Il Sacco di Napoli

Col termine Sacco Edilizio di Napoli o anche Sacco della città di Napoli e talvolta più semplicemente, Sacco di Napoli si intende la massima pressione antropica esercitata da un gruppo di imprenditori edili costruttori di numerosi alloggi e nuove strutture abitative edificate sui suoli bonificati dalle prescrizioni del PRG del 1939 nel periodo considerato tra il 1947 ed il 1963.

Col rapido insediamento immobiliare si è sottratta alla sua destinazione agricola larga parte della città di Napoli sopratutto la zona collinare

In pari misura si è distrutto il valore paesaggistico ed ambientale che accompagnava la collina di Posillipo concordando assieme dalla moderna filologia che le definizioni storiche del sacco edilizio furono chiarite definitivamente non senza un nostalgico languore, nella Sala dei Baroni al Maschio Angioino, nel 1992, in occasione della commemorazione dei dieci anni della scomparsa di Achille Lauro, durante la quale, tre suoi storici avversari politici, Carlo Fermariello, Massimo Caprara e Luigi Compagna, figlio di Francesco, delinearono inequivocabilmente le responsabilità dell'ex-comandante scomparso riabilitato dalle accuse.

Su suggerimento del consulente, ingegnere Giuseppe Virno, ispettore generale del Ministero dei Lavori pubblici, nonché sub commissario all'Edilizia e all'Urbanistica di Napoli, si fece un gran uso del Piano Regolatore Fascista, inizialmente rigettato dal Ministero dei Lavori Pubblici ed in seguito, inspiegabilmente reintegrato, posto quindi all'opera dalle sue numerosissime varianti tutte firmate, Alfredo Correra, commissario di governo presente tra il 1948 ed il 1951 a palazzo San Giacomo, in sostituzione di un sindaco non ancora eletto.


L'insostenibile situazione edilizia e le parti sane dell'Amministrazione comunale.

Tutto ciò è potuto accadere solo per la presenza di più elementi che son concorsi tutti insieme a generare il fenomeno costruzione selvaggia come un meccanismo.

  • Vale prima di tutto indicare come elemento base che ne ha scaturito la forza di questo disastro fu la nota del Consiglio Superiore di Stato che rigettò come inappropriato il PRG del 1939, per poi riammetterlo all'uso pubblico con prerogative di precettibilità sopraggiunte inaspettatamente pur tuttavia rimaste notoriamente nell'incertezza. Fa seguito poi la perdurante assenza di un piano urbanistico dettagliato, l'assenza simultanea anche di un sindaco della città, la stessa città ancora quasi del tutto distrutta dai bombardamenti del 1943, l'ombra del malaffare sulla ricostruzione, la reggenza di Alfredo Correra, la spregiudicatezza di Mario Ottieri, infine e non ultimo, il bisogno fisiologico di un popolo ad avere una casa nuova in luogo di un nuovo sistema di abitare. Diversamente però ancora oggi circola per le ricerche di studi sulla storia sociale d'Italia l'idea mai confermata che il concetto stesso di sacco della città, apparso fin dall'inizio come frutto della politica di espansione, fu costruito ad hoc per esser diffuso attraverso l'uso sincrono dei programmi tv, i giornali, le radio, e persino il cinema, col film di Francesco Rosi, girato nel 1963, dal titolo, ”Le mani sulla città” al solo scopo di distruggere il mito di Achille Lauro. Nel tempo altri studiosi hanno confermato le ricerche precedenti ed hanno intravisto la medesima esacerbata, paradigmatica volontà di equivocare su tutta la dimensione storica dei fatti che hanno condotto Napoli ad una crescita urbana incontrollata, che, certo, accadde realmente, ma non durante il regno di Achille Lauro e quindi annullando quasi tutto l'impianto di accuse mosse contro quest'ultimo. Infatti, all'analisi storica molti punti giocano a favore del Comandante, primo tra i tanti, la mancanza negli anni in cui sedeva a palazzo San Giacomo come sindaco di un vero e proprio strumento urbanistico che attuasse la politica di espansione edilizia dalla quale poi muovere alla speculazione di cui se ne fa causa. Ed anche perchè nel periodo considerato a palazzo San Giacomo a governare la città vi era il commissario Alfredo Correra e non Achille Lauro.

