Studi sul PRG di Napoli del 1910-1926
Il piano di Risanamento della città di Napoli datato 1910 è di fondamentale importanza primariamente perchè esso coincide con le due edizioni del piano De Simone 1914 e 1922 e per le brillanti sortire urbanistiche della Commissione Giovannoni che ad esso segue.A nulla gioverà tutto ciò nonostante gli studi abbiano in parte fondato utili premesse per il piano regolatore della città fascista di Michele Castelli e del suo successore, Pietro Baratono1.
Il PRG del 1910 fu commissionato a due diversi uffici pubblici con l'incarico di portare a termine ciò che il Risanamento dell'Ottocento ebbe lasciato ancora in stato di cantiere. Il progetto dunque porta con sé la timida valenza di un primo accenno all'espansione della città al di là del sistema naturale delle colline, non avendo un vero e proprio piano di zonizzazione, distinguendosi per tanto tutta l'operazione in bonificamento affidato all'Ufficio dell'Ispettorato ed il piano regolatore per l'espansione a nord di Napoli affidato altrimenti all'Ufficio dei Servizi Tecnici dello stesso Comune, il quale, tiene con sé il conto della spesa ed il numero esatto di popolo eventualmente in movimento in seguito agli espropri che ne seguiranno.
Non prima, si legge sul documento, e non senza individuare prima un metodo efficace per realizzare tutto, suggerito, con una legge speciale come quella del 1885. Ma le conseguenze del piano fallirono a breve ed esso stesso, a distanza di un solo anno, venne accantonato, concretizzando a stralci poca roba.
Infine non va dimenticata la ragione forse unica che spinse i tecnici ad elaborare questo detto piano di risanamento che fu: il riordino per motivi di spesa della bonifica dei quartieri bassi sul costruendo Rettifilo, l'insediamento popolare con case per residenti in periferia, da intendersi questa, il Casale di Posillipo, Miano, Mianella, Piscinola e Marianella.
Edilizia di sostituzione ed il piano De Simone.
E questa poi doveva esser maggiormente concentrata sui rioni di Fuorigrotta, Mergellina alta, Vomero, Materdei, i Miradois e l'Arenaccia2.
- Lo studio sul risanamento di Napoli condotto nel 1910 prevedeva l'apertura di strade, provvedimenti per il fabbricato malsano non soggetto a demolizione, nuove fognature, case costruite in luoghi dove un tempo esistevano i casali. Sarà soltanto con l'intervento dei tecnici chiamati a regolare il piano De Simone nella versione 1914 una possibile riqualifica del progetto inteso anche nello studio del 1910. Infatti, col piano De Simone sarà affrontato con un anticipo sorprendente le questioni della Napoli fondamentale, ovvero, i collegamenti e la zonizzazione. Una sorta di piccolo successo delle idee in cui si anticiparono linee che ricorsero fino agli anni prima della guerra nazista anche in altre città del mondo che si lasciarono alle spalle l'Ottocento. Fu per tanto delizioso in un certo senso ritrovarsi con in mano studi topografici che stravolsero l'idea della Napoli futura, in cui emergeva, lo si vedeva chiaramente, la forma nuova della città del Novecento. Furono di quegli anni le dichiarazioni dell'ingegner De Simone apparse nel piano a lui rinominato e con le quali presentava la città di Napoli come categoria di città collinare o al massimo da considerare come sviluppata in curva sul ciglio di un golfo, che la stringe tra mare e collina. Ovvero, l'unica direzione verso la quale deve e non è possibile pensare altro tipo di direzione per la viabilità del futuro. Ancora sul piano De Simone si evince la libera affermazione sullo sviluppo della Napoli dei primi del Novecento; una città descritta come impossibilitata ad adottare un modello di crescita simile a quelli che hanno ampliato e fortificato altre città d'Italia col modello detto radiale o a ventaglio. Questi è noto infatti che riescono ad offrire risultati ottimali solo in caso di città fondate su territori pianeggianti, e quindi liberi di espandersi in qualsiasi direzione, seguendo più precisamente un processo di crescita ordinato per continuità fisica e per gradi di bisogni. Ma Napoli non rispondeva affatto a questo tipo di condizione. Essa, affermava il De