Materiali antichi della Platea Augustalis

I materiali e le basi lapidee che ancora oggi caratterizzano l'ambiente della platea Augustalis1, cuore della zona Nilo a Napoli, dalla ricerca e dalla didattica universitaria conosciuti come, le spolia di Neapolis, mantengono l'attribuzione ad un contesto antico pregiudicata da un mancata verifica delle fonti che le presumerebbero tali.

Nonostante ciò essi sono fondamentali per raccontare le complesse vicende della città medievale sorta e cresciuta attorno al monastero di San Gregorio Armeno a Spaccanapoli2.

Nelle sue sottofondazioni pare sussistino tracce del santuario napoletano di origini romane dedicato alla dea Cerere, del quale questi stessi pezzi ne sarebbero testimonianze superstiti.

I reperti di cui si discute sono stati studiati dopo averli rintracciati e raggruppati assieme per categoria dette spolia maggiori contenente le epigrafi più importanti, tra cui spicca per superiore interesse archeologico, la sacerdotessa di San Gregorio Armeno, la Thesmophoros del cortile del palazzo numero 62 di Via Tribunali, il Ratto della Prosperina appartenuto alla collezione rinascimentale di Diomede Carafa, nel suo palazzo di Via San Biagio dei Librai ed oggi in custodia al Museo di Berlino ed altre due iscrizioni di presunta età romana collocate l'una sotto l'arco che introduce al vico San Nicola al Nilo, lato San Biagio dei Librai, e l'altra nel palazzo di Filippo D'Angiò a via Dei Tribunali; seguono tutte insieme le iscrizioni murali e lapidee raccolte nel segmento delle spolia minori entro il quale ci stanno anche le spolia architettonici. ed i due sepolcri del chiostro. Si aggiunge alla lista delle moderne anticaglie anche il pavimento musivo d'ambito vesuviano del I e II secolo d.C., meglio noto come il Mosaico del Filangieri.

Di queste testimonianze ne hanno già parlato, Roberto Pane, Mario Napoli e Arnaldo Venditti3, ma nonostante ciò, per la Federiciana Univesrità Editrice, Felice Autieri consegnerà nel 2007 un altro attento lavoro d'analisi sul materiale attribuito all'età classica.

I pezzi si distinguono per l'eterogeneità tipologica e cronologica e se non fosse altro anche per lo stato corrosivo nel quale sono da secoli calati ed ovviamente, i segni che mostrano lo stato lacunoso di conservazione non indicano affatto il maggior grado di antichità di questi quanto altrimenti il risultato finale di diversi, ripetuti e maldestri interventi di lavorazione e riutilizzo degli stessi per altri usi. Tutti questi elementi ad ogni modo ricordano le diverse visioni che hanno avuto ed hanno gli studiosi su quanto c'era sul posto prima che venisse edificato il monastero di San Gregorio.

Giulio Cesare Capaccio da lunga tradizione addirittura risalente al Cinquecento riferisce di resti di un tempio sacro alla dea Cerere, mentre invece, in un momento contemporaneo alla riforma post-tridentina Fabio Giordano indica i resti in deposito presso il chiostro di San Gregorio come di un antico tempio dedicato all'imperatore Augusto.
Ma di entrambe le testimonianze degli antiquari anzidetti, ciò che conta maggiormente è la quasi matematica certezza dell'attribuzione all'età classica dei manufatti antichi dentro e fuori San Gregorio.


La Sacerdotessa di San Gregorio Armeno.

Si tratta della faccia a vista della base di una colonna antica col lato posteriore, anteriore e destro incassati nel muro maestro del palazzo al numero civico 14 di Via San Gregorio.

