San Gregorio Armeno nel Settecento

Il complesso monastico di San Gregorio Armeno a Spaccanapoli1 durante tutto il Settecento fu al centro dell'attenzione per i soliti problemi noti alla chiesa locale, ed ovvero l'esuberante numero delle monache rispetto alle effettive capacità di carico del monastero.

Tra l'altro la vera e propria piaga non fu mai il numero eccessivo delle suore residenti, quanto l'enormità delle false vocazioni arruolate nel vivaio di San Gregorio.

Fu solo e soltanto in forza di queste condizioni che fu di questo secolo l'istituzione del collegio delle educande e la costruzione del coro d'inverno.

E sempre al Settecento deve riferirsi la riorganizzazione controriformistica ispirata alla saldezza delle prescrizioni del Concilio di Treno, dal quale si recuperarono e si offrirono nuovi modelli di vita claustrale dissociati completamente da quelli appartenuti ai secoli passati.

Fu per tanto abbandonato definitivamente l'immagine della santa visionaria del Quattrocento che viveva nei chiostri dei monasteri, o la santa profetica del Cinquecento tanto appassionata e quella estatica del Seicento per realizzare altrimenti l'immagine di una monaca del Settecento propriamente ascetica, con una lenta e progressiva presa di distanza dai valori terreni.


Il Settecento di San Gregorio fu l'epoca per i nuovi modelli di santi.

D'altra parte, fa notare il professor Autiero da un lavoro dei ricercatori Barone, Caffiero e Scorza, bisognerà sempre vedere quanto davvero abbiano inciso i vecchi modelli di santità sulle identità personali della monache ammesse al monastero.

  • Ed altrettanto non è mai stata conosciuta la dimensione effettiva dell'estensione dei nuovi modelli di santità del Settecento dal momento che mai fu noto fino a che punto le monache avessero soffocato il proprio sé ai dettami della chiesa anche durante quello stesso secolo2. Ma alla fine l'ottima qualità di vita sperata all'interno dei monasteri non valse come obiettivo raggiunto solo grazie alla diffusione ed imposizione di nuovi modelli di vita, in quanto proprio la corposa ed inattaccabile normativa delle doti delle monache e le relative quote annue che assieme a loro si accompagnavano rappresentarono elementi ostativi contingenti. Non deve affatto stupire ad esempio la pronunciazione da parte degli Eletti della Città di Napoli del 26 aprile del 1742, i quali, rivolgendosi a re Carlo di Borbone, disperavano di un aiuto concreto da parte del sovrano contro lo strapotere rappresentato dai monasteri verso i quali, proprio a quell'epoca e grazie al circuito della dote monacale confluivano enormi capitali3. Il 30 luglio di quello stesso anno, di quello stesso secolo un decreto del cardinal Spinelli funse più o meno da spartiacque. Si trattò dell'esecuzione di una circolare emessa dal collegio episcopale degli eminenti Regolari col quale, i vescovi della diocesi napoletana vietavano per i monasteri le spese considerate superflue, con l'obbligo invece dell'annotazione delle entrate e delle uscite su appositi registri da sottoporre a consulto ogni volta che gliene sarebbe stato chiesto. Questo accorgimento serviva ad applicare un altro rigido controllo ai movimenti del danaro4.

La vita del Monastero di San Gregorio nel Settecento.

Sforzi enormi furono praticati a quell'epoca per rendere questo stabilimento in un luogo protetto ed isolato dal mondo esterno.

  • Qualche tempo prima delle stagioni delle grandi riforme, San Gregorio Armeno è vero risultò esser inadeguato alla clausura propriamente detta. Vuoi per la protezione dei muri non sufficientemente alti, o le finestre alle quali si fece mancare l'uso schermante dell'alabastro, i belvederi troppo visibili da una città verso la quale però erano anche troppo esposti. Furono per questo motivo e certamente solo laddove possibile inglobate le case vicino al monastero in un lento assorbimento dimensionale che sortisse la stretta edilizia su tutta la cosiddetta Regio Nilensis. Furono alzati i muri, schermate le finestre, ed il cardinal Innico Caracciolo, l'avviatore dei mutamenti stilistici della cattedrale dell'Assunta, fece visita al monastero il 3 luglio del 1679 giorno, mese ed anno in cui fu celebrato il nuovo altare maggiore della chiesa. Il porporato ebbe quindi modo di sincerarsi personalmente sullo stato di avanzamento del cantiere in corso su San Gregorio, continuando ad insistere soprattutto sull'altezza delle mura di San Gregorio, pur se tuttavia bisognerà attendere giusto altri cento anni prima di vedersi costruire il coro da utilizzarsi durante la preghiera di notte; e fu quindi costruito in chiesa direttamente tra il tetto ed il coro grande, organizzato in quest'angolo per evitare il passaggio di notte delle monache al buio, al freddo, alle curiosità del mondo e per questo fu subito denominato il coro d'inverno.

Il coro d'Inverno.

Il coro d'inverno fu così chiamato per ospitare le monache durante le ore di preghiera nei lunghi inverni di San Gregorio.

