fabbrica laterali. Sui disegni dei progetti di cui si è fatto cenno si nota, al di sopra del basamento in bugne, due teorie di archi chiusi, quasi stretti, da enormi lesene corinzieggianti, mentre sia al centro che ai lati corrono frontoni a mo' di coronamento, mentre per quanto riguardala zona intermedia, sul progetto delle origini si osserva un attico continuo, e, più di tutto, bella a vedersi sui disegni, molto meno nella realtà, al di sopra del fabbricato, una gigantesca cupola di chiara matrice antonelliana, sorprende e domina tutto l'edificio. Diversamente da oggi la facciata principale presentata sui progetti iniziali mostrano che al centro, in corrispondenza della scalinata di accesso, un loggiato di stile anche questo corinzio, grande quasi da completare le suggestioni di un arco di trionfo, volendosi indicare al di sopra di questo, lo spazio dedicato all'aula magna. Il suo massiccio aspetto definisce una situazione di confine tra la zona bassa del Nilo ed il Borgo degli Orefici. Più precisamente c'è scritto sulla redazione del progetto del 1986, ” fondato…. a valle di San Pietro a Fusariello”, proprio perchè fronteggia in pieno il monastero di San Pietro Martire. Mentre prima della sua realizzazione, risalente al piano esecutivo del risanamento di Napoli del 1886, a cura della Divisione Tecnica del Comune su suggerimento dell'ingegnere capo, Adolfo Giambarba. l'angolo via Mezzocannone-Rettifilo era invece occupato da una serie di manufatti riconducibili tutti al monastero del Gesù Vecchio fondato com'è noto sulla piccola collinetta del Monterone. E più correttamente si riporta quanto trovato sul documento di dottorato di Daniela De Crescenzo, con delibera del 2 marzo 1894, il Comune di Napoli destinò per quest'uso la risistemazione edilizia compresa sui suoli segnati col numero 54 e 56 del foglio catastale, tutti quanti adiacenti i piccoli appezzamenti prospicienti l'antico Corso d'Italia, così come si chiamava il Rettifilo a quell'epoca. Per quanto riguarda la costruzione di questo edificio sul lato del collegio del Gesù Vecchio esso all'origine prevedeva che avesse oltre a quello su via Palladino anche un ingresso dalla ” … nova via centrale” l'attuale Corso Umberto, mentre per l'angolo a sud-ovest del palazzo, all'angolo cioè tra il Corso e via Mezzocannone, fu previsto, oltre alla ridisegnazione di tutto il fronte di palazzo anche la sistemazione di una nuova grande aula universitaria da destinarsi allo studio delle Scienze Naturali Ci sarebbe anche stato, se solo fosse stato realizzato, una sorta di accesso all'edificio sul fronte meridionale prolungato per mezzo di un portico che da lì avrebbe condotto nella direzione del fianco dello scalone disegnato da Cosimo Fanzago e da questo punto preciso, questo stesso portico avrebbe raggiunto in linea retta l'attuale scalone d'accesso all'edificio.
L'edificio dell'Università è il palazzo più grande e più brutto di tutto quanto il Rettifilo.
Fu voluto a questa maniera dalla commissione dei lavori deliberati al Comune di Napoli con data 2 marzo 1894, anche se il suo termine dei lavori avverrà solo nei primi anni del Novecento.