  • È quindi tutto ciò che resta a vista di un'incisione che mostra una figura muliebre, ovvero quella che i latini chiamarono come la puella Canistrifera, la giovinetta col canestro in testa, un profilo di fanciulla che in un niente è divenuto presunto Flamine demetriaco4. Quanto è vero va aggiunto che Cerere come dea romana è stata dalla mitologia identificata nella figura greca di Demetra, divinità dell'Olimpo greco, dispensatrice di ogni bene ed è vero anche che la silhoette del pezzo ritrovato a San Gregorio è avvolta in un drappo tipo panno fitto, con la testa particolarmente corrosa, laddove a stenti si riescono a scorgere segni di un alto polos. Regge nelle mani, non proprio chiaramente definibile, forse, nella sinistra un contenitore tipo una cesta, e nella mano destra qualcosa che sembra una fiaccola. A parte le conclusioni a cui arriverà Mario Napoli su questa faccenda e alle quali mai volle rinunciare, la dimensione votiva della figura ancora oggi dipende da quanto riportato da Capaccio5 e più di recente vi si è aggiunto un contributo offerto da Bartolomeo Capasso6 e Roberto Pane, comunque tutti concordi nel conferire alla figura la medesima dignità della cosiddetta canefora, colei che porta il cesto e la connessione di questa figura all'universo cultuale demetriaco è rimasta oggetto centrale delle amabili discussioni intraprese dagli eruditi del settore, ognuno a modo proprio coinvolto nel dibattito teso a favorire l'originaria ubicazione del tempio neapolitano di Cerere proprio laddove oggi sorge maestoso il monastero di San Gregorio Armeno. Gli antiquari anzidetti, esperti dell'argomento, hanno lasciato tuttavia un margine di riserva sull'attribuzione del pezzo di marmo da attribuire piuttosto ad una riflessione più ampia che altre dissertazioni antiquarie potrebbero col tempo, non è escluso, aggiungere nuove possibili identificazioni oltre a quelle già avanzate e studiate, come ad esempio, quella di attribuirla anche alla dea Ecate o a Cybele . L'incisione di cui si tratta e che alimenta di vita il mito della Sacerdotessa di San Gregorio Armeno sembra identificarsi, sempre secondo le ricerche condotte dagli esperti di materiali antichi commessi per lo studio di Felice Autieri, ad un'epigrafe nota nelle sillogi antiquarie dei primi del Settecento, confluita poi nella monumentale opera di Theodor Mommen, dal titolo, Corpus Inscriptionum Latinarum. La trascrizione dell'epigrafe, a sua volta, ripresa e studiata dal Capaccio, ha trovato però miglior supporto nella trattazione di Maarten Jozef Vermaseren, nel suo, Corpus Cultus Cybelae Attidisque, IV. Italia. Aliae provinciae col quale l'ha così ricostruita: M(arco) Octavio / M(arci) f(ilio) Agathae. C(aio) Domitio Dextro II L(ucio) Valerio / Messalla Thrasia Prisco co(n)s(ulibus) / VI Idus Ianuar(ii) / in curia basilicae aug(ustae) Annian(ae) // scribundo adfuerunt A(ulus) Aquili(u)s / Proculus M(arcus) Caecilius Publiolus / Fabianus T(itus) Hordeonius Secund(us) / Valentinus T(itus) Caesius Bassianus / quod postulante Cn(aeo) Haio Pudente // o(ptimo) v(iro) de forma inscriptioni dan/da statuae quam dendrophor(i) / Octavio Agathae p(atrono) c(oloniae) n(ostrae) statue/runt Cn(aeus) Papirius Sagitta et P(ublius) / Aelius Eudaemon IIvir(i) ret76 tu//lerunt q(uid) d(e) e(a) r(e) f(ieri) p(laceret) d(e) e(a) r(e) i(ta) c(ensuerunt) / placere universis honestissimo / corpori dendrophorum in/scriptionem quae ad honorem / talis viri p[ertinea]t dare quae // decreto ......... inserta est.7 L'epigrafe così rilanciata quindi riporterebbe, data consolare 196 d.C., un documento ufficiale del duoviri Cn. Papirus Sagitta e P. Aelius Eudaemon che ordinava l'affissione di un'epigrafe dedicatoria ai piedi di una statua d'onore eretta dal collegio dei dendrofori al patrono della colonia Octavius Agatha. Mommasen ed altri prima di lui hanno identificato a loro volta questa colonia in quella di Puteoli in quanto, nell'elaborazione dell'epigrafe si fa riferimento ad una basilica Augusti Anniana più volte intercettata nelle iscrizioni puteolana e convenzionalmente accettata dall'archeologia e dalla lettura di riferimento tra i monumenti più conosciuti e celebrati della Pozzuoli di dominio romano8. Fu Giacomo Martorelli nel XVIII secolo a citare nuovamente questa preziosissima fonte, incassata nel muro di una fondazione moderna, lasciando alla vista solo la bella immaginetta che ha poi generato il mito stesso9.

Le spolia maggiori della Regio Augustalis.

La vicinanza di epigrafi ed iscrizioni varie al nucleo monastico di San Gregorio non è ragione sufficiente a dimostrare la preesistenza in loco di un tempio romano dedicato a Cerere.

