Il Bronx di San Giovanni a Teduccio

Taverna del Ferro a Napoli1 è un quartiere di edilizia pubblica composta da due grandi edifici a blocco ravvicinati tra loro e collocati alle spalle della Chiesa di San Giovanni il Battista alla fine del Corso principale del quartier San Giovanni a Teduccio.

In zona è popolarmente noto col toponimo di Bronx dato per le caratteristiche sociali che hanno da sempre afflitto la popolazione residente.


Il Murale di Jorit Agosh ritraente, Maradona.

La parete liscia senza bucature del fianco nord della palazzina sud, è stata scelta dal programma di rilancio della nuova estetica del patrimonio residenziale del 2017 ideato dalla VI Municipalità Ponticelli - Barra - San Giovanni a Teduccio, come supporto fisso per l'opera d'arte realizzata dallo street artist, Jorit Agosh, autore medesimo del San Gennaro di Forcella.


L'opera è stata eseguita per sostenere la rinascita popolare delle aree compromesse dal disagio sociale semplicemente riutilizzando le parti strutturali del suo patrimonio immobiliare, come accaduto anche per le palazzine del Parco Merola di Ponticelli. Le conclusioni sono ben note: all'architettura è stata applicata una misura non convenzionale destinando ad una diversa funzione di facciata il fianco dell'edificio. Per tanto è visibile il volto dell'ex ct della nazionale di calcio Argentina, Diego Armando Maradona, scelta, si è letto un po' ovunque, non casuale nè immotivata, un richiamo invece al genio e alla sregolatezza del personaggio tra i più noti nel mondo del calcio, l'uomo che ha vissuto l'apice del suo enorme successo negli anni Ottanta del Novecento quando militava nel Napoli, vivendo a Napoli anche parte della sua vita privata composta essenzialmente non di solo talento. Si è concordato che l'evento abbia finalità pedagogica e che sia quanto più coerente col posto dove va a nascere e vivere ed augurarsi per questo una lunga e duratura stretta di relazioni tra le istituzioni, le associazioni di quartiere e la parte sana della popolazione residente.

Il ritratto d'autore è venuto alla luce nella sua pienezza solo verso i primi di marzo del 2017. Sulla parete nord affianca il secondo dei due murales il volto di un bambino.
L'opera è enorme, copre per intero la superficie occupata, alta 26 metri larga 4 visibile dal fondo del parco pubblico residenziale di San Giovanni a Teduccio; il volto della persona ritratta, restituisce le sembianze di un uomo oltre i 50 anni, immancabili gli orecchini ed alcuni segni sul volto ne determinano uno stato di inquietudine.

La persona medesima ritratta nell'opera, Diego Armando Maradona, oltre ai dovuti ringraziamenti lasciati sulla piattaforma Facebook all'artista che si è impegnato per realizzare l'opera, ha aggiunto a suo commento, che i segni che solcano il volto ritratto nel dipinto, assai visibili ed inequivocabili, indicherebbero il suo stato di appartenenza ad una tribù

In vero, la ricerca universitaria aveva già da tempo evidenziato questo aspetto particolare del popolo napoletano, considerato da Pier Paolo Pasolini, la tribù che cammina nel ventre della città rifiutandone di essa la storia e la sua modernità1bis e non è quindi escluso possa essersi trattato di un tentativo delle agenzie di comunicazioni di arricchire di ulteriore significato culturale il progetto Agosh. Ai piedi dell'opera la didascalia che recita: "Dios Umano", conclude l'affaccio che univoco ne accompagna il messaggio; infatti, è universalmente accettato che Diego Armando Maradona sia stato, nell'ambito del calcio, "el dios"


Il parco residenziale e le case popolari di San Giovanni a Teduccio compongono l'offerta di alloggi residenziali attiva nel 1993 e più specificamente da un progetto pilota redatto dieci anni prima da un'apposita commissione sorta in conseguenza delle drammatiche condizioni di vita dei residenti del centro storico della città di Napoli interessati allo sfollamento e all'assegnazione di nuovi alloggi in quella che fu la storica operazione conosciuta come Piano per le Periferie di Napoli del post terremoto 23 novembre 1980.

