Settore di Miano del Bosco di Capodimonte
E' una zona del bosco di Capodimonte ben definita a partire dal vecchio cisternone ammantato di verde quasi nascosto sul finto colle della Regina ricavato dal dosso della Fagianeria, oltre il quale è profilato il muro di cinta che lo separa da via Miano.Grazie ad un accurato sistema di vialetti tracciati a terra la zona interna al bosco si estende da questo capo fino al settore occupato dal ponte dell'Eremo percorrendo una morfologia compositiva verde e mediterranea.
Piuttosto imbrunita dalla presenza abbondante di Lecci, questo settore del parco riesce bene nell'intenzione di sfumare e lasciare spazio all'idea di un bosco intricato, anche remoto se non fosse stato nei tempi dell'Ottocento savoiardo alimentato di vita e di significato dalla tracciatura al suo interno del viale dritto noto come Stradone Catena di San Gennaro parallelo ad un altro viale che, anche questo, tangente il Viale di Mezzo, conduce, attraversando da parte a parte il quadrante dell'Eremo dei Cappuccini, a Porta Bellaria.
Stradone Catena di San Gennaro all'interno del Bosco di Capodimonte.
Questa parte del bosco, stretta tra il Vallone San Gennaro e lo Stradone dell'Eremo fu riorganizzata secondo il gusto all'inglese non prima del 1840.
- Essa è tipologicamente imporante poiché, con un semplice viale tracciato a terra si stabilisce di fatto due diversi mondi e due diversi modi di concepire lo spazio del verde; ed ovvero: il giardino paesaggistico all'inglese e l'impronta di gusto rococò francese. La sistemazione mantenuta tale e quale pressocchè da allora fu possibile portarla a compimento in quanto quest'area del parco già allora si presentava meno condizionata dalle precedenti sistemazioni optate per tutto quanto il complesso boschivo secondo il gusto settecentesco. Fu proprio il Dehnhardt ad operare in via di sviluppo un intervento che lasciasse possibilità alla macchia di diradarsi ed impiantare ed acclimatare da queste parti sempre nuove specie floristiche oltre ovviamente a renderla praticabile dall'apertura di nuovi vialetti. Ne fu corretto l'andamento di quelli preesistenti come ad esempio il rettilineo noto come lo Stradone dell'Eremo che da porta di Mezzo correva in direzione dello spazio proprio del monastero cappuccino. Su questo stesso percorso oggi si riconoscono uno splendido esemplare assai raro di ”Spaccasassi”, (Celtis Australis L.); altri due esemplari di Castagno, probabilmente gli ultimi dell'areale ed un Ippocastano, con grandi foglie palmate ed infiorescenze piramidali perlacee svernanti a primavera. Lungo questo stradone il paesaggio comunque si modifica all'altezza dello Stradone dell'Eremo laddove la spalliera dei Lecci racchiude dietro di sé l'ombra della macchia settecentesca, mentre antistante ad essa si apre una radura solare di ampio respiro, una sorta di piazzale che allarga la visuale fino alle cime più alte dei Pini e degli Abeti che la chiudono sull'altro versante, sul principiare del Vallone detto di San Gennaro. Va aggiunto che questa zona attraversata da parte a parte dallo Stradone Catena, un tempo fu adibita per ampliare lo spazio disponibile per la fagianeria, motivo per cui spesso è intercettato col toponimo, Fagianeria di San Gennaro.
Area nord casino della Regina.
Si tratta di quella zona del bosco di Capodimonte che nell'epoca dei Savoia prese il nome di Civo della Regina o anche il Cibo della Regina.