  • Il pezzo di via dei Tribunali, 62, è datato età medio-imperiale, ed è un oggetto che reca l'epigrafe in onore di Cominia Plutogenia, diaconessa di Demetra, una Thesmophoros, una sorta di donna-notaio dell'antichità presente nelle cerimonie nuziali, ma qui, su questo pezzo, sembra altrimenti ricordare il grande dono fatto da Cerere all'umanità, il cereale, appunto, da cui ne deriva anche il titolo romanoe Thesmophoros forse è lì a regolare la consuetudini degli umani a lavorare il cereale, per poter essi, come scritto sul Panegirico di Isocrate, distinguersi dalle bestie comuni e diversamente da loro possano coltivare speranze di cui nutrirsene già su questa terra, ” … primizie di ciò che dopo la vita verrà.” Il pezzo di Via San Biagio de' Librai, invece, ha per tema il Ratto di Prosperina e fu usato come rilievo decorativo per un sarcofago; parte integrante della collezione rinascimentale di Diomede Carafa, oggi l'epigrafe è tradotta al Berlin, Staatliche Museen, Antikensammlung10. La suddetta epigrafe si inscrive in una più ampia e generica categoria di insiemi di oggetti cultuali demetriaci del Quattrocento italiano, pervenuti e raccolti sotto il patrocinio del potentissimo Carafa Diomede, per i quali, non è escluso comunque la provenienza se non dal mondo dell'età classica, almeno dall'area flegrea come tutti i marmi che locupletarono la ricca collezione del principe11. La base di marmo come piedritto angolare che accompagna l'ingresso al vico San Nicola al Nilo dall'imbocco sud di Via San Biagio de' Librai mostra nella specchiatura qualche cosa di scritto che sembrerebbe una dedicata in greco antico ad un'imperatrice che restando comunque senza un nome, viene vocata col titolo di divina e potentissima augusta, cosa che daterebbe l'iscrizione II secolo d. C. L'iscrizione è detto dagli studiosi è stata formulata ed in quel posto affissa dai confratelli della fratria di Spaccanapoli, gli Euereidai.

Le spolia minori della Regio Augustalis.

Dispersi un po' ovunque in zona vi sono numerosissimi pezzi che apparterrebbero secondo studi mai convalidati dalle facoltà napoletane al misteriosissimo santuario dedicato a Cerere.

  • Nel suo scritto Enrica Pozzi dichiara che le due grandiose colonne di spoglio di marmo, che accompagnano l'ingresso alla basilica di San Paolo Maggiore a via Tribunali, impreziosite in alto da squisitissimi capitelli di stile corinzio, aggiunte anch'esse al corpo delle spolia architettoniche sarebbero ciò che resta del prospetto esastilo del tempio tiberiano dei Dioscuri fatto costruire sul luogo di San Gregorio dagli antichi romani, quello stesso tempio di cui si dice che sia crollato rovinosamente sul terreno all'indomani del terribile terremoto del 1628; i documenti dagli studi prodotti non certificano chi e come ce le avrebbero messe sul posto dove oggi si trovano le colonne. Delle granitiche colonne di cui si è testè fatta menzione, alcuni frammenti delle loro basi modanate si conservano faccia a vista sulle arcate in piperno che scandiscono la facciata del prospiciente palazzo d’Angiò12. Italo Ferraro nel suo Atlante Storico della Città di Napoli indica un fusto di colonna in granito, di tarda età augustea, a via San Biagio de' Librai angolo vico Figurari, sormontata anche questa da un capitello altrettanto di stile corinzio, usato qui come elemento angolare e più dentro al vico dei Figurari un'altra colonna con base attica e capitello ionico sarebbe stata murata dalla sopraffatta costruzione di un edificio di culto che aveva un basamento in piperno, da molti studiosi di storia locale, attribuito alla scomparsa basilica di Sant'Eufrasia.