Si tratta quindi di un intervento a carattere emergenziale rientrato nel Piano Straordinario post terremoto del 1980, una sorta di macro quartiere autonomo, reso autosufficiente come è accaduto per il Rozzol Melara a Trieste.

Fu progettato da Pietro Barucci2 autore medesimo delle case popolari di Pazzigno, e consegnato in vero alla cittadinanza già nel 1975 all'indomani degli interventi già collaudati dal medesimo autore sulla Laurentina e a Tor Bella Monaca a Roma, della quale, il progetto Taverna del Ferro a Napoli porta di Tor Bella Monaca il carico delle nuove aspettative sul tema alloggio pubblico, mentre del progetto Laurentino ne copia l'efficacia dei ponti sospesi, ed invece, le lunghe stecche residenziali addossate ne fanno un prodotto da avvicinare alla complessa visione architettonica delle Vele di Scampia a Secondigliano.


Taverna del Ferro è il nome ufficiale delle case popolari di San Giovanni a Teduccio.

Prima del sistema edilizio attualmente esistente in questa zona di Napoli non vi era nulla se non un estesa area di terra incolta, sine podestà.

  •  Terra questa che del tratto orientale della città ne rappresentava solo l'ultimo lembo di una zona palustre, che, dalle falde del territorio vesuviano dolcemente orientava in pendio verso il mare.  Della primitiva estensione rurale oggi sopravvive un parco attrezzato per lo svago, il tempo libero per i residenti ed i bambini, mentre i mastodontici edifici dialogano con l'edilizia di fondazione antica di San Giovanni a Teduccio. Il quartiere composto prevalentemente da due soli edifici ed è attraversabile dall'omonima strada carraia, mentre l'unica piastra posta al centro dei due edifici è invece pedonale e non altrimenti. Tutto quanto il quartiere è complessivamente concepito secondo i modelli di edilizia alta col vuoto tra le stecche residenziali e l'edilizia bassa espressa a maggior ragione sul fronte del parco. E tra questa e quella una piastra centrale sopraelevata collega le due tipologie edilizie, ma al tempo stesso fa anche da copertura ai garage sottostanti e fa piano rialzato ai vicinissimi giardini pensili studiati per ricevere i residenti. Nel frattempo che il progetto crescesse, però, le terribili condizioni di malaffare napoletano ne hanno determinato una diversa fattispecie; quelli che furono spazi dedicati ai garage infatti alla fine son stati chiusi da provvedimenti di ordine pubblico in quanto utilizzati per nascondere le auto rubate. Curiosità è che negli spazi dei garages oggi affondano le radici di alcuni alberi piantati all'origine del progetto e che restano pertanto gli unici elementi che abbiano una reale funzione organica. Al pian terreno degli edifici vi sono spazi anche questi chiusi ed in parte dismessi ma che furono pensati per diventare negozi, e che oggi in alternativa all'uso sono altrimenti diventati box auto, trasformati in questo stato proprio dagli aventi diritto. I due edifici alti distanti tra loro dieci metri son tra loro collegati da ponti sospesi che in serie corrono lungo la piastra rialzata, mentre il collegamento sul fronte dell'entroterra rappresentato dal parco è garantito da un ponte su di una delle strade carrabili laterali. Anche questi stessi ponti di attraversamento sono oggi quasi tutti chiusi per ordine prefettizio poiché la Camorra li usava come punti di vedetta, avendo trasformato l'ultimo piano degli edifici in un'autentica piazza di spaccio di stupefacenti. L'idea dei ponti fu quella di creare punti di contatto attraverso le differenti quote, di modo che si possa in effetti replicare in altezza un percorso pedonale di attraversamento evitato a terra, creando così in alto un'idea di continuità di attraversamento totale del quartiere. Vi furono costruiti ai lati dei casermoni anche due edifici a destinazione integrata per realizzare un centro per anziani, una scuola ed un ufficio postale, tutti regolarmente oggi non funzionanti ed uno sporadico nucleo di case costruite abusive circonda in più punti il centro di vita sociale del quartiere.