Il sacco di Napoli ed il triennio del commissario di governo, Alfredo Correra.

Avrebbe dovuto sedere a palazzo San Giacomo per tre mesi, tempo di organizzare le consultazioni elettorali. Ci stette tre anni consecutivi, durante i quali, si dice, stravolse la città.

  • Alfredo Correra fu indetto commissario di governo a Napoli per aver già svolto questo incarico a Castellammare di Stabia nel 1948, incaricato in quel tempo di osteggiare le sinistre di quell'epoca. Diversamente a Napoli la vita pubblica di costui ebbe risvolti opposti. A Napoli dal dopoguerra fino al 1972 non si è mai smesso di costruire, senza il rispetto di un vero e proprio piano regolatore e senza nessun tipo di limite, senza nessun confine territoriale, senza nessuna tipologia edilizia convenzionata, nulla, tutto spregiudicatamente in corsa verso l'espansione. E nel 1958 dal Consiglio di Stato, giunse parere di precettibilità dello stesso PRG completamente opposto a quello precedente che lo accompagnava dal dopoguerra. E su questa vicenda per molti anni successivi gravò il sospetto di una maturata decisione accolta solo in seguito ad un ricorso inoltrato da una cooperativa di magistrati contro la Società Edilizia Napoletana. Nei quartieri di Soccavo, Pianura e Secondigliano sulla piana di Scampia la misura dell'espansione raggiunse e superò largamente i limiti imposti anche dalla stessa orografia della città; altro esempio di urbanizzazione selvaggia oggi è la sinuosità immobiliare che caratterizza via Jannelli, e via San Giacomo dei Capri; diversamente dalla zona più alta del Vomero, laddove, costando molto poco il terreno, paradossalmente si è potuto costruire un edificio dopo l'altro rispettando le distanze di buon senso. A queste condizioni potè lavorare alle trattative coi costruttori e con gli imprenditori il commissario straordinario di governo per la città di Napoli, Alfredo Correra, con incarico a decorrere dal 13 febbraio del 1958 con scadenza posta dal governo entro e non oltre i novanta giorni successivi a quella data, seppur questa di proroga in proroga durò fino al 3 febbraio del 1961, a meno dieci giorni dal terzo anno consecutivo. La cosiddetta reggenza di Alfredo Correra rimase accentrata proprio sulla trattativa continua con l'entourage dei costruttori già formatasi all'epoca dell'insediamento Lauro, il quale, tutti sapevano, che nonostante non fosse più sindaco certo ancora condizionava col proprio serbatoio di voti il governo di centro e tutti sapevano che il commissario di governo lavorava alle trattative sull'espansione di Napoli col favore sia dei compiacenti giunti dalla precedente amministrazione, molti dei quali addirittura passati da un esponente politico all'altro, sia dalle fidejussioni del Banco di Napoli saldamente nelle mani dei dirigenti della DC . Nell'affare delle infrastrutturazioni industriali nei luoghi dell'abbandono e delle vecchie macerie di guerra prenderanno parte anche i monarchici che non si fecero mai più chiamare tali e intanto, dalle pagine dell'Unità arriveranno i primi timidi attacchi dei Comunisti, i veri, forse gli unici nemici del Correra, più dello stesso Achille Lauro. Fu quella l'era della città di Napoli afflitta da numerosi problemi tattici, logistici per la modernità; la guerra l'aveva lasciata distrutta per quasi il 90% del suo patrimonio, stimato in oltre 100.000 vani solo in relazione al centro storico e dal 1951 al 1971, la città passò da 1.011.919 abitanti, sempre senza tener conto della provincia a 1.226.594, il 25% di crescita demografica. Ed infine, promiscuità ed affollamento nei quartieri della città storica crescevano assieme al desiderio di un'abitazione almeno dignitosa; in questo periodo anche la superficie abitativa andava straordinariamente crescendo del 50% passando quindi da 486.308 stanze del 1951 a 1.039.499 del 1971, quasi 850 mila stanze in vent'anni. E quello non solo fu un successo immobiliare provveduto ed auspicato per Napoli come per tutte le più grandi città d'Italia che appartennero al grande progetto di Mussolini, ma anche l'incremento considerato dalla commissione che più di trent'anni prima ebbe promulgato il PRG del 1939. Si è detto sopra che la distruzione delle bombe del 1943 e l'incremento demografico spinsero gli imprenditori agevolati dal Correra a costruire anche in assenza di un piano urbanistico; ma per le note condizioni di svantaggio rappresentate dalla burocrazia al centro storico fu più difficile che altrove e a ricordarlo anche un articolo giustamente nostalgico di Italo Ferraro sull'Atlante Storico di Napoli, parlando a proposito di piazza San Domenico Maggiore, laddove, dice il ricercatore, i palazzi antichi hanno rappresentato l'elemento ostativo che hanno tenuto a riparo dai traumi della modernità tutta la Regio Nilensis, e la Regio Albinensis. Altri ricercatori sottolineano questa capacità del centro storico di proteggere parte del suo antico tessuto dagli sventramenti di quell'epoca, come la zona Porto, il settore del Pendino, Mercato, e la Vicaria Vecchia, alla stessa maniera di quanto seppero resistere durante la fascistizzazione di Napoli. Da quel periodo poi fino al 1955 numerose furono le approvazioni ministeriali per riparare i palazzi danneggiati dalla guerra, con l'obbligo però del consenso di almeno il 75% dei proprietari, cosa questa che rese praticamente impossibile operare con serenità.