- Oltre ad esser il più grande di tutto il corso su cui affaccia fu considerato dai membri della commissione che lo aggiudicò, anche il palazzo più brutto, sfacciatamente dichiarato in sede consiliare dal consigliere di maggioranza G. Gargliulo, componente dell'allora commissione comunale che ne deliberava i lavori, interpellandosi a suo sfavore nonostante tutto lo stesso consigliere ne votava comunque la delibera, e prendendo parola in sede consiliare, ebbe a definirlo né più né meno che una brutta copia del progetto del palazzo di Montecitorio del Bernini a Roma e del cui plastico realizzato addirittura suggerì di non spedirlo a Parigi in occasione dell'Esposizione Universale del 1889 onde non riceverne uno spiacevole commento(9)10. E' noto piuttosto il movimento di critica mossa a questo progetto quando esso ancora non fu terminato, un consesso di uomini intellettuali, con a capo Benedetto Croce, che si opposero con le proprie critiche allo straordinario stravolgimento della città assediata in quegli anni dai cantieri di lavori che la stavano letteralmente sventrando privandola del suo materiale antico e prezioso, gli ex monasteri e delle opere d'arte in essi comprese, primi tra tutti, i monasteri di San Gaudioso, della Sapienza e della Croce di Lucca per far posto alle Cliniche Universitarie. Per quel che concerne invece i lavori posti in opera a valle di San Pietro a Fusariello per l'erigenda sede centrale dell'Università di Napoli Alfonso Miola, sulle pagine della prestigiosa rivista culturale, Napoli Nobilissima giustificava questa costruzione come necessità di dover rappresentare il glorioso passato della città napoletana non più capitale di un regno, quanto invece solo capoluogo di Regione. E con esso vi era necessità e bisogno di interpretare anche il glorioso passato dell'università federiciana e quindi, con quell'opera si volle offrire occasione di mostrare il prodotto finito di un'architettura contro corrente, opposta alla tendenza di tutte le altre ad allontanarsi da quella che fu invece la purissima arte italiana. Lo stile neorinascimentale a cui è in definitiva destinato tutto l'impianto di facciata, sempre secondo il Miola, non volle significare un ripiego semplice per utilizzare architettura classica e cercare quindi di non perdere altro tempo, né tanto meno vedersi costruire un fabbricato alquanto insolito e poi comunque ributtarlo giù. Bensì, continua il Miola, ” … inserire in un rapporto simmetrico e proporzionale misure e distanze coinvolte nelle membrature degli spazi”. La precisazione di uno stile neorinascimentale sta anche nel fatto che l'Università essendo la sede istituzionale degli studi non può mostrarsi alla pari di quel frastuono della vita cittadina contemplando dunque tanto lusso in terrazze e balconi, quanto invece deve restituire la medesima serenità e pace dei chiostri che ha fatto mancare mostrando un uso semplice e compatto delle masse utilizzate per ricreare spazi di meditazione. Sicchè ciò che si osserva allo stato attuale è perfettamente l'opposto di ciòche fu progettato inizialmente su quei disegni messi in mostra al Gesù Vecchio, laddove, l'apparato universitario si presentava pervaso da manierismo che sfumava in parecchi punti nello stile barocco, alquanto inusuale per una sede studentesca e tra l'altro, si legge nella nota di difesa appassionata del Miola contro le critiche mosse al complesso, che all'interno ben meno che diversamente dall'esterno ai progettisti venne lasciata massima libertà compositiva proprio perchè, dentro non come fuori, non sussisteva esigenza di monumentalità e quindi se ne ottenne, visibile sui progetti in mostra, un'articolazione di palazzi e palazzetti molto ma molto frammentaria. Prova di tutto ciò è la scala a rampe del Salvatore che inizia proprio alle spalle del monumentale complesso della sede centrale e termina a tornanti ai piedi del monastero dei Santi Marcellino e Festo, collegando tra loro edifici vecchi e nuovi. Oltre la facciata del Rettifilo vi è uno scalone tipo rampa che connette le aule principali al vecchio cortile settecentesco del Gesù Vecchio. Anche sui grafici di cui si è già parlato sopra, lo scalone che è ben visibile sui disegni, poco invece dal vivo per chi osserva da fuori, è sormontato in alto, proprio in corrispondenza dell'innesto con l'edificio che lo nasconde dal Rettifilo, da un corpo ottagonale disposto nel punto più alto del pendio del costone tufaceo. Prima che tutto fosse stato portato a compimento però uno dei due progettisti lasciò detto quanto la ricercatrici ha poi fedelmente riportato e qui in questa sede copiato e incollato direttamente dal documento: “Il Melisurgo non potette accettare di firmare la parte artistica perché la sua educazione in arte, compiuta in parte nel Regio Istituto di Belle Arti e per maggior tempo in mezzo a suoi coetanei quali Amendola, Caprile, Esposito, Fabron, Cepparuolo, Campriani e alti ancora, non poteva approvare come esplicitazione artistica appropriata all’edificio, il partito architettonico prescelto dal Quaglia”.