I casermoni sono grandi perchè dovevano esser visti anche da lontano, specie dal mare.

La richiesta di massimizzare l'altezza degli edifici, fu avanzata dalla commissione perchè si sortisse l'ideale punto di riferimento del grande intervento di espansione nello zona orientale della città.

  • E fu per questo motivo che venne costruito un edificio di grandi dimensioni simili a quello già posto in opera a Pazzigno. I due casermoni sono realizzati secondo la modulistica semiprefabbricato a tunnel pesanti e due stecche offrono prospetti sui lati esteriori ritmati da un susseguirsi di logge e finestrature rispettose di un piano geometrico predefinito. All'interno invece la grande galleria offre la visione di un ambiente occupato essenzialmente da grandi ballatoi continui in versione simplex fino a quinto livello ed in versione duplex per i quattro livelli successivi. Ed è proprio il ballatoio che resta punto di riferimento per gli appartamenti, ai quali i ballatoi conducono; gli appartamenti furono realizzati sia per uso minimo di due persone sia per un uso massimo di sei ed ancora in prossimità del ballatoio si trovano tutti i servizi dal cucinino, molto stretto agli ultimi piani fino anche all'uso bagno doppio su doppio livello in un unico appartamento dal primo all'ultimo piano, senza areazione naturale e senza illuminazione diretta dall'esterno. L'affaccio di tutti gli appartamento è goduto verso l'esterno dei casermoni, mentre per l'interno l'affaccio è possibile solo dai ballatoi.

L'edilizia bassa di Taverna del Ferro.

Ed ovvero, la lunga stecca di quattro piani, composta da alloggi che danno direttamente su un giardino ormai non più tale.

  • La discesa al giardino sul progetto venne garantita da ponti altrettanto sospesi in quanto, il massiccio corpo di fabbrica è distaccato dal giardino per permettere areazione e illuminazione diretta degli ambienti sottostanti destinati inizialmente a garage. La stecca con una facciata più ritmata e tenue nella tinta, affianca i casermoni ed è caratterizzata da una somma di blocchi interrotti in serie dai vani scala, tutti esterni, tutti scoperti con una sorta di piccola cupola all'apice dei due blocchi. Gli appartamenti al suo interno son tutti versione simplex con servizi localizzati sempre in fascia centrale. Per questi ambienti le zone giorno attestano verso il fronte degli edifici alti e viceversa la zona notte apre invece sul giardino sottostante. La stecca presenta il prospetto sulla strada scandito all'ultimo piano da grandi logge a forma di arco a tutto sesto, un motivo di attacco al cielo della costruzione fissata a terra.

Il progetto Taverna del Ferro è finito descritto in un caso di studio di riqualificazione architettonica.

La storia di questo quartiere e la sua morfologia urbana sono stati presi come punti cardine per scegliere e quindi determinare un nuovo disegno abitativo.

  • Il proposito di ridisegnare il Bisteccone, così fu definito Taverna del Ferro dagli amici architetti del suo costruttore una volta realizzato e consegnato alla pubblica fruizione, sta nella restituzione alla zona di un'identità nuova, in quanto, è necessario portare a conoscenza che proprio questo quartiere fu l'esempio di quella volontà politica e nazionale di imporre un modello di abitazione per i futuri residenti. I due enormi edifici accosti l'uno all'altro e la loro compattezza è un fatto evidente chiudono il rapporto col preesistente, a differenza del progetto di Pazzigno, dove invece gli edifici moderni son finiti congestionati nel preesistente. Taverna del Ferro avrebbe potuto e avrebbe dovuto contare su due fattori di enorme vantaggio per quell'epoca: l'autosufficienza espressa nell'enormità dei servizi presenti e la facilità di accesso ed uscita dal complesso, attraverso un numero sufficiente di varchi ma anche dalla viabilità alta resa possibile dal complessivo numero dei ponti sospesi e dai percorsi pedonali o carrabili garantiti a terra come ai vari livelli. La densità abitativa e le tecniche usate per costruire con tutte le relative problematiche sorte proprio nella distribuzione interna degli spazi, sono tutti elementi che hanno comunque costituito un'esistenza difficile anche ad altri casi analoghi, primo tra tutti, le Vele di Scampia a Secondigliano. Le tecniche di realizzazione del pezzo di Taverna del Ferro, che stanno in gran parte nella semiprefabbricazione a tunnel e l'aggiunta dei tamponamenti con pannelli prefabbricati in gesso non debbono esser trascurati nelle indagini sul fallimento del quartiere abitativo, né debbono esser messi da parte per un'eventuale analisi socio comparativa da applicare in altri casi di studio per il miglioramento. Poiché è un dato di fatto che le stesse tecniche di costruzione hanno determinato un gran numero di volte in cui si è intervenuti in maniera anche puntuale sul complesso data anche la sua estrema rigidezza e la sua forte resistenza.