Simone, per necessità legate alla sua stessa topografia, deve seguire amplimenti differenti, obbligandosi da sola in una crescita frazionata in più centri, in più piccole periferie, secondo quelle che sono evidenti linee fondamentali tracciate da madre natura. Di per se stesso il piano dell'ingegner De Simone riesce a definire persino il profilo fisico dell'orografia napoletana vedendolo chiaramente pareggiare la sommità delle colline del Vomero, Camaldoli e Capodimonte per circa 120 km di perimetro che racchiude in sé il centro della città insediato dall'avvallamento del Monte Echia sul quale è continuato, che sarebbe meglio dire, è iniziato il processo di urbanizzazione della città, determinando così, quella che sarà poi chiamata città alta e città bassa, città interna e città esterna, con un punto di incontro individuato ad angolo tra via Foria e Via Toledo. La definizione di questo nuovo perimetro ideato scientificamente dal De Simone si avvalse la prerogativa di esser utile a circa tre milioni di abitanti, una cifra per quell'epoca degna di una città moderna. Verso la direzione della zona occidentale e la zona a settentrione oltre l'ostacolo di Capodimonte ed oltre la piana di Scampia Napoli non poteva che offrire lo sviluppo di una grande zona delle abitazioni; nella zona orientale, diversamente, essendo questa facilmente raggiungibile da est e dai territori vesuviani, ed anche in relazione alla vicinissima zona porto, si è avuto il maggior consolidamento della città industriale, la zona cioè indicata nel piano come la città del lavoro e della produzione. La grande Napoli dell'avvenire di quell'epoca fu quindi segnata dal nuovo perimetro lineare della costa litorale e della grande incisione delle colline; ottanta chilometri di sviluppo sulla costa tra spiagge e borghi a mare, da Capo Miseno a Castellammare di Stabia, accompagnati dal percorso interno delle colline che da Posillipo risalgono il versante occidentale per poi ridiscendere a mare all'altezza di Ponticelli, incantevolmente descritta come superiore per bellezza, città ricca più di altre in fatto di altipiani e boschi, promontori e seni marini, antichità morte sui laghi contro i centri urbani prosperi di vita, presumibilmente superiori agli scenari agresti e villerecci della provincia romana, al Long-champ di Parigi, al Richmond di Londra, al Ring di Vienna, al New Port di New York, al Jackson d i Washington ed all'Hide di Chicago.
Studio della città di Napoli e la Commissione Giovannoni.
Gustavo Giovannoni sarà il primo ingegnere napoletano a presiedere ad una commissione sullo studio della città in cui a prevalere sarà l'ipotesi di un sistema policentrico-nucleare3.
- Ovvero quell'allargamento o anche ampliamento della città su base regionale che trovò favore però solo nelle applicazioni in parte proprie del PRG del 1939 dell'ingegner Piccinato e del 1946 dell'ingegner Cosenza. Un sistema che interessava soprattutto i comuni della corona in quegli anni annessi alla città di Napoli perciò dunque divenuti da casali a veri e propri quartieri. Le condizioni in cui versava la città di Napoli all'epoca di Gustavo Giovannoni non permettevano affatto di poter pensare ad un ampliamento della città secondo modelli che usavano spostare gradualmente il centro cittadino, analogamente a quanto stava accadendo in parte a Roma e Genova, ma molto di più a Berlino e Strasburgo. E neppure incoraggiava la formazione di anelli di residenza come invece stava capitando a Vienna, Lipsia e Norimberga. La definizione a Napoli delle tipologie insediative nelle future zone di assedio urbanistico ebbe bisogno di un sistema di pensare ibrido per poter superare le difficoltà praticabili causa l'altimetria, e va aggiunto, anche la salvaguardia, la tutela e la conservazione del sistema paesistico, unico al mondo. C'è scritto sul documento che nessuno a Napoli ebbe mai pensato di fasciare di masse geometriche il pendio, violentare la bellezza di quest'incanto di mondo. Per questi posti c'è bisogno di un sistema di abitare che sia principalmente cultura, rispetto della natura, dunque, fabbricazione estensiva, a villini o a casette. L'orografia dei