Palazzo Guasco-Donadio a Napoli

È l'antico edificio del primo Mormanno1, proprietà delle Basiliane a Spaccanapoli, oggi localizzato esattamente laddove vi è l'ingresso con androne al numero civico, 21 di via San Gregorio Armeno nell'omonimo comparto urbano. Sulla strada affacciano cinque finestre con balconi di cinque rispettivi appartamenti appartenuti a cinque diverse nobili famiglie che così lo vollero suddiviso a partire dal 17522.
È il secondo palazzo in ordine cronologico di acquisizione proprietà del Monastero basiliano.

E' detto palazzo Guasco - De Palma per esser stato il primo, cioè Guasco, il cognome del suo ultimo proprietario che, avendolo ottenuto, si limitò solo a possederlo senza abitarci. E De Palma, invece il vero cognome del suo primo proprietario, Giovan Francesco De Palma, in arte, il Mormanno, che non l'ha mai realmente abitato, pur avendolo posseduto per primo subito dopo le monache di San Gregorio.

La storia di questo edificio napoletano è prontamente stata profilata da un preziando comprensorio di case datato 20 luglio 1752. Un apprezzo da dove si evince che gli ambienti al suo interno, rispetto alla loro primitiva sistemazione inizialmente vennero modificati dal maestro organaro napoletano, che, avutala in concessione dalla madre badessa di San Gregorio, Tarsidia Guindata, il 9 febbraio del 1507, la cedette a tale Giovan Lamberto3, non prima e non senza averne fatto un designo super fabbrica per soddisfare le continue richieste di realizzare al di sopra del suo unico fondaco una magnifica terrazza4.

Sulla volta dell'androne, alla maniera di tutti gli altri palazzi di Spaccanapoli, specie quelli prospiscienti il tratto di Via Benedetto Croce, vi erano degli affreschi oggi obliterati ritraenti i blasoni delle casate che l'hanno via a via posseduto: i Caracciolo, i Perrino e i Guasco5.


All'interno del cortile si legge sull'apprezzo vi erano anche affreschi di stampo religioso.

Affresco composto dalle figure dei Santi Antonio, Gaetano, Nicola, Cristofaro, Andrea d'Avellino.

  • Sempre al di sotto della figura di Beatissima Vergine Maria, Sant'Anna, San Giuseppe. San Michele, l'Eterno Padre,, e com'era d'uso a quei tempi, anche lo Spirito Santo e Cherubini. Furono fatti eseguire dai vari proprietari nel tempo che l'edificio subiva ampliamenti registrati nei cantieri diretti dai noti architetti napoletani, Giuseppe Pollio, l'Astarita e Giovanni Del Gaizo. Gli affreschi oggi sono stati tutti quanti coperti dalle superfetazione del Novecento, così come son sparite per sempre le ornie in piperno al pianerottolo del primo piano, una sorta di delicatezza dell'ospite, così com'era d'uso a quell'epoca e testimoniato dalla sistemazione tardo barocca del palazzo degli Spina a via Benedetto Croce. Purtroppo l'ingresso alle stanze dell'appartamento medesimo non hanno più le mostre così com'erano state originariamente sistemate e più o meno quasi tutto il complesso in sé non mostra più i caratteri architettonici della fase che lo caratterizzò per tutto il Cinquecento. Di quel secolo in relazione a questo immobile nulla è rimasto. Il portale d'ingresso al palazzo non è l'originario cinquecentesco, ma l'aggiunto decorativo del Settecento e le stesse scale di accesso ai piani superiori non mostrano più la chiara espressione tipica della produzione mormandea. Ornie ed architravi in pietra grigia del Vesuvio, profilati alcuni con uno slancio superiore piano, altri con slancio curvo, fissano la parte bassa di finestre sui balconi contornati da mostre in stucco; il tutto per realizzare un aspetto unitario di facciata del palazzo alla Settecento napoletano, con qualche timida riflessione sulla produzione sanfeliciana. Gli elementi architettonici e decorativi che strutturarono la forza del manufatto alle origini, nel Cinquecento, non aiuta in una più corretta valutazione dell'immobile opera del Mormando nel campo dell'edilizia, in quanto, di questo personaggio se ne ascrivono opere edili solo a partire dal 1507; prima di quella data, la storia della città di Napoli conosce questa persona solo come produttore di organi per chiese. Una, forse delle sue prime esperienze come costruttore di case, può dirsi, sulla base di pregresse ricerche condotte, la realizzazione di un disegno per un lavoro da eseguirsi esclusivamente in piperno, e sotto la sola direzione di Michele Di Franco, per il palazzo di Andrea Matteo Acquaviva duca d'Andria. Altro episodio di non molta importanza fu l'assegno per due porte da sistemarsi per la casadi Giovan Battista Raimo presso la Grotta di San Martino nel 1511, annata quella che non lo vide ancora consacrato come egregio architetto. Il lavoro si intensificò e crebbe di livello nonché di successo per il Mormando solo appena avviata e procrastinata l'esperienza di lavoro edile pre il palazzo del duca di Altavilla a Spaccanapoli, definendolo, nel 1512, maestro architetto.