Spazio note
(1) Liberamente estratto dal lavoro monografico della dottoranda DANIELA DE CRESCENZO tutor prof. arch. ANTONELLA DI LUGGO. in: GLI AUTORI, LE OPERE E LE TECNICHE DI RAPPRESENTAZIONE IL DISEGNO DI PROGETTO A NAPOLI DAL 1860 AL 1920. UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II DOTTORATO DI RICERCA IN TECNOLOGIA DELL’ARCHITETTURA E RILIEVO E RAPPRESENTAZIONE DELL’ARCHITETTURA E DELL’AMBIENTE. Università degli Studi di Napoli Federico II Dottorato di Ricerca in Tecnologia dell’Architettura e Rilievo e Rappresentazione dell’Architettura e dell’Ambiente ciclo XXVI Coordinatore del Dottorato Mario Rosario Losasso Coordinatore di Indirizzo Riccardo Florio Collegio dei docenti ICAR/17 Jean François Cabestan Massimiliano Campi Mara Capone Raffaele Catuogno Antonella di Luggo Riccardo Florio Francesco Maglioccola Alessandra Pagliano Tutor Antonella di Luggo. Cfr: G. C. Alisio, Il Gesù Vecchio a Napoli, in ‹‹Napoli nobilissima ››, n. s. , V (1966), p. 211. Id., Storia e trasformazioni del complesso universitario di via Mezzocannone dalle fabbriche monastiche al nuovo edificio in corso Umberto, in Lo studio del rettore e i dipinti di Armando di Stefano, a cura di A. Fratta, Napoli 1995, pp. 47-68. Si veda pure sull’argomento M. Errichetti, L’antico Collegio Massimo dei Gesuiti a Napoli (1552–1806) in ‹‹ Campania Sacra››, n. 7, 1976, e A. Pinto, Il restauro della sede del Dipartimento di Diritto Romano e Storia della Scienza Romanistica nel complesso.del Salvatore, in ‹‹ Fridericiana››, II, 1991.(2) Le vicende legate al processo di sistemazione della nascente sede centrale giunsero all'attenzione dell'allora ministro dei Lavori Pubblici, Emanuele Gianturco. Il quale non da meno istituì una commissione di esperti che dessero voce autorevole su cosa era uscito buono dai progetti del Quaglia e del Melisurgo e cosa no. La commissione formata da Giuseppe Sacconi, Guglielmo Calderini e Lorenzo Schioppa ebbero il compito di esprimersi su questo merito. E nel merito appunto dei loro doveri i medesimi condannarono immediatamente la scelta di regolare il livello superiore della struttura di un ordine gigante e di un piedistallo che per poggiare su di un basamento si presentava troppo sviluppato in altezza. Oltre a metter in evidenza gli interassi giudicati troppo fitti tra le lesene. Ma più di ogni cosa si chiese e si pretese l'eliminazione della cupola definita col termine meschina rispetto alla poderosa struttura orizzontale che tra l'altro fecero notare nessuno l'avrebbe mai potuta vedere né dentro né fuori stretta com'era tra le altre opere già presenti nel circondario. Intanto nel frattempo il Quaglia morì e del progetto dovette occuparsene ancora una volta da solo il Melisurgo che contestualmente alle brutte notizie circa la morte del collega incassava però il plauso della stampa nazionale che spingeva nell'ottenere la forma definitiva dei grafici ridisegnati sulle prescrizioni della commissione Gianturco. Tuttavia l'elaborato presentato dal Melisurgo non ottenne approvazione se non dopo quattro tentativi senza successo. La commissione ecco cosa ebbe a dichiarare nella moderazione consegnata alle riviste di settore. Testo copiato e incollato dal dottorato di ricerca della De Crescenzo: “A preferenza del primitivo progetto – sottolinearono i commissari – questo rende più semplice e spontanea la pianta dell’atrio d’ingresso, sopprimendo, a vantaggio della libertà del marciapiede della strada, l’avancorpo centrale che immeschiniva la linea generale dell’edificio, elimina quell’eclettismo inaccettabile di stile del primo progetto e rende la decorazione più grandiosa, severa e armonizzata, come si conviene alla destinazione dell’edificio”.
(2bis) Nota di Gaincarlo Alisio: " ... Negli esecutivi del 1896 gli edifici appaiono assai diversi da quelli poi eseguiti, dotati di differenti piante a C con due soli livelli fuori terra, essi mostrano particolari caratteristiche stereometriche, con corpi semicircolari addossati in più punti a volumi prismatici, nonché raccordi angolari a sagoma curvilinea; in particolare, le aule principali avrebbero avuto un’originale pianta lobata, con calotte vetrate e strutture interna anfiteatrale."
(3) Guglielmo Melisurgo è stato un ingegnere, si legge dai documenti di ricerca condotta dal professor Giancarlo Alisio, nato a Napoli nel 1857, ed ivi morto nel 1943. Ha studiato presso la Scuola di Progettazione e Applicazione Ponti e Strade, così si chiamava all'epoca una delle sottosezioni della facoltà di ingegneria civile napoletasna. Fu anche un professore con cattedra in Legislazione tecnica ed architettura presso la locale facoltà omonima, che dal 1886 al 1898 si chiamava Reale Accademia di Architettura. Cfr. G. Melisurgo, L’Università, le Cliniche, gli Istituti scientifici di Napoli, ivi 1944, opuscolo pubblicato postumo a cura dei figli, con prefazione di C. Guerra, pp. 13 e pass.. Pubblicò tra l’altro assieme al collega Quaglia: con P. P. Quaglia, R. Università degli Studi di Napoli. Ampliamento e sistemazione degli edifici universitari (legge 30 luglio 1896, n. 439). Progetto definitivo per l’edificio di S. Patrizia. Capitolato speciale d’appalto, Napoli 1897; Napoli sotterranea. Topografia della rete di canali d’acqua profonda, Napoli 1889; Ancora sul famoso articolo 13 della legge pel Risanamento di Napoli, ivi 1931; Comportamento della roccia tufo nelle gallerie e nelle fondazioni, Napoli 1932; Per un piano regolatore di Napoli, Roma 1937; Piano regolatore di Napoli. Contributo per la definizione, approvazione, esecuzione del p. r. g. della città, Napoli 1937.