- Così detta perchè in quest'area del parco si era soliti dar del cibo ai fagiani in un momento in cui le bestiole venivano lasciate libere dai legacci e talvolta alle suggestioni della scena boschiva caratterizzata dai pennuti in libertà vi sia aggiungeva anche la presenza di sua maestà la Regina. È questo il settore del bosco che ha subito profonde mutazioni orografiche ed una maggior incisione è stata operata sulla assetto compositivo della vegetazione in seguito ad un intervento drastico iniziato e perdurato in epoca moderna in diversi tempi a partire dalla fine del regno dei Borbone; agli inizi dell'era liberale dell'Italia unita e fino ai primi anni Dieci del Novecento vi fu mostrato grande interesse per questa zona di verde boschivo da parte dei botanici, salvo poi lasciare tutto in un totale stato di abbandono all'indomani della Grande Guerra e dell'epoca fascista napoletana. Vi fu poi apice di degrado materico delle specie floristiche e l'allontanamento momentaneo delle specie faunistiche durante gli anni dell'occupazione di parte della Delizia Reale del Parco della Reggia da parte dei profughi istriani. Dal 1950 ad oggi vi è invece stata apportato un complesso restauro ponendo finalmente fine al degrado ed agli usi impropri oltre che non autorizzati che ne avevano decisamente mortificata la bellezza. Infatti in seguito all'intervento tutto il settore ha recuperato in parte l'aspetto che gli è stato conferito durante nell'iniziale bonifica del Dehnradt nel 1836. fu infatti di quell'epoca non solo la trasformazione totale della struttura formale del parco, ma furono rese praticabili moltissime altre zone che a questa confinano direttamente come i primi accenni di dirupo contro il vicinissimo vallone di San Rocco ed il vallone dei Cervi disegnando prospettivi inusuali per questo territorio per buona parte brullo ed agreste, al quale, vi si aggiunse la funzione di zona da diporto più che da caccia, un ambiente di sosta con tutti i benefici che arreca in sé il paesaggio e la totale assenza di attività venatorie ne hanno connotato maggior rigore. Prima della totale trasformazione in questo settore si potevano ammirare specie esotiche di rarissima bellezza, uniche in Europa; a parte l'Acacia che è rimasta sul posto, vi erano impiantate la Melaleuca, l'Eucalipto, il Falso Pepe, la Sofora e la Casuarina. Accanto a queste coesistettero per lungo tempo altre specie indigene, come il Carrubo ed il Pino Domestico senza dimenticare la veste ornamentale data ai gruppi di fiori sistemati attorno agli edifici, come le Ortensie, le Camelie, le Rose.
Ponte all'eremo.
Attualmente nelle zone boschive di Capodimonte vivono acclimatati rari esempi di piante esotiche molte delle quali oggi nascondono la struttura verticale di un ponte del Settecento.
- Nei pressi del limite fisico del civo della Regina su di una collina ancora si erge una ramificata Magonolia, qualche Pino Domestico e specie autoctone come un Olmo, un Acero di Monte, un Ailanto ed una Robinia. Quindi al di là delle frondose chiome si staglia nel vuoto sotto si sé questa vecchia struttura verticale, un ponte alto 20 metri che inizia al termine di un viale sterrato, anche questo praticamente semi nascosto all'ombra di una serie di Lecci secolari, le cui origini debbono intendersi sul fianco del Muro dell'Eremo. Questo ponte scavalca il Vallone di San Gennaro nel punto esatto in cui questo inizia a confinare col Vallone di Miano e da ambo i lati della carreggiata ancora praticabile sono stati posti da circa due secoli due rarissimi esemplari di Pino Nero. Da questa struttura è possibile osservare da lontano lo spuntare dal folto del bosco la chiesa di Santa Maria degli Angeli al Cavone di Miano. Oggi rispetto ai secoli precedenti abbiamo più possibilità grazie all'uso combinato di mappe antiche e moderne di ottenere una rappresentazione della città di Napoli fedelissima al vero. Ed ancora grazie all'analisi comparata delle mappe elettroniche con i rilievi storici