Spazio note

(1) Liberamente estratto dal testo citato a questa nota.
(2) ASNa, Monasteri soppressi, 3452; ASDN, Vicario delle Monache, 173.
(3) La casa però in suggestione ha avuto moltissimi locatari ed in definitiva appena sue soli conduttori. Il monastero di San Gregorio come premesso la cedette a a Giovanni Mormanno che nel 1518, con dovuto assenso dello stesso monastero in succensuazione la ricedette a Giovan Lamberto, in nome e per conto di Michele d''Afflitto conte di Trivento, il quale, a sua volta, la lascia al figlio Francesco proprio mentre appone la firma dell'avvenuta locazione. I passaggi si complicano in forza della volontà di Francesco Scipione, figlio del D'Afflitto, che, il 5 agosto del 1530 la vende a Carafa Trojano, in qualità, quest'ultimo, come appare scritto sui documenti di Felice Autieri, di procuratore della propria madre, Camilla Sanseverino. Il 23 gennaio del 1534 però, Camilla Sanseverino in ragione di un processo indetto contro i coniugi Scipione ed Isabella Scorciatis lascia l'abitazione a Tommaso Naclerio, anche lui a sua volta, per testamento la lascia al figlio Ottavio. Più tardi nel tempo avverranno nuove succensuazioni a tale Paolo di Gaesta e nel 1642, si leggono ancora passaggi di proprietà Camilla Naclerio moglie del Perrino, poi ad una certa Popa, filgia di Giovanni Perrino che la porta in dote nel 1643 al giudice della Vicaria Piero Guaschi, per finire poi, definitivamente nel 1752 nuovamente al monastero di San Gregorio in un acquisto compiuto dal suo economato che ne approfitterà di una lottizzazione comunale del patrimonio Guaschi. Per tutte queste informazioni si vedano le fonti rintracciate: (ASNa, Monasteri soppressi, 3452, a.1749; ASGA, n. 46, Platea 1691, rubr. 1, 8v).
(4) Una casa su due piani concessa per tredici ducati l'anno col proponimento che chi l'avesse in locazione spendesse nel giro di poco più che un biennio cento ducati per risistemarla a dovere, secondo quelle che furono le prammatiche monasteriali, ”altius non tollendi”, meglio specificato sul carteggio dei pagamenti con la dicitura: ”a Joanne Mormanno organista magistro Neapolitano fabricam et reparationem ipsius domus, seu fundicis”. I ducati passarono da 13 a 16 allorquando la madre badessa concessionaria, ad un mese della prima stipula, esattamente il 15 marzo di quello stesso anno, evase nuova concessione per nuova sistemazione degli ambienti di cui era ancora conduttrice. Infine, ancora per quello stesso anno di quello stesso secolo si aggiunsero ulteriori 7 ducati di fitto in quanto il Mormanno in quel periodo pretese per concludere la sua grande storia d'architettura un'altra casa ivi congiunta, che per mancanza d'atto notarile andato perduto non oggi più possibile optare per un'attribuzione scientifica. «Prefate vero domina Abba … habere ... quemdam fundicum consistentem in membris infrascriptis V3 uno subporticali cum introitu, curti, puteo cantaro, et tribus membris inferioribus, cum astraco ad solem discoperto, in modum terratie, cum orticello, ac membris alijs suis superioribus et cum quadam coquina, situm, et positum in plathea dicti Monasterij Sancti Ligorii, juxta bona dicti Monasterij a tribus partibus juxta bona domini Gabrielis de Risio, juxta viam publicam, et alios confines ... inperpetuum locaverunt ducatos tresdecim de carlenis argenti, nec non infra annos duos continue complendos expositurum de propria pecunia ducatos centum de carlenis argenti in fabricam et reparationem ipsius domus, seu fundicis … ipseque promiserunt … claudi facere omnes aperturas, fenestras, et sasinas sistentem super orticellum predictum …». ASNa, Monasteri soppressi, 3414 bis. Esiste però anche un altro passaggio più o meno rimasto senza fondamento cartaceo e dunque con datazione solo presunta, e non è escluso che possa non esser mai avvenuto il passaggio di proprietà realizzato dal Mormanno in favore di Sebastiano Barnaba. Ciò si evince da un processo celebrato innanzi al Sacro Regio Consiglio, e trascirtto per dovere di cronaca dal celeberrimo giurista, Antonio Capece, onde, tale Nicolò Polverino, che abitava praticamente appresso alla casa del Mormanno, chiese al tribunale di esser preferito lui nella compravendita in forza di un diritto congruo. Antonij Capycij, Decisiones novae Sacri Regii Concilii Neapolitani, Lugduni 1548, 279.Si dice che per sopraggiunto evento morte del Barnaba, la casa passò di automatico alla figlia Livia e da questa per matrimonio contratto passò al marito Galieno Bolvito. E questo la vendette a Pietro Giacomo Romano, che niente di meno manco un giorno e la rivendette al fratello Giovan Filippo. «domos … in Platea Santo Ligoro, iuxta bona m.ci V.I.D. Thome Navalerij, juxta bona m.ci Francisci Pulverinj, juxta bona Nobilis Joannis Francisci de Palma, alias Mormandi, et juxta dictam Plateam …». ASNa, Monasteri soppressi<>/em>, 3414 bis
(5) ASNa, Monasteri soppressi, 3425, 244-256.