Spazio note

(1) Liberamente estratto ed elaborato da: Disiecta membra: il riuso dell’antico nel complesso di San Gregorio, Armeno Francesco Pio Ferreri, pagina 88 di: San Gregorio Armeno: storia religiosa di uno dei più antichi monasteri napoletani di Felice Autieri in: FONDAZIONE VALERIO PER LA STORIA DELLE DONNE SAN GREGORIO ARMENO Storia, architettura, arte e tradizioni a cura di Nicola Spinosa, Aldo Pinto e Adriana Valerio fotografie di Luciano Pedicini Fridericiana Editrice Universitaria edizione italiana Maggio 2013 Stampato in Italia da Liguori Editore – Napoli Fotografie di Luciano Pedicini/Archivio dell’Arte, assistenti alle riprese Marco e Matteo Pedicini Tranne le fotografie alle pp. 97, 98, 99, 121 dx e 160 fornite direttamente dagli autori Spinosa, Nicola (a cura di): San Gregorio Armeno. Storia, architettura, arte e tradizioni/Nicola Spinosa, Aldo Pinto e Adriana Valerio (a cura di) Napoli : Fridericiana Editrice Universitaria, 2013 ISBN 978-88-8338-140-9 (BR) ISBN 978-88-8338-141-6 (RIL) 1. Monasteri femminili 2. Napoli 3. Storia religiosa I. Titolo La carta utilizzata per la stampa di questo volume è inalterabile, priva di acidi, a PH neutro, conforme alle norme UNI EN Iso 9760 ∞, realizzata con materie prime fibrose vergini provenienti da piantagioni rinnovabili e prodotti ausiliari assolutamente naturali, non inquinanti e totalmente biodegradabili (FSC, PEFC, ISO 14001, Paper Profile, EMAS
) (2) Stefania Adamo Muscettola, Napoli e le “Belle Antechetate”, in Fausto Zevi (a cura di), Neapolis, Napoli 1994, 95-109; Ead., La bella tomba di un oscuro cavaliere bretone. Un episodio del reimpiego di marmi antichi a Napoli, in Carlo Gasparri, Giovanna Greco, Raffaella Pierobon Benoit (a cura di), Dall’immagine alla storia. Studi per ricordare Stefania Adamo Muscettola, Pozzuoli 2010, 15-26.
(3) Roberto Pane, Il monastero napoletano di S. Gregorio Armeno, Napoli 1957, 14; Mario Napoli, Napoli greco-romana, Napoli 1959, 140-141; Arnaldo Venditti, Il monastero e la chiesa di S. Gregorio Armeno, in Franco Strazzullo (a cura di), L’antica strada di San Gregorio Armeno, Napoli 1995, 47
(4) Giulio Cesare Capaccio, Neapolitanae historiae a Iulio Caesare Capacio eius urbis a secretis et cive conscriptae, I, Napoli 1607, 18, con incisione.
(5) Giulio Cesare Capaccio, Neapolitanae historiae a Iulio Caesare Capacio eius urbis a secretis et cive conscriptae, I, Napoli 1607, 18, con incisione.
(6) Bartolommeo Capasso, Napoli greco-romana, esposta nella topografia e nella vita, opera postuma, Napoli 1905, 78.
(7) La trascrizione è ripresa da Maarten Jozef Vermaseren, Corpus Cultus Cybelae Attidisque, IV. Italia. Aliae provinciae, Leiden 1978, 8-9, n° 13.
(8) Claudia Valeri, Marmora Phlegraea. Sculture del Rione Terra di Pozzuoli, Roma 2005, 205-206, con bibliografia precedente in nota.
(9) Giacomo Martorelli, De Regia Theca Calamaria, Napoli 1756, 430-431: «Scio ex Capacio p. 88 saxum adhuc Neapoli exstare ad Divi Gregorii campanariam turrim [...]; verum cum ea turris paucis abhinc annis elegantius restituta sit, scelestissimi structores, et architectus, quae horum illitteratorum hominum kakohqeia est, scriptam marmoris faciem intra murum occuluere, nobisque rude, et afwnon cippi tergum, vel latus objecere; in quo icuncula quaedam sat detrita scalpta est: placuit autem infrunito turris fabro imagunculam melius ostentare, quam litteras».
(10) Berlin, Staatliche Museen, Antikensammlung SK 847: Eloisa Dodero, Le antichità di palazzo Carafa-Colubrano. Prodromi alla storia della collezio

(11) Sulle vicende della collezione Carafa, oltre a Dodero si veda anche: Bianca De Divitiis, New evidence for Diomede Carafa’s collection of antiquities, II, «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes» 73 (2010), 335-353, con bibliografia precedente.
(12) Enrica Pozzi (a cura di), Napoli Antica, catalogo della mostra (Napoli, 26 settembre 1985 - 15 aprile 1986), Napoli 1985, 476, tav. 7, n° 83.