Scavo nell'ex istituto Filangieri Napoli

Si trattò alla sua epoca di una campagna di scavo1 realizzata con carotaggi geoarcheologici perforati dalla Tecno IN, S.r.l., tra il 2002 ed il 2003 nell'unico cortile interno all'edificio ex Istituto Filangieri2 alle spalle del complesso monastico di San Gregorio Armeno a Spaccanapoli di cui oggi ne è parte integrante per effetto di acquisizioni di proprietà dello stesso monastero di San Gregorio nel Seicento. A dirigere la campagna sul posto per l'allora Soprintendenza ai Beni Archeologici di Napoli e Caserta Daniela Giampaola3.

Se ne ottennero straordinari risultati portando in superficie brani di una cittadella romana d'età imperiale e frammenti di un edificio d'epoca vicereale, appartenuto prima ancor che alla famiglia Scaglione, ai Caracciolo nel Cinquecento e prima di loro, forse, probabilmente alla nota famiglia de' Sangro, per esser stato il vicolo su cui affaccia il palazzo in superficie detto per molto tempo, vicolo dei Saguigni, o dei Sangri4.

Dagli scavi venne fuori anche un lacerto di pavimento in signino, un tessellato d'estrazione ostiense, oltre che di superfetazioni e stratificazioni di diverse datazioni storiche. Inizialmente lo spazio perimetrale interessato dallo scavo fu di 1000 m2, sufficientemente riportato poi a soli 380 m2 restituendo alla luce porzioni di territorio sommerso d'età antichissima, assieme alle sottofondazioni di un palazzo scomparso del Trecento e di cui i suoi resti furono a loro volta nuovamente inglobati nel sottosuolo.


Con lo scavo si è riusciti a localizzare il primo colle romano a Napoli. 

Col medesimo lavoro si è riusciti a stabilire con approssimazione, III e II secolo a.C., la più antica delle date di primo insediamento umano in zona.

  • Dallo scavo condotto emerse anche la fascia nascosta di vico della Campana e le fondazioni cinquecentesche del monastero gregoriano. Le prime evidenze dello scavo nel suo complesso furono date dalle anomalie di sedimentazione del sottosuolo di questo spazio di cortile, caratterizzato nella sua zona ad est da un deposito di materiale eruttivo riferito alle cosiddette pomici di Avellino localizzate in un vano sotterraneo dell'edificio vicereale, esattamente a 27 metri dal livello del mare, contro una restante parte del cortile sommerso in cui, i carotaggi hanno evidenziato la totale assenza del materiale vulcanico anzidetto, in luogo invece, dell'evento eruttivo più antico, d'area flegrea, conosciuta all'archeologia come la cinerite di Agnano, che in questo sottoluogo di settore dispone l'andamento anche in superficie di una pendenza che tende a flettersi da nord verso sud e ridursi da ovest verso est. Il livello di cinerite è stata portato alla luce sotto uno strato di altri prodotti accertati di natura eluviale, accumulatasi nel corso dei secoli successivi. La cinerite e le pomici di Avellino nella loro esatta ubicazione indicano in questa zona la fase più antica di antropizzazione, di molto precedente all'insediamento greco. Diversamente, al di sopra dello strato di materiale eruttivo riferito all'epoca flegrea ed avellinese sono state rilevate strutture e piani pavimentali sicuramente di età imperiale della prima Roma. Un altro importante contributo archeologico estratto dallo scavo dell'ex Filangieri è che la zona di San Gregorio è risultato al tempo dei greci prima e dei romani poi diversamente dall'epoca attuale più in alto rispetto all'altezza configuratasi di via San Nicola al Nilo.

La disparità delle epoche storiche: il più antico che fa rivivere quello più recente.