disegnati da italiani e stranieri amanti di Napoli è possibile ricostruire la testimonianza bellissima tra l'altro di un movimento d'opposizione che regnò per un certo periodo in tutta la regione e pressocchè in tutta l'Italia del Meridione contro l'immagine divulgata della città di Napoli vista solo ed esclusivamente dal mare. Questo appena accennato è un commento alquanto suggestivo e ancor di più tende a diventarlo in quanto esso è supportato e diffuso dalla raccolta delle considerazioni fatte da un gruppo di studiosi architetti del 1973, stampati a libro dal professor Italo Ferraro, col titolo Architettura, Scuola, Città. Scritti del 1973-1983. Questo movimento di cui si è appena fatto cenno, testimoniò l'esistenza di un'idea della città di Napoli resa visibile dalle incisioni a schizzo dei viaggiatori anglosassoni ed olandesi, ed in generale dai praticanti lo Schectkbook, ma anche dagli incisori di carte topografiche riuscite col più classico dei metodi di incidere vedute della città dette a volo d'uccello. Questo modo di diffondere la città continua il ricercatore non è un modo di diffondere qualcosa di fantastico nel senso di irreale, no! Essa è un'immagine della città nata dalla città degli uomini e più in particolare dalla maggioranza degli uomini che l'hanno abitata e che ancora l'abitano, desiderandola per l'appunto a loro immagine. Ed in questo senso quel movimento è d'opposizione. Questo tipo di sentimento, un elemento affermato come cultura del territorio e delle colline, è nel cuore dei napoletani dell'800 molto più che nel cuore dei napoletani di epoche più antiche. Un'intenzione questa volta ad esprimere la vocazione della città ad esser ciò che gli uomini hanno idea che essa potesse essere. Fino a quando regnavano i Borbone, Napoli era ciò che i napoletani desideravano che essa fosse e per alternate vicende storiche quest'idea di città era nel cuore degli uomini e nelle pietre; una sorta di incantesimo spezzato al sopraggiungere dell'era borghese e di Napoli non più elevata a dignità di Capitale di un Regno ormai non più esistente.
Spazio note
(1) Liberamente estratto da: Delpinoa. n.s. 33-34:143-177. 1991-1992 La flora del Parco di Capodimonte di Napoli. documento in PDF rintracciato sulla rete. Di VINCENZO LA VALVA *, CARMINE GUARINO ", ANTONINO DE NATALE ***, VALERIA CUOZZO ***, BRUNO MENALE ". Dipartimento di Biologia, Difesa c Biotecnologie Agro-Forestali. Università della Basilicata, Via N. Sauro, 85 - 85100 Potenza. ** Orto botanico, Facoltà di Scienze, Università degli Studi di Napoli "Federico Il". via Foria, 223 - 80139 Napoli. n* Dipartimento di Biologia Vegetale, Università degli Studi di Napoli "Federico Il", via Foria. 223 - 80139 Napoli. Abstract In this paper is carried on a floristic study of Capodimonte Park. During this work the authors pickcd up and obscrved 399 entitics. Atout 14% of studicd entitis was exotic species introduced iato the park between the late I and early 18'" century. The Capodimonte Park flora has a feable Mediterranean character. Thc relatively clevatcd frequency of Eurasiatic and Widc-distribution species is explalned by the artificiality of piace. Altro contributo da Italo Ferraro, Architettura, Scuola, Città. Scritti 1973-1983 Clean Edizioni Napoli 1984 BNN Distribuzione A9878. Brevi accenni all'area in esame nel secondo e terzo capoverso alle pagine 108 e 109.(2) Storia del Bosco di Capodimonte estratto da un documento a pagina 29 col titolo di Il Real Bosco di Capodimonte Guido Gullo e Attività culturali e iniziative per il Real Bosco di Capodimonte di Patrizia Nicoletti pagina 36 in Il Governo dei Giardini e dei Parchi Storici. Restauro, manutenzione, gestione. Atti del VI convegno internazionale 20-23 settembre del 2000 e raccolti a libro a cura di Francesco Canestrini, Francesca Furia e Maria Rosaria Iacono, per la Edizioni Scientifiche Italiane. BNN distribuzione 2002 C12. L'introduzione è di Ugo Carughi.
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