Le mani sulla città e le costruzioni edilizie dell'imprenditore Mario Ottieri.

Le difficoltà di costruire in maniera selvaggia nel cuore della città antica è la dimostrazione lampante di quanto sia stato falso anche il mito di Napoli capitale della speculazione edilizia.

  • Poichè in altre città d'Italia, ugualmente afflitte dal problema, le vicende legate alla ricostruzione non ebbero certo l'attenzione dei media che ha avuto Napoli e si è potuti, quindi, lavorare in assoluta silenziosità. I dati statistici su questo aspetto della ricostruzione furono studiati e dati alle stampe dalla rivista dell'Istituto Nazionale di Urbanistica nel numero 65 del luglio 1976, a firma degli architetti Vezio De Luca e Antonio Iannello. Le mani sulla città calarono durante gli anni dello sventramento dei Quartieri Spagnoli per l'edificazione del nuovo rione Carità col massimo apice toccato nella fondazione del grattacielo della Cattolica a via Medina, quasi in sopraffazione dell'apparato immobiliare che lo precede, e poi sulla terra che un tempo appartenne alla Certosa di San Martino data in fitto ai Confratelli dell'antichissimo monastero di San Tommaso d'Aquino. Quello della Cattolica fu considerata un'operazione scellerata, la totale disarmonia del tessuto storico della città di Napoli e di questi sgraditi esempi il centro ne ostenta parecchi, tutti o quasi tutti a firma dell'imprenditore edile, Mario Ottieri, punta di diamante del gruppo Achille Lauro al parlamento, firmatario assieme a quest'ultimo di parecchi progetti avallati dallo stesso governo grazie al favore dei deputati compiacenti certo imperdonabile ma non da imputare ad Achille Lauro, ovviamente. Mario Ottieri nato in quel di Portici il 15 agosto del 1910, morto a Napoli, il 22 ottobre del 1974; relativamente alla III legislatura italiana, costui dal 18 giugno del 1958 fu membro del Partito Monarchico Popolare, ed dal 16 aprile del 1959 entra a far parte del Partito Democratico Italiano; all'avvio della IV legislatura riparerà presso il Gruppo Misto ed infine, dal 12 dicembre del 1963 di quello stesso anno torna nuovamente ad iscriversi al Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica. Di Mario Ottieri in città si ricorda tra le imprese ancora considerate vere sciagure edilizie il palazzo che porta il suo nome e che affaccia su piazza Mercato, mentre sembrerebbe da lui stesso avviato il cantiere dei lavori che daranno vita al Grattacielo della Cattolica di via Medina e sommariamente all'Ottieri e alla sua compagine saranno addebitati dalla storia di questa città, la fondazione sul territorio di duecentomila vani in soli due anni, duecentomila quintali di cemento armato e cinquantamila tonnellate di ferro. Suo è anche parte dello scempio urbanistico ancora oggi visibile nella parte più alta di Via Aniello Falcone al Vomero, quella serie di palazzi altissimi fondati direttamente sul versante scosceso della collina, ricordato nella storia della città come la Muraglia Cinese Napoletana. Molti autori di storia napoletana, tra i quali, Eramnno Corsi e lo stesso Giancarlo Alisio imputano questo tipo di opere direttamente a Lauro o comunque lo fanno ricadere sulla responsabilità della giunta Lauro. Ma ancora una volta le ipotesi addotte si scopriranno nel corso delle ricerche di studio come infondate, quanto altrimenti sempre più manifesta appare la subdola volontà di sottrarre responsabilità ad uno per addebitarla a qualcun altro.