Distribuzione degli spazi di Taverna del Ferro a Napoli

 A) Superficie territoriale   76.000 ettari
 BSuperficie residenziale   65.000 m2
 CSuperficie servizi pubblici     9.000 m2
 DSuperficie commerciale     5.000 m2
 E) Superficie verde   40.000 m2
 F) Popolazione insediata   28.000 unità

 

Spazio note

(1) Contributi estratti dal dottorato di ricerca: La Grande Dimensione nell'edilizia pubblica. Demolire o riqualificare? Università degli Studi di Napoli Federico II Facoltà di Architettura Scuole di dottorato in Progettazione architettonica e ambientale. Sezione Architettonica. XXV Ciclo Coordinattore di dottorato, professoressa Piemontese; Coordintaore di Sezione, professor Cuomo; tutor, Stenti; dottorando: Nello Luca Magliulo.
(1bis) Vai alla nota che interessa questo argomento.
(2) In un'intervista rilasciata dal suo autore ad un dottorando della facoltà di Architettura, Federico II Napoli, Pietro Barucci a colui il quale gli chiedeva di esporre un quadro generale della situazione territoriale ereditata per fabbricarci quella poi sarà Taverna del Ferro, l'architetto replicherà secco: ”Ho fatto i primi passi in questo lavoro a Napoli, dove sono rimasto per dodici anni, in un ambiente difficile. Il primo anno ho lavorato con la pistola alla tempia! Perché la situazione esigeva risultati concreti da spendere in ambito politico. Per cui quella si è una mia opera, realizzata con Vittorio De Feo, eminente architetto, mio amico da sempre, ma è figlia dei tempi; ossia le occorreva un gesto forte … ed è uscita quella “cosa” li!”. L'architetto non senza le dovute suggestioni dei suoi anni ricorda con nostalgia quanta energia fu investita in un progetto che sperava avesse potuto avere un enorme successo. Taverna del Ferro, continua il professor Barucci nell'intervista, avrebbe potuto avere il suo giusto percorso se solo le cose non fossero andate come sono andate. Dice che la galleria centrale tra i due mastodontici edifici avrebbe dovuto replicare letteralmente il vicolo napoletano, ci tenendo a precisare che per vicolo napoletano intende ” … un modo di abitare esistente”; ci sarebbe dovuta esser una pizzeria, un ristorante, la scuola, l'ufficio postale, la farmacia, ma alla fine non è sorto un bel niente. Si conoscevano i nomi e cognomi degli assegnatari dei negozi aventi diritto che avrebbero dovuto solo tirar su le serrande il giorno dopo l'inaugurazione. E invece, niente! Non è successo niente! Alla domanda come mai è fallito il progetto, in due parole l'architetto riassume il concetto che egli dice di aver fatto proprio in anni e anni di esperienza nell'edilizia pubblica; ciò che conta, dice, per determinare il successo o l'insuccesso di un prodotto dell'architettura abitativa di tipo pubblico ed assistenziale, è la qualità dell'utenza assegnataria in armonia ovviamente con la qualità della gestione dei fabbricati.