(4) La forma attuale dell'edificio dell'Università centrale di Napoli è il risultato finale di un progetto di riordino suppletivo datato 1902, grazie al quale, agli iniziali filari di mattoni rossicci, ispirati alla tradizione costruttiva che nel palazzo Reale di piazza del Plebiscito ed il Regio Palazzo degli Studi a Santa Teresa ebbe trovato i migliori esempi di esecuzione egregia, furono invece sostituiti con delle lastre di travertino di Bari. Ciò però sarebbe stato giustificato dal fatto che la sede centrale dell'Università di Napoli avrebbe dovuto sopravvivere in continuità stilistica e compositiva ispirati alle fabbriche secentesche andate distrutte per posto alla sede, specie nell'esecuzione dell'alzata centrale e nelle proporzioni delle masse murarie e delle bucature
(5) Nel corso della sua esistenza l'edificio ha ospitato sul fronte del corso Umberto un gruppo scultoreo in bronzo di Francesco Jerace ritraenti le statue di Federico II nel momento in cui istituisce l'Università di Napoli affiancato dalle figure di Pier delle Vigne e da altri soggetti non meno importanti anche se poco conosciuti e varie allegorie. Le statue furono fuse nel bronzo presso lo stabilimento Chiurazzi, mentre nel 1922, ad ampliamento terminato di via Mezzocannone, su questo lato, l'edifico ospitò sempre in bronzo, dell'artista D'Orsi le opere che ritraggono Giambattista Vico che insegnava la Scienza Nuova e Giordano Bruno al cospetto dei giudici inquisitori. Le due sfingi che stanno all'ingresso invece per sola economia furono progettate anch'esse dagli scultori Ferrer e Pellegrino per esser fuse nel bronzo ma per ragioni di contenimento economico furono poi realizzate in sola pietrarsa.
(6) Secondo lo stesso Melisuergo, unico autore del progetto iniziale, l'edificio così come lo si osserva oggi è un totale stravolgimento di quello da lui studiato, pensato, disegnato e proposto, laddove, egli lamenta, per esempio che al carattere magniloquente da lui assegnato al corpo di fabbrica ne è stato sostituito uno più sobrio appunto che della campata, c'è scritto sul documento, ” …. ne faceva l'elemento di forte risalto” venendosi a compromettersi l'attesa orizzontalità della facciata stessa. Il frontone che era stato pensato per coronare le testate nelle esecuzione dei lavori ” … fu collocato solo sull'alzata principale”.
(7) Nel modulo principale della facciata all'altezza dell'ingresso centrale durante i lavori di esecuzione furono sistemate due sfingi non presenti sul disegno principale e due paraste che intervengono nell'armonico disegno che se ne ottiene osservando le proporzioni dell'edificio, alle quali, per considerazioni del suo stesso autore, il gruppo scultoreo nella timpano in alto non appare però legato a queste stesse proporzioni sia del gentile dorico del pianterreno che del corinzio gigante al piano superiore.
(8) Entro il 1915 furono realizzati per l'allora già ventennale sede centrale dell'Università di Napoli gli Istituti di Chimica e di Fisica ai quali, si potè accedere anche da via Mezzocannone ma alle quali però fu data una configurazione del tutto diversa rispetto al progetto delle origini. Infatti esse hanno aule ottagonali a modo di anfiteatro ed entrambi gli istituti hanno una planimetria sviluppata a “T” intrinsecamente create per esser innestate direttamente allo scalone centrale.
(9) Cfr. b. “Risanamento” f. 15 “Appunti e pubblicazioni per costruzione nuovi locali universitari” in Archivio centrale di stato, Fondo R. Commissione d’inchiesta per Napoli, Roma.
(10) Ibidem: “Consigliai non spedirsi a Parigi (all’Esposizione del 1889) il rilievo di gesso per evitare una triste opinione degli ingegneri napoletani…”
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