Alla base del sacco della città un'azione da manuale e le varianti Correra.

Del piano regolatore datato 1939 ne esistevano tre copie; uno all'Archivio di Stato, l'altro al Comune di Napoli ed un altro ancora presso il Ministero dei Lavori Pubblici.

  • È noto a tutti che una di queste copie fu manomessa per poter permettere le costruzioni di case e palazzi nelle aree indicate sul piano come destinate ad attività agricole. Non furono mai rese note l'identità delle persone che in più tempi apportarono modifiche al piano cambiando i colori delle tavole in deposito presso gli archivi napoletani, ignorando, evidentemente la copia depositata a Roma, poiché, quella allo stato dei fatti risulta esser inalterata rispetto alla prima versione. E forse è anche probabile che non vi fu mai una reale volontà di inquisire anche solo gli ignoti per rendere chiarezza sull'accaduto. Quindi succede che le aree destinate alle attività agricole, colorate sul piano di verde, nella manomissione, saranno colorate di giallo, il colore usato per indicare la zona edificabile. Questo aspetto di modifica accade sulle due versioni napoletane, mentre su quella romana tutto resto così com'era. L'offerta del piano fascista sulla reale sistemazione urbanistica di Napoli descritta nel piano incriminato ebbe previsto con sorprendente naturalezza ad esempio che la zona collinare dove oggi sorgono gli edifici del Policlinico doveva restare libera da ingombri ed esser terra lavorata a mano per i prodotti di consumo, a giovamento della sua posizione alquanto favorevole perchè ben esposta al sole e abbastanza lontana dalla salinità del mare, oltre al fatto, che all'epoca tutto intorno era molto meno urbanizzato e lo stesso movimento fascista non ebbe modo di poter prevedere l'aggressione antropica che la stessa collina avrebbe di lì a poco subito. Quindi, in seguito al cambio della coloritura di zona, verde in questo caso, ne seguì il colore giallo che fece per prima cosa calare i prezzi di questi terreni, che, quindi, vennero comperati per pochi soldi, fruttando di contro, cifre astronomiche per i rivenditori e da questi, agli stessi costruttori. Sicchè, i suoli rigenerati dal prezzo e dal colore sulle tavole verranno aggrediti da milioni di metri cubi di cemento armato coprendo vaste aree agricole sul colle procedendo sia nella direzione di Polvica e Chiaiano sia sul versante esterno sia verso il fronte del Vomero procedendo massicciamente con le costruzioni pure su Via Aniello Falcone. L'avanzata immobiliare sulla base delle manomissioni anzidette proseguirono fino a quando, scoperta la terza copia romana, tutto si fermò in forza di un provvedimento penale che non vide però mai nemmeno un colpevole su questa faccenda. Tutto venne insabbiato, e ai molti appelli pubblici non seguirono le corrispondenti azioni della magistratura inquirente. E fu dunque al momento in cui venne scoperto l'inganno che stava alla base dell'avanzata immobiliare che l'allora commissario di governo in carica presso la sede del Comune di Napoli, Alfredo Correra, in sostituzione di un sindaco non ancora eletto, emanò una serie considerevole di varianti allo stesso Piano regolatore, da molti, di quell'epoca, ma anche delle epoche successive, considerate senza dubbio di sorta, un tentativo di rendere legale ciò che invece appariva chiaramente come illegale. Le licenze, si racconta, specie dalla nota storiografica del consulente del film Le mani sulla città, Antonio Guizzi, venivano rilasciate col visto del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici sempre ben apposto in epigrafe alla stessa licenza e ciò continuò anche dopo il mandato Correra con i commissari D'Aiuto e Matteucci e ovviamente l'immancabile Mario Ottieri come imprenditore quasi sempre vincitore di bandi. Da questa situazione di trattato scellerato ne vennero fuori quasi del tutto trasformati i quartieri di Posillipo, il Vomero, l'Arenella e Fuorigrotta, furono completamente cancellati i terrazzamenti della certosa di San Martino, soverchiati i giardini pubblici della corona, come anche tutto quel che restava del Biancomangiare e Carogioiello. Altro risultato oggi ben visibile è l'ammasso di cemento fortificato nella zona del Drizzagno, situata tra il Corso Vittorio Emanuele, Via Schipa e l'edificio della Caserma dei Carabinieri, laddove l'indice di fabbricabilità dettato dalla Variante Correra con tanto di delega ministeriale fu di 22 metri cubi di costruzione in altezza per ogni metro quadrato d'area della superficie occupata a terra. Altro elemento indicante la terribile situazione in cui versava la città di Napoli negli anni del sacco fu l'azione del commissario Correra di agevolare lo sviluppo dell'edilizia sovvenzionata spesso con criteri di fondazione decisi caso per caso, di volta in volta rispetto allo stato dei luoghi, registrando in quegli anni la nascita di nuovi quartieri fondati sul ciglio delle colline, nelle aree sottratte ai casali storici; nasceranno quindi da allora le case popolari a nord di Napoli, l'UNRACASAS a Secondigliano, il quartiere dormitorio di San Pietro a Patierno, il Santa Rosa a Ponticelli, Pazzigno, il Taverna del Ferro a San Giuovanni a Teduccio e tutto quanto l'universo delle case popolari napoletane aventi in riferimento la sigla 167.