luoghi costringerà la commissione Giovannoni a pensare, la prima volta nella sua storia, allo sfruttamento di quella necessaria ed inevitabile interruzione di continuità urbana tipica di Napoli manifesta tra zone rade e zone intensive. Un modello di espansione territoriale per la prima volta nella storia universale della cultura urbanistica, pur se policentrico, si presenta nei fatti come un'idea che avvicina molto alla configurazione di tipo nucleare. Ciò che maggiormente colpisce alla luce di questi studi è che la Commissione Giovannoni ebbe cura fino alla fine nel processo di nuova urbanizzazione della città ampliata il sistema di viabilità razionale alle funzioni rappresentate da questo territorio aggredito principalmente dalle forze della natura, che seppur hanno teso nei secoli ad uno sviluppo tardivo, non ne hanno mai mutato le potenzialità primitive. Quindi fu la stessa Commissione Giovannoni a garantire l'identità formale dei nuovi assi di collegamento da e per la provincia, da e per il centro storico, esaltandone il frutto della sua nuova tecnologia e sottolineando quanto non siano stati stravolti i limiti fisiologici dei luoghi. La sortita fu il binomio viale panoramico e parco sottostante che sovrastasse il carattere verde e boscoso delle colline della città, con l'intenzione soltanto in parte riuscita di permettere al verde del parco di raggiungere l'abitato estensivo, ammantarlo, superarlo ed infine raggiungere l'abitato intensivo. Ed a proposito della fabbricazione edilizia di tipo intensiva fu prevista per questa un massimo di 4 piani in altezza per non deturpare la linea di lontananza quasi sempre occupata dalla possente mole del sistema Somma Vesuvio e le quello specchio d'acqua che è per l'appunto, il golfo di Napoli. Il limite fisico dei 4 piani in altezza fu esteso anche per tutte le altre soluzioni architettoniche disseminate sul territorio, alle quali, fu riservato l'analogo destino di nuovo polo urbano per la grandissima Napoli.
Spazio note
(1) Liberamente estratto da: FACOLTA’ DI ARCHITETTURA DIPARTIMENTO DI STORIA DELL’ARCHITETTURA E RESTAURO Dottorato di Ricerca in Storia dell’architettura e della città XVII Ciclo Le colline nord-occidentali di Napoli: l’evoluzione storica di un paesaggio urbano. Tutor Agostino Di Lorenzo Prof. Leonardo Di Mauro Coordinatore del Dottorato Prof. Francesco Starace. Le colline nord-occidentali di Napoli: l’evoluzione storica di un paesaggio urbano, Agostino Di Lorenzo Gennaio 2006. A questo link per il consulto del pdf on line. Per il piano del 1910 vesdasi: nota numero 62 del pdf. Si riporta contestualmente. Redazione: Ufficio pei servizi tecnici del Comune e Ispettorato per le opere del risanamento. Firmano la relazione gli ingegneri Carlo Martinez, Pietro Pulli, Luca Di Castri, Eduardo Puoti. Cfr., Municipio di Napoli, Nuovo piano di risanamento e ampliamento della città. Anno 1910. Relazione, Napoli 1911; G. Russo, Il Risanamento e l'ampliamento della città di Napoli, Napoli 1960; C. Cocchia, L'edilizia a Napoli dal 1918 al 1958, Napoli 1961. Per una disamine completa sui piani regolatori cfr. P. Belfiore, B. Gravagnuolo, Napoli. Architettura e urbanistica del Novecento, Napoli 1994.(2)Redazione: Francesco De Simone (non adottato). Alla prima edizione il Collegio degli ingegneri e architetti di Napoli aggiunge quattro relazioni particolari (Edilizia e igiene urbana; Estetica urbana, antichità e paesaggio; Industria, commercio e traffici; Politica urbana, provvedimenti finanziari e amministrativi per l'attuazione del piano). Cfr., F. De Simone, Piano regolatore della città di Napoli, Napoli 1922; R. De Fusco, Architettura e urbanistica dalla seconda metà dell'Ottocento ad oggi, in Storia di Napoli, vol. X, Napoli 1971; C. De Seta, Napoli, Roma-Bari 1981.
(3) Nota numero 66 del pdf. Comune di Napoli, Relazione della Commissione per lo studio del Piano Regolatore della città, Napoli 1927. Fecero parte della della Commissione: Gustavo Giovannoni (Presidente e relatore), Gino Chierici, Silvestro Dragotti, Riccardo Fiore, Felice Ippolito, Raffaele Pergolesi, Giuseppe Tortora.
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