Nel contesto dello scavo, ciò che è più antico coincide col materiale tufaceo riferito ad epoche più recenti.
  • È infatti, la parte più antica rinvenuta dagli scavi, stata usata come parete per la fondazione dell'edificio di epoca vicereale. Il materiale più antico rinvenuto è datato IV a.C., sostanzialmente fondato su due ricorsi di blocchi in assise piana tatticamente installato in uno spazio a sua volta scavato nel deposito di Avellino . Adiacente a questo tipo di materiale, dallo scavo è venuto fuori un piano della zona adiacente alla cortina con un'evidente inclinazione ad est e composta di solo battuto di scagliette e taglime di tufo, prettamente, Giallo Napoletano. Le conclusioni a cui giunsero gli storici della città antica di Napoli, grazie al materiale repertistico portato in superficie dallo scavo e dagli studi archeologici associati, è che, la presenza dei due battuti e di veri e propri solchi in esso tracciati, abbiano configurato la funzione di asse stradale della stessa età dei blocchi di tufo che la confinano ai margini di un probabile isolato adiacente al foro romano, una funzione che questo tracciato emerso pare abbia mantenuto come tale fino all'epoca moderna. Solo che col passare del tempo dovettero esser state realizzate in lungo e in largo scale e rampe di accesso, in quanto, il dato emerso dallo scavo è che vi fu successivamente al suo tracciamento un rialzamento delle quote interne all'isolato, fatta salva la sola eccezione, fino ad oggi mai verificata, che vi fosse solo un unico accesso con rampa o scala da via San Nicola al Nilo. Su certo materiale antico, resti di musi demoliti, forse I secolo d.C., in concomitanza con la fine dell'impero di Roma, è stata posta la base di un collettore fognario anche questo presumibilmente antico di quell'età, e che ulteriormente andava ingrossando il settore orientandolo definitivamente nord-ovest/sud-est e innalzando il livello di calpestio ad 1,20 metri di altezza rispetto alla strada romana, che, qui, in questo senso direzionale, conserva ancora parte del muro in opera reticolata con tre filari superiori di blocchetti. Queste ultime strutture appena citate si distaccano di poco dall'allineamento originario dell'isolato così come fu tracciato dall'urbanistica legionaria. Al di là, sul lato opposto alla strada, due avanzi di muro romano tra di loro perpendicolari, in struttura reticolata con ” … catena angolare a blocchetti”. Dalle ricerche condotte dalla studiosa Giampaola, si evince per questa zona una sostanziale trasformazione urbana dovuta a quel processo di risanamento del tessuto circostante e di altri comparti della città antica in conseguenza del disastroso terremoto del 62 d.C, ed il ben più famoso evento eruttivo del 79 d.C. Sembra piuttosto databile invece VII secolo d.C., parte di un piano di calpestio composto da laterizi collocati di taglio, e seppur non in grado di evidenziare livelli di camminamento alto o basso-medievale essi possono esser desunti come verosimilmente esistiti e poi rimossi dalle bonifiche vicereali proprio in forza dell'assenza di strutture di sedime nel tracciato interessato, laddove si è segnalata la sola presenza di un pozzo si scarico con riempimento attivo fino al XIV secolo ma di fabbricazione seconda metà del I secolo d.C.


Spazio note

(1) Liberamente estratto dal testo citato a questa nota.
(2) Le indagini, sotto la Direzione scientifica della allora Soprintendenza archeologica di Napoli e Caserta nella persona della scrivente, sono state eseguite in occasione del recupero e del restauro dell’edificio curato dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Ambientali di Napoli e Provincia. L’assistenza archeologica all’indagine, affidata alla società APOIKIA s.r.l., è stata realizzata dalle dott.se Franca Del Vecchio, Silvana Iodice, Francesca Longobardo, Giovanna Ronga, il catalogo dei reperti di età medievale e moderna si deve alla dott.ssa Caterina Scarpati, di quelli romani e tardo antichi alla dott.sa Franca Del Vecchio. Le foto di scavo sono di Riccardo Giordano. Il rilievo architettonico delle strutture emerse dallo scavo è stato eseguito dall’arch. Teresa Tauro, con la collaborazione dell’arch. Silvia Giordano. Un ringraziamento a tutti loro per la collaborazione fornita sia durante le fasi di cantiere, sia nell’elaborazione di questo contributo. Per l’intelligente e fattivo contributo alla pianificazione congiunta dell’intervento ed alla sua realizzazione si ringraziano gli allora Soprintendenti Stefano De Caro, Fausto Zevi, Enrico Guglielmo, il Responsabile del Procedimento Ugo Carughi, i Progettisti e Direttori dei lavori Antonio Capurro, Roberto Fedele.
(3) Daniela Giampaola, archeologo, direttore della Soprintendenza Speciale per i Beni archeologici di Napoli e Pompei, è responsabile di zona del centro storico di Napoli. Fra i suoi più recenti contributi: D. Giampaola et alii, La scoperta del porto di Neapolis: dalla ricostruzione topografica allo scavo e al recupero dei relitti, in «I Marittima Mediterranea» <7em>2 (2005), 48-91; la cura scientifica del catalogo della mostra Napoli. La città e il mare. Piazza Bovio: fra Romani e Bizantini, 2010; Il teatro di Neapolis. Scavo e recupero urbano, a cura di D. Giampaola et alii, 2010.
(4) ASNa, Monasteri soppressi, 3425, 580r-v. Il volume risale a circa l’anno 1735. Vedasi anche: ASNa, not. Giulio Avonola, sch. 819/24, 74r.