L'urbanizzazione delle colline e la gestione Speme di Correra.

Il 12 aprile del 1961 il ministero dei Lavori Pubblici recepisce il massiccio contenuto edilizio sorto dalle varianti Correra, e nulla più potesse esser modificato.

  • Si dice di quel periodo che il Vomero e la zona Arenella proprio per effetto della Varianti Correra furono colombarizzate, nel senso furono costruite case capaci di ospitare un numero enorme di vani proprio per il suo indice di costruzione immobiliare vicino ai 18,2 metri cubi per ogni metro quadrato. Furono quelli anni difficili per una città che, ancora in parte distrutta, ancora in parte da ricostruire già desiderò un impegno importante come lo è di fatto un'opera di espansione e con problemi sociali inevitabili, come la disoccupazione e servizi pubblici continuamente interrotti ad ogni minimo incidente. E per non dimenticare, i troppo frequenti crolli di case e palazzi, disastri che meritarono per Napoli l'appellativo di città di cartone.
 

Spazio note

 (1) Liberamente estratto da: FACOLTA’ DI ARCHITETTURA DIPARTIMENTO DI STORIA DELL’ARCHITETTURA E RESTAURO Dottorato di Ricerca in Storia dell’architettura e della città XVII Ciclo Le colline nord-occidentali di Napoli: l’evoluzione storica di un paesaggio urbano. Tutor Agostino Di Lorenzo Prof. Leonardo Di Mauro Coordinatore del Dottorato Prof. Francesco Starace. Le colline nord-occidentali di Napoli: l’evoluzione storica di un paesaggio urbano, Agostino Di Lorenzo Gennaio 2006. A questo link per il consulto del pdf on line.