  • E di non permettere a queste ultime di spostarsi troppo dalle loro celle nel dover raggiungere l'ambiente di preghiera. È importantissima questa discussione sul coro d'inverno poiché è il motivo principale per cui gli studiosi e ricercatori delle cose di San Gregorio riescono a riportare in luce un documento antichissimo custodito presso l'Archivio Storico della Diocesi di Napoli, col titolo, Liber Visitationum Innico Caracciolo, (III, foglio 228-229), ed ovvero la memoria storica circa la visita compiuta presso codesto monastero da Innico Caracciolo, cardinal di Napoli il 3 luglio del 1679. Il documento racconta di alcuni suggerimenti di natura strutturale da apportare al luogo di San Gregorio se si avesse voluto ottenere un ambiente austero, di preghiera e riparato dalle tentazioni del mondo. Dice il documento che il Cardinale suggerì di buttar giù una vecchia gelosia dalla parete che guarda verso San Martino e lì in quel luogo costruirvi un muro con nuove gelosie, stessa cosa anche per la parete che guarda al Banco di Pietà e quella che guarda alla direzione del Vesuvio e del Golfo. Il Cardinal Innico, appunta il testo, trovò molto comodo il belvedere delle monache, ed anco la sagrestia salvo che aver però trovato molto scomodo per le suore dover migrare dalle loro celle al coro vecchio attraverso i corridoi all'aperto, poco illuminati e molto umidi, motivo fu detto per cui molte monache ad esempio disertavano la compieta e le altre preghiere da doversi dire durante le ore della notte. Ma è ovvio il documento sortisce un fittizio letterario per giustificare altrimenti l'ingiustificabile, e cioè, che le monache disertassero il coro della preghiera per tutt'altri motivi, spesso legati alle agiatezze di una vita non da monaca. Altra cosa fu invece la visita del cardinal Sersale, 1772, tanto scandalizzato che dovette suo malgrado condannare apertamente la profusione di ricchezze ostentate sia durante i riti propri della settimana santa sia durante le celebrazioni delle vestizioni; la situazione, nonostante l'ingegno ogni volta adottato per tirare un freno non cambiava punto. Fu alla stessa maniera notata dall'arcivescovo Filangieri nel 1779 e dal suo successore, Capece Zurlo, nel 1783 e anche questi ultimi come i predecessori tornarono agli antichi moniti rivolti alle monache contenenti espressioni di una volontà ecclesiastica più volte pronunciata. Le richieste furono mediamente sempre le stesse, il ritorno alla preghiera presso il coro, la partecipazione assidua agli uffici di culto, alla contemplazione, alla meditazione spirituale ogni giorno, tutti i giorni, sempre. Ma anche alla modestia del proprio sé, del proprio vestire, ed al rispetto del silenzio, suggerimenti sulla vita da adottare in forza delle prescrizioni del Concilio di Treno a distanza da questo ormai di quasi duecento anni. Ed infine non mancarono ancora una volta le esortazioni a riparare i fori nelle pareti del monastero, vere e proprie brecce nel muro per poter far si che estranei entrassero e monache uscissero, poiché, è vero, si, la clausura c'era, ma il monastero non era affatto impenetrabile5.


Spazio note

 (1) San Gregorio Armeno: storia religiosa di uno dei più antichi monasteri napoletani di Felice Autieri in: FONDAZIONE VALERIO PER LA STORIA DELLE DONNE SAN GREGORIO ARMENO Storia, architettura, arte e tradizioni a cura di Nicola Spinosa, Aldo Pinto e Adriana Valerio fotografie di Luciano Pedicini Fridericiana Editrice Universitaria edizione italiana Maggio 2013 Stampato in Italia da Liguori Editore – Napoli Fotografie di Luciano Pedicini/Archivio dell’Arte, assistenti alle riprese Marco e Matteo Pedicini Tranne le fotografie alle pp. 97, 98, 99, 121 dx e 160 fornite direttamente dagli autori Spinosa, Nicola (a cura di): San Gregorio Armeno. Storia, architettura, arte e tradizioni/Nicola Spinosa, Aldo Pinto e Adriana Valerio (a cura di) Napoli : Fridericiana Editrice Universitaria, 2013 ISBN 978-88-8338-140-9 (BR) ISBN 978-88-8338-141-6 (RIL) 1. Monasteri femminili 2. Napoli 3. Storia religiosa I. Titolo La carta utilizzata per la stampa di questo volume è inalterabile, priva di acidi, a PH neutro, conforme alle norme UNI EN Iso 9760 ∞, realizzata con materie prime fibrose vergini provenienti da piantagioni rinnovabili e prodotti ausiliari assolutamente naturali, non inquinanti e totalmente biodegradabili (FSC, PEFC, ISO 14001, Paper Profile, EMAS).
 (2) Cf. Marina Caffiero, Tra modelli di disciplinamento e autonomia soggettiva, in Modelli di santità e modelli di comportamento, a cura di Giulia Barone, Marina Caffiero e Francesco Scorza Barcellona, Torino 1994, 269-291.
 (3) Marcella Campanelli, Una virtù soda, maschia e robusta. Il monachesimo femminile nel settecento napoletano, in Donne e religione a Napoli cit., 143
 (4) Nel 1745, Francesco Vargas Macciucca, delegato della Real Giurisdizione, aveva dato alle stampe la Dissertazione intorno alla Riforma degli abusi, un vero e proprio atto diaccusa contro l’intero sistema di accesso nei monasteri. Cf. ASDN, Pastorale e notificazioni, III, G. Spinelli, 30 luglio 1742. A distanza di quasi un decennio Stefano Patrizi, consultore del Cappellano Maggiore, in una supplica inviata al monarca il 22 maggio 1756, poneva l’accento sul “detrimento” che le doti portavano alle famiglie.
 (5) Michele Miele, Sisto V e la riforma dei monasteri femminili di Napoli, «Campania Sacra» XXI (